Poca comunicazione per le aziende italiane

I dati del libro bianco di Assocomunicazione. Le Pmi investono soprattutto sul rapporto diretto con il cliente

Per la comunicazione le piccole e medie imprese rimangono un mondo difficile da approcciare e da quantificare visto che anche il libro bianco di Assocomunicazione fatica a stimare delle cifre. Vista l’assenza di dati strutturati e la propensione delle Pmi a investire soprattutto nelle attività legate al rapporto diretto con il proprio cliente e non a sistemi distributivi di massa, l‘associazione che raggruppa le aziende del settore utilizza i dati di Seat Pagine Gialle che assegna un valore di circa 4.300 milioni di euro, tra directory, mezzi classici e attività relazionali alle piccole e medie imprese.


Euro che rappresentano una parte dei denari investiti dalle aziende italiane in marketing e pubblicità e che ci pongono in fondo alla classifica rispetto ai nostri principali competitor.


Le imprese italiane, infatti, comunicano meno rispetto a quelle americane o dei principali paesi europei. Non stiamo parlando solo di pubblicità su Internet, ma di comunicazione in generale.


I dati arrivano dal libro bianco di Assocomunicazione secondo il quale l’investimento italiano pro-capite in comunicazione commerciale è di 370 euro contro i quasi 700 euro degli Usa, oltre 600 di Uk, e poco più di 500 per Francia e Germania.


Nel 2007 a fronte di 9.780 milioni di euro investiti in mezzi classici (Tv, stampa, radio, cinema e comunicazione digitale) in Italia, nel Regno Unito ne sono stati investiti 23.270, in Germania 16.400, in Francia 9.700 e in Spagna 7.100.


“L’Italia – scrive il rapporto – si configura quindi come un Paese a bassa incidenza pubblicitaria, mantenendo un andamento quasi costante nel corso del decennio”.


Il dato è confermato dal numero di aziende attive sul fronte pubblicitario. Secondo i dati 2006 siamo a quota 17.682 contro poco più di trentamila della Germania e quasi 49.000 della Spagna. Le aziende attive, che nel 2007 hanno superato di poco quota 18.000, sono in maggioranza soggetti con un budget dedicato alla comunicazione molto limitato.


Circa 10.000 aziende, infatti, non cumulano una cifra complessiva di investimento superiore allo 0,8% del totale che affluisce ai mezzi classici e il dato è in calo. “Gli investimenti continuano quindi a essere molto concentrati nelle mani dei principali big spender. Nell’ultimo anno un numero ridotto di imprese (16) ha coperto circa il 20% del totale della spesa italiana in comunicazione commerciale.


Dei circa 10.000 milioni di euro investiti 5.089 vanno in televisione, 1.901 nei quotidiani, 1.328 nei periodici, 70 al cinema, 598 alla radio, 818 in comunicazion esterna e 656 nel digitale.


Altri 10.000 euro vanno invece nel marketing diretto, promozioni, eventi e sponsorizzazioni, attività che rientrano nel marketing relazionale.


Le aziende investitrici sono soprattutto nel Nord-Ovest (38,4%), Centro (26,3%), Nord-Est (23%) e Sud e Isole che con il 12,3% hanno guadagnato quattro punti negli ultimi dieci anni.


Ma quali sono le ragioni alla base del ritardo? Assocomunicazione ritiene che la mancanza di una cultura delle comunicazioni presso Pmi e Pubblica amministrazione sia una delle ragioni principali seguita dalla considerazione che, nella categoria d’impresa che caratterizza il tessuto industriale della Penisola, la comunicazione sembra vissuta come una mera appendice del processo produttivo e non come un asset competitivo.


“Dall’altra la comunicazione non sembra essersi radicata presso la Pa come un processo comunicativo ininterrotto con la cittadinanza ma piuttosto come il confezionamento di singole e sporadiche iniziative”.

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