Piange il telefono

Telecom-Tim: solo speculazione finanziaria o un diverso valore del cliente?

Se un ET lungimirante come Valentino Rossi, uno che riesce a vedere tre
curve avanti, dal giorno alla notte passa da Alice a Fastweb, significa ci manda
un segnale.
Poi sta a noi saper cogliere il messaggio dell’extraterrestre e
andare oltre il banale aspetto del contratto di sponsorizzazione.

Telecom ha fatto la fusione con Tim un anno fa. Oggi Marco Tronchetti Provera la scorpora, scopo vendita.

Cosa è successo in un anno, intercettazioni a parte, che ha così modificato lo scenario di mercato?

Ancora più direttamente: può una compagnia telefonica che rappresenta il presente e il futuro non essere più core business?
Che l’intera manovra sia ascrivibile al
capitolo “speculazione finanziaria
”?
E, sia
chiaro, nel termine “speculazione
” non è obbligatorio leggervi accezioni negative.

Come insegnava negli anni 80 uno dei grandi accademici dell’economia italiana, un saggio orobico, il Cavaliere del lavoro Tancredi Bianchi, assieme al risparmio la speculazione è uno dei motori virtuosi dell’economia.

Già, ma forse questa di oggi poco ha a che fare con l’economia degli anni 80. Anni in cui il credito al consumo era visto come un orpello, financo fastidioso, mentre oggi è la base operativa di macchine da soldi nuove, come Agos e Findomestic, ma anche vecchie, leggi le banche.

Quindi la considerazione più spontanea riguarda proprio gli istituti di credito, che hanno tutta l’aria di voler disimpegnarsi da Telecom.
Evidentemente a loro non basta più che sia una delle poche società italiane a poter contare su un introito fisso e difficilmente eludibile da parte dei propri clienti (finché rimangono tali), come il canone.

Quindi, l’equazione sarebbe
questa: il valore del cliente Telecom non è più sufficiente per le banche.
Figuriamoci quanto gli può essere gradito il nostro, infinitesimamente
inferiore.

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