Per i media, lo straniero è sempre “più colpevole”

Dall’analisi di oltre 31.000 articoli apparsi su tre quotidiani, il professore di Criminologia Ernesto Calvanese effettua un’interessante e dettagliata disamina di come spesso stereotipi e pregiudizi portino erroneamente a considerare colpevoli di reato gli indiziati non di nazionalità italiana.

Titolo – Media e immigrazione tra stereotipi e pregiudizi. La rappresentazione dello straniero nel racconto giornalistico
Autore – Ernesto Calvanese
Editore – Franco Angeli, Milano, 2011, pp 203 (Collana di Criminologia)

In un momento storico di
profondi mutamenti economico-sociali, caratterizzato da diffusi e crescenti
sentimenti di sfiducia, smarrimento ed incertezza[1], gli immigrati
costituiscono oggi, per certi versi, bersagli simbolici di diversità sui
quali riversare, più o meno consciamente, pulsioni aggressive di natura
individuale o collettiva, e nei cui confronti operare – con una certa
semplicità – interventi politici finalizzati appunto alla gestione del
controllo e del consenso sociale.

Due sono essenzialmente gli indicatori sociali da cui traspare tutto ciò: a) il
crescente interesse manifestato dai media nei confronti del fenomeno
immigrazione
, soprattutto per ciò che attiene allo straniero non regolarizzato,
all’immigrato che delinque, alla tendenza ad associare quasi
deterministicamente a certe etnie la commissione di taluni reati,
all’assimilare tout court immigrazione e criminalità; b) gli interventi
legislativi e di politica sociale di questi ultimi anni
, che risultano
quasi univocamente inclini verso soluzioni di natura repressiva ed espulsiva[2].

“Non c’è giorno” infatti – afferma l’Autore del volume qui recensito (Ernesto
Calvanese,
professore di Criminologia nell’Università degli Studi di
Milano
) – “nel quale non si parli a livello mediatico di immigrazione, e
non c’è giorno nel quale non si faccia cenno al pericolo, alla criminalità,
all’allarme sociale, al semplice fastidio che a questa tematica si correlano,
in modo si direbbe ineluttabile e deterministico”[3], tanto che gli stereotipi ed i pregiudizi
nei confronti degli immigrati, in questo martellante sistema di informazione, non
possono altro che auto-alimentarsi e rafforzarsi continuamente
[4].

A dimostrazione di ciò vi sono, oltre che le considerazioni scientifiche, i
risultati emersi dalla presente ricerca criminologica in punto di
rappresentazione mediatica dello straniero. Un’indagine, di tipo qualitativo
,
che ha analizzato, su di un arco temporale di quattro anni (dal 2005 al
2008), il contenuto di tre testate nazionali (quali il “Corriere della
Sera”, “Il Giornale”, “la Repubblica) e da cui è emerso, in estrema sintesi,
che la carta stampata parla tanto degli stranieri ma lo fa esclusivamente in
termini di conflittualità e di problematicità sociale
.

In modo particolare, andando ad analizzare – seppure in questa sede in maniera
solo sintetica – i dati emersi dalla questa ricerca, il fatto che l’immigrazione
ed i migranti siano
di fatto fortemente posti al centro dell’attenzione
mediatica
risulta evidente sotto il profilo quantitativo. E’ stato infatti
constatato che, nel quadriennio considerato, il numero di articoli
pubblicati
dalle tre testate esaminate sull’argomento in questione è stato
imponente (ben 11.426 pezzi). Solo “la Repubblica” ha messo in luce un
minore interesse nei confronti del fenomeno, anche se pure questo giornale ha
proposto un numero di articoli alquanto ragguardevole.

Dal punto di vista qualitativo, e quindi dei temi trattati, dall’esame dei
risultati è si è evidenziata inoltre una prevalenza dell’interesse mediatico
nei confronti dei fatti di cronaca criminale e delle questioni di giustizia
penale (6.718)
, piuttosto che di temi maggiormente propositivi, concernenti,
ad esempio, informazioni su norme e prassi di natura amministrativa (2.458),
ovvero indicazioni e suggerimenti sulle opportunità offerte sul piano
socio-assistenziale (2.249)
[5].

In modo particolare, da tale disamina è apparsa palese la difformità
dell’informazione
fornita tra cronaca criminale riguardante cittadini
italiani
e cronaca criminale relativa ad autori stranieri.

Negli effetti, il dato per cui 6.718 articoli, fra tutti i pezzi
pubblicati
dai tre giornali esaminati (31.964), siano dedicati a
migranti autori di reato
, mentre 13.569 riguardino protagonisti
autoctoni
, consolidandosi quindi una proporzione nella percezione
diretta della divulgazione mediatica di circa 1 a 2 tra rei stranieri e rei
italiani
, è dato – per usare le parole dell’Autore – che “si autocommenta:
anche semplicemente considerando che, con queste cifre, per aversi parità
nell’informazione in tema di criminalità tra stranieri e italiani, occorrerebbe
che pure la proporzione tra totale degli immigrati residenti e autoctoni fosse
pari a 1 su 2, il che in verità non è”[6].

Se a ciò si aggiunge poi il fatto, noto ovviamente agli operatori del settore e
comunque facilmente deducibile dall’analisi delle statistiche giudiziarie, che
la maggior parte della criminalità dei migranti risulta essere di fatto
messa in atto da soggetti irregolari nel nostro Paese
(70% circa)[7] ne deriva, in maniera lapalissiana, che
la differenziazione del trattamento mediatico della delinquenza straniera da
quella autoctona appare ancora di più netta, allontanando incessantemente il
fronte della realtà raccontata da quella reale.

In questo senso, tale discrasia numerica è necessariamente riconducibile
a scelte di agenda redazionale
[8], ossia a valutazioni operate nella
direzione del dare o non dare una notizia e di scegliere che cosa comunicare e
in che modo. E ciò – così come evidenziato dalla stessa communication
research
– nella consapevolezza, soprattutto da parte di chi opera con i
mezzi di comunicazione di massa, che il fatto di comunicare o meno un
determinato evento conferisca vita e ‘verità’ allo stesso, ovvero ne sancisca,
semplicemente, la non esistenza
[9].

Sotto questo profilo, dal presente lavoro, emerge chiaramente come le testate
analizzate abbiano sostanzialmente riportato pressoché globalmente la
delittuosità straniera
(con uno scarto del 3,47% tra quella denunciata e
rappresentata), mentre, secondo un andamento inverso, la delittuosità degli
italiani è stata fortemente sotto-rappresentata
(30,61% in meno rispetto ai
dati statistici ufficiali)[10]. E l’omissione, si sa, vale
quanto una sovra-rappresentazione del fenomeno, in una realtà
virtuale
ove la ‘conoscenza’ dipende quasi globalmente dai mezzi di
comunicazione di massa.

Passando alle risultanze dell’indagine sul piano dei riverberi squisitamente
qualitativi si osserva che l’accentuazione indifferente e neutrale pervade
la maggior parte degli articoli esaminati
: e ciò a partire dai toni dei
titoli e dei testi, fino ad estendersi alle diverse aree tematiche
approfondite, quali quelle relative al reo straniero, alla vicenda oggetto di
pubblicazione, all’importanza delle politiche sociali e penali, ovvero al
fenomeno immigrazione nella sua globalità.

Anche sotto il profilo dei contenuti, le immagini mirate al ‘comprendere’,
ad esempio quelle connesse alla disperazione e allo stato di necessità,
all’eccezionalità dei fatti descritti, alla scarsità degli interventi di
sostegno, all’opportunità di conferire maggiore risalto alle politiche di
integrazione, all’utilità dell’immigrazione, sono rimaste in buona sostanza
silenti
nelle pagine dei giornali analizzati. Così pure lo sono
state le prospettive volte ad incentivare la conoscenza ed il sapere, lo
scambio culturale, l’approfondimento storico, la mediazione
e l’integrazione socio-culturale.

Secondo l’Autore, in definitiva, oggi “l’immigrato fa notizia solo al
fine di un aumento sconsiderato e fuorviante degli articoli in tema di
criminalità e giustizia
, unitamente, talora, a sottolineature sfavorevoli,
vuoi nei toni che nei contenuti”[11].

Di certo è curioso rilevare, al termine di questa succinta descrizione dei
risultati emersi, come su 31.946 articoli analizzati nell’arco del
quadriennio considerato mai
è stato rintracciato un cenno giornalistico
inerente ad un passato comune, tenuto conto che tra il XIX e XX[12] secolo più di 27.000.000 di italiani
sono migrati altrove
e che moltissimi di questi sono stati posti, a loro
volta, al centro delle attenzioni degli apparati di giustizia dei paesi
ospitanti e, in pari tempo, di una comunicazione mediatica altrettanto negativa
ed allarmistica.

A parere di Calvanese l’oscuramento di tale fenomeno, “volendo cercare
spiegazioni che vadano al di là della mera dimenticanza, della svista, della
casualità, di una pretesa inessenzialità del ricordo, parrebbe sottendere una raffinatezza
nelle scelte editoriali
(e di coloro che le redazioni influenzano), al
fine di non indurre valutazioni che sarebbero, ai fini del consenso e della
propaganda, gravemente fuorvianti
”.

E ancora “puntare l’accento sulla storia della emigrazione degli italiani
finirebbe con il rendere
– quanto meno su di un piano di vicissitudini
esistenziali di un passato ancora assai vicino – troppo simili fra loro
autoctoni e stranieri
, diventando quindi, in tale prospettiva, più
opportuno addirittura cancellare la memoria storica di intere vicende di vita”[13] che non considerare appieno il senso di
ciò che sta oggi avvenendo, ovverosia una moderna mercificazione dell’essere
umano
che, con inquietanti analogie rispetto a quanto avveniva in passato
con il trasporto nelle navi ‘negriere’, avviene nella quotidianità – sempre per
mare – ad opera di “diverse organizzazioni criminali per i migranti[14].

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