Vincoli normativi e difficoltà di formare risorse, spingono la Pa sia verso n’esternalizzazione completa sia verso la creazione di società di servizio captive
Il contributo che presentiamo è frutto di una collaborazione tra Lineaedp e gli Osservatori Enterprise 2.0 e Ict Strategic Sourcing della School of Management del Politecnico di Milano. www.osservatori.net
Anche in settori ritenuti un tempo stabili come la Pubblica amministrazione, cambiamento e innovazione sono oggi considerati condizioni fondamentali per poter rispondere alle esigenze degli utenti finali.
Gli Osservatori Ict & Management della School of Management del Politecnico di Milano, attraverso l’indagine sul campo di oltre 24 Osservatori permanenti di Ricerca, hanno messo in luce alcuni fenomeni emergenti nell’Ict della Pa, che rappresentano importanti occasioni per creare innovazione nei servizi erogati attraverso organizzazioni più flessibili e lo sfruttamento in rete delle competenze.
L’Ict sourcing nelle istituzioni pubbliche
In un quadro in cui la variabilità delle tecnologie e la specializzazione delle competenze possono indurre complessità nella gestione dell’Ict basata sulle sole competenze interne, le strategie di sourcing rappresentano delle leve di grande interesse poiché consentono di ricorrere al contributo di terze parti specializzate, in grado di apportare in tempi rapidi competenze, capacità e strumenti necessari all’innovazione. Se in passato il ricorso al sourcing di prima generazione era motivato essenzialmente dalla volontà di abbassare i costi, ridurre immobilizzi e focalizzarsi sul core business, aumentando il livello di servizio o riducendo la complessità legata a una gestione interna dell’Ict, un ruolo crescente vien oggi rivestito da altre motivazioni, non riconducibili alla ricerca dell’efficienza statica, bensì a quella della flessibilità al cambiamento e dell’innovazione. Nella Pa, in particolare, il ricorso all’Ict sourcing rende possibile l’accesso a competenze che, data la difficoltà di attrarre e mantenere all’interno profili specializzati, sarebbero altrimenti difficilmente disponibili. Il sourcing verso terze parti può, inoltre, aprire l’accesso a una capacità operativa che abilita in tempi brevi la risposta dell’Ict alle richieste interne e dei cittadini, consentendo di realizzare innovazione nel settore pubblico, priorità oggi fondamentale per il nostro paese.
L’ampio spettro di scelta di ricorso a terze parti, può portare la Pa a profili di sourcing sostanzialmente diversi e anche opposti. Da un lato si può trovare la completa esternalizzazione, in cui vengono affidate all’esterno le attività di esercizio e sviluppo, mentre vengono mantenute all’interno le attività di governo e le competenze necessarie a presidiare efficacemente i servizi affidati a terze parti. All’opposto, vi è invece la totale internalizzazione, in cui tutte le attività e i processi sono gestiti dalla direzione Ict, con un ricorso solo marginale a terze parti. Questa modalità richiede un continuo aggiornamento delle competenze gestionali e tecnologiche finalizzate alla gestione dell’evoluzione dei sistemi informativi. Più frequente è l’adozione di profili di sourcing intermedi, con il mantenimento di un nocciolo di risorse interne rivolto al governo dei progetti e delle architetture, e un’esternalizzazione chirurgica a più provider con competenze verticali. La molteplicità dei fornitori rende, tuttavia, complesso il governo del portafoglio di sourcing.
Dalla ricerca dell’Osservatorio Ict Strategic Sourcing della School of Management del Politecnico di Milano, che ha approfondito, nel suo terzo anno di ricerca, l’evoluzione delle relazioni cliente-fornitore in oltre 60 organizzazioni, analizzato 11 modelli di offerta di player di mercato e, in collaborazione con le associazioni Aused e itSmf, ha censito tramite survey le esperienze di oltre 90 Ict manager, emerge la presenza nel settore pubblico di tutte le tipologie di profili di sourcing. L’esistenza di vincoli normativi e la difficoltà ad attrarre e formare risorse Ict con competenze di gestione dei fornitori, spinge sia verso modelli di completa esternalizzazione, a beneficio di fornitori unici o pool di fornitori in associazioni temporanee d’imprese, sia alla creazione di società di servizio captive. Queste ultime strutture hanno il duplice mandato di acquisto di servizi e tecnologie, con l’obiettivo di avvicinarsi alle logiche di mercato, e di mantenere le competenze necessarie al governo diretto di alcuni servizi erogati dai fornitori.
Per le singolari caratteristiche del settore pubblico, inoltre, i player di mercato si sono organizzati verticalmente, sviluppando competenze e modelli di offerta allineati con i processi, le normative, la struttura contrattuale e i meccanismi tipici del settore. La Pubblica amministrazione, infatti, ha delle peculiarità che influenzano le scelte di make or buy; obiettivi e vincoli politici, ostacoli burocratici e normativi, e i meccanismi di gara possono influire sul processo decisionale e portare a soluzioni sub-ottimali sia dal punto di vista tecnico sia da quello relazionale. Il meccanismo della gara pubblica, in particolare, necessita di un attento governo, in quanto induce una riduzione dei margini, che può limitare nel tempo la possibilità di creare innovazione all’interno dei termini contrattuali.
Il ruolo di rottura dell’Enterprise 2.0
Il termine “Enterprise 2.0” indica un fenomeno di “rottura” dei modelli organizzativi tradizionali con l’apertura dei confini in termini di contributo di attori “esterni” (clienti, fornitori, partner), il ripensamento dei tradizionali schemi di collaborazione e relazione funzionali e gerarchici, la messa in discussione di stereotipi rigidi relativi allo spazio e all’orario di lavoro.
Il perché di questa “rottura” è da ricercare nell’analisi dei bisogni “emergenti” delle persone e che possono trovare una risposta nelle nuove tecnologie. La prima dimensione attraverso cui possiamo classificare i bisogni è l’appartenenza aperta, cioè l’apertura dei confini dell’organizzazione per consentire un più efficace coinvolgimento di attori esterni come fornitori, consulenti, partner e clienti; segue il social network che rappresenta il supporto alla creazione di relazioni attraverso strumenti che permettono di rintracciare le persone con informazioni basilari o associando profili evoluti; quindi abbiamo la conoscenza in rete come gestione della conoscenza esplicita e tacita. Ulteriore dimensione è la collaborazione emergente vista come creazione di possibilità di collaborazione tra gli individui anche al di fuori degli schemi organizzativi formali, attraverso strumenti di natura sincrona e asincrona; fa seguito, poi, la riconfigurabilità adattativa, cioè il supporto alla flessibilità e riconfigurabilità dei processi coerenti con i cambiamenti della strategia organizzativa; infine risulta la global mobility ovvero l’accesso adattativo a strumenti ed informazioni del virtual workspace anche in condizioni di mobilità.
L’Enterprise 2.0 rappresenta una formidabile occasione non solo per le imprese, ma anche per le Pubbliche amministrazioni di creare organizzazioni più flessibili e dinamiche.
Dalla Ricerca dell’Osservatorio Enterprise 2.0 della School of Management del Politecnico di Milano, che ha previsto lo studio di 70 casi di imprese e Pubbliche amministrazioni tra le più significative del nostro paese, nonché l’analisi delle strategie tecnologiche dei principali vendor di tecnologia e una survey che ha coinvolto 65 Cio, possiamo delineare il grafico sopra riportato, che confronta il dato di supporto medio sulle sei dimensioni del campione generale con quello ristretto alle sole Pa: emerge in modo chiaro che l’Enterprise 2.0 in tutte le sue dimensioni si sta gradualmente diffondendo anche nella Pa, seppur con intensità e polarizzazioni differenti.
La realizzazione dell’Enterprise 2.0 non può limitarsi alla mera applicazione in ambito aziendale di strumenti di social computing tipici del Web 2.0, ma richiede l’accurata progettazione di un’architettura complessiva capace di supportare i processi aziendali in modo sempre più flessibile, e che ridefinisca i confini e le logiche di integrazione stesse dell’intero sistema Informativo aziendale.
Le maggiori difficoltà che imprese e Pa stanno trovando nell’implementazione di strumenti di Enterprise 2.0 sembrano ricondursi non a barriere tecnologiche, quanto a una scarsa conoscenza delle potenzialità (51%) e a una chiara difficoltà a identificare e valutare i benefici economici (48%). Molti responsabili dei sistemi informativi, inoltre, evidenziano la necessità di cambiamenti organizzativi (37%) e la criticità dovuta alla scarsa propensione attuale alla condivisione e alla collaborazione (31%). Questi risultati, mettono bene in luce la natura culturale e non tecnologica di queste barriere. Da notare, però, che tali barriere non sono tanto legate all’introduzione in sé degli strumenti, quanto alla transizione verso la prospettiva dell’Enterprise 2.0 che è un fenomeno ben più profondo e parzialmente indipendente dall’introduzione di specifici strumenti.





