Lavorare, connessi in rete, da casa o in luoghi pubblici è ormai una realtà. Ma può essere anche vista come una minaccia per il tempo destinato alla vita privata.
Spesso, in differenti momenti storici, la tecnologia è stata demonizzata
come potenziale minaccia per professionalità apparentemente destinate a
soccombere alla totale automazione. Con la diffusione della mobilità, si sta ora
prospettando uno scenario opposto.
Un manager di Ibm, Howard Locker, ha
recentemente dichiarato che l’uso “ubiquo” di laptop fa aumentare la
produttività, perché «si può potenzialmente lavorare sull’arco del 24×7 e
questa è un’ottima notizia per le aziende».
Per loro senz’altro, ma gli
esseri umani che ne pensano?
Uno studio Economist Intelligence Unit su 1.500
manager rileva che per tre quarti del campione si è già assottigliato il confine
fra vita personale e lavorativa, mentre per la grande maggioranza la
produttività extra scrivania scema di molto, soprattutto in luoghi pubblici,
dove solo l’8% si sente di lavorare senza problemi.
Su questo, la tecnologia
può fare ben poco.





