Microcredito, la finanza etica motore di sviluppo

Dopo anni di operazioni finanziarie “spregiudicate”, ora si invoca il ritorno alle regole e alla trasparenza

Dopo anni di operazioni finanziarie “spregiudicate”, ora si invoca il ritorno alle regole e alla trasparenza. Un bisogno di rinnovamento che coinvolge soprattutto il mondo delle banche.


Una risposta efficace può venire da un progetto che prevede la concessione di piccoli prestiti per l’avvio di attività produttive


Ci siamo sempre occupati di agevolazioni comunitarie, nazionali e regionali come modalità di finanziamento per i progetti imprenditoriali, ma esiste un modo diverso di vedere e vivere le relazioni economico-finanziarie, che passa dall’etica: un approccio innovativo e sostenibile e proprio per questo di grande successo.


Paradossalmente, in questo momento di congiuntura economica negativa, la riflessione sulle motivazioni e sulle distorsioni del sistema, conduce a ritenere la soluzione migliore quella di promuovere lo sviluppo sostenibile condiviso.


La crisi finanziaria e quella di tesoreria che investono sia imprese sia famiglie, hanno cause interne, o soggettive, ed esterne, o oggettive. Queste ultime sono di tipo macroeconomico, legate alle bilance commerciali internazionali, alle scelleratezze del sistema finanziario, rese possibili da un vuoto normativo complice, alla mancanza di legame fra economia reale e finanziaria. Si tratta di un fatto grave perché, nel caso in cui il valore dei titoli quotati non abbia giustificazione nell’andamento dell’impresa che li ha emessi, una volta appurato il suo reale andamento, non si può che assistere a tracolli, che alla fine trascinano nel baratro i piccoli risparmiatori. Quando vi sono periodi di bassa crescita economica globale o settoriale è inevitabile che le imprese ne risentano.


Così come subiscono tracolli e ribassi quando l’imprenditore fa investimenti poco oculati o non reinveste gli utili nel processo produttivo.


Se è vero che ognuno è portatore di un bagaglio di interessi suoi propri, è anche vero che come inseriti in un contesto sociale, non siamo stakeholder contrapposti gli uni agli altri, nella misura in cui siamo tutti cittadini. Non si tratta di un interesse di poco conto, poiché ci relazioniamo continuamente gli uni agli altri, condividendo spazi e servizi comuni, che perciò dobbiamo cercare di curare nel bene comune al fine di massimizzare un bene proprio. Questo interesse sfugge spesso alla nostra prima attenzione, perché non viene percepito come immediato, ma è molto più strutturale e permanente del bisogno impellente del lucro istantaneo, perché ci segue per tutta la vita e i cui effetti incidono nel medio-lungo periodo.


La commistione di etica anche nei rapporti economico-finanziari non deve essere caldeggiata solo da chi naturalmente ha una vocazione orientata ai valori, indipendentemente dalle performance lucrative, ma deve essere fortemente voluta in un’ottica utilitaristica anche da chi innanzitutto mira al profitto e alla sua stabilizzazione nel corso del tempo.


Pertanto è di primaria importanza la presa di coscienza di sé come cittadini e quindi del fatto che le nostre azioni in ambito economico si riflettono non solo sulle controparti, ma anche su di noi, poiché il rapporto col prossimo non è di contrapposizione, ma di correlazione, nella misura in cui appunto siamo entrambi cittadini.


Non si tratta di pura teoria, anzi, fra i fulgidi esempi di quanto appena assunto è molto recente ed eclatante: le banche americane – e non solo – per massimizzare i loro profitti hanno erogato mutui in modo discutibile anche a chi di fatto non sarebbe stato in grado di remunerarli e di rimborsarli. Non si sono preoccupati di ciò, incrementando nell’immediato gli utili, mentre nel medio termine l’impossibilità dei finanziati di ripagare le rate si è tradotto nel fallimento delle banche.


Gli inizi…
Muhammad Yunus è stato insignito del premio Nobel per la pace per la sua idea rivoluzionaria, che parte da un’evidenza banale: chi fa più fatica ad accedere ai prestiti bancari è spesso chi ne avrebbe più bisogno. Questo perché chi ne ha più bisogno è anche chi non può prestare garanzie patrimoniali, che coprano il rischio della banca. Se ci pensiamo bene è a dir poco singolare che la banca, che è un imprenditore finanziario, chieda la copertura del rischio, in quanto questo è insito nella natura imprenditoriale di ogni attività.


Per di più la banca applica un interesse al prestito che eroga, che dovrebbe essere composto da più variabili: la copertura dall’inflazione, la remunerazione dei suoi fattori produttivi e la copertura del rischio di settore e di impresa.


Grameen Bank (“banca del villaggio”) nel 1976 nasce come progetto di ricerca dell’Università di Chittatong, dove Yunus era direttore del programma di economia rurale. Vengono erogati piccolissimi prestiti per lo più utilizzati per l’avvio o per lo sviluppo di piccole attività a donne ricche solo della loro buona volontà che devono restituire quanto ottenuto in rate settimanali.


I debitori sono organizzati in gruppi e mantengono contatti diretti con i rappresentanti di Grameen: “Per recuperare i nostri crediti – spiega Yunus – non ci siamo mai serviti di figure professionali esterne alla banca”. E questo certo aiuta: “Gli insolventi – assicura – sono appena l’1%”. Grameen Bank ha avuto un incredibile successo e oggi ha 12 mila dipendenti. I suoi 2 milioni e 200 mila clienti sono proprietari del 90% delle azioni.


Il modello di Grameen si fonda molto sul gruppo: gruppi solidali di cinque membri, incorporati in village centers composti fino a otto gruppi. I village centers sono a loro volta riuniti in regional branch offices. I membri a tutti i livelli assumono la responsabilità di gran parte della gestione dei servizi finanziari. Infatti, nel momento della selezione è il gruppo che viene coinvolto nell’approvazione del prestito e che seleziona chi ha maggior bisogno di finanziamento ed è il primo a prenderlo e che garantisce per ciascuno, nel senso che non viene fornita una successiva provvista di denaro se tutti non hanno saldato i loro debiti.


… e le esperienze successive
Sulla base di questa esperienza sono nate in America latina organizzazioni analoghe, fra le quali una delle maggiori è la boliviana Bancosol.


Una village bank è costituita da 20-


25 membri, spesso donne.


La banca è finanziata attraverso la mobilizzazione di fondi all’interno del gruppo (internal account), così come da prestiti provenienti da istituzioni finanziarie esterne (external account). Il modello seguito si differenzia leggermente da quello di Yunus, per il fatto che grava sul gruppo una responsabilità maggiore: se un membro non restituisce quanto ricevuto, il debito ricade su tutti gli altri membri (o sui risparmi accumulati).


Altr organizzazioni hanno tentato di imitare questi modelli, alcune con ottimi risultati, perché ne condividono appieno la filosofia e quindi non fanno fatica ad innescare gli stessi meccanismi virtuosi, altre con scarsi risultati perché cercano di copiare l’idea rimanendo culturalmente ancorati al concetto di banca commerciale.


Abbiamo appena segnalato il ribaltamento di garanzia patrimoniale sui terzi, che non risponde affatto ai criteri del microcredito.


Un’altra pecca è quella relativa all’istruttoria. È del tutto evidente che i non bancabili hanno difficoltà a presentare i progetti adatti alla valutazione della pratica secondo le normali procedure seguite dagli istituti di credito. È quindi necessario trovare gli strumenti idonei per comunicare e supportare i clienti.


Per esempio, è poco opportuno sponsorizzare l’organizzazione via web o peggio ancora utilizzare internet come strumento di scambio di informazioni o di documenti perché la rete è ancora appannaggio solo di chi ha una media disponibilità economica e un seppur minimo livello di cultura informatica.


Inoltre non si può pretendere la redazione del progetto con modalità e forme tipiche dell’istruttoria bancaria classica per diversi motivi:


– spesso manca un pregresso sul quale fondare l’analisi;


– nel caso in cui vi sia un consuntivo, questo non è certamente positivo se no il cliente sarebbe bancabile nell’accezione comune della banca commerciale;


– nemmeno l’imprenditore bancabile è in grado di fare un business plan senza la consulenza di un esperto e non lo è neppure chi ha necessità di un microcredito.


A differenza del bancabile però non può neppure permettersi di pagare la parcella di un professionista.


Pertanto anche il rapporto con il cliente va gestito in modo da realizzare un’effettiva ed efficace comunicazione fra gli attori.


Le garanzie
La principale differenza fra il credito ordinario e il microcredito, oltre all’entità di prestito ridotta di quest’ultimo, sta nel tipo di garanzia prestata. In questo caso viene richiesta, come abbiamo visto, la garanzia personale e non reale.


A logica potrebbe sembrare più vantaggioso il sistema delle banche commerciali, ma alla prova dei conti, si registra un tasso di recupero medio del microcredito superiore del 10% almeno rispetto al credito ordinario.


Non si tratta di un miracolo, ma della prova della “teoria del cittadino”, che si basa sulla fiducia e sulla condivisione di un obiettivo.


Nel credito commerciale c’è un rapporto di contrapposizione fra la banca che guarda con sospetto chi gli chiede il prestito e quindi vuole in cambio garanzie e colui che riceve il finanziamento che si può sentire sollevato da ogni responsabilità perché ha adempiuto alla contro-richiesta di garanzie reali.


Di fatto il rapporto fra le parti si esaurisce all’inizio del prestito, proprio in virtù della pseudo controprestazione che, invece di essere la restituzione, è la garanzia.


Nel microcredito invece c’è più un rapporto di incoraggiamento come fra medico e paziente.


L’ente erogante ha fiducia nel progetto e nelle capacità del richiedente, che si sente gravato dalla responsabilità della restituzione perché ha avuto la fiducia di chi si è messo in gioco con lui. In questo caso non si ha un rapporto di contrapposizione, ma di cooperazione.


Le forze si uniscono in una relazione di reciprocità, anziché di alterità e quindi è più facile il raggiungimento dell’obiettivo che è comune.


Purtroppo si spacciano per microcreditori taluni organismi che erogano senza chiedere garanzie al richiedente, ma coprendo il rischio con fondi di garanzie patrimoniali istituiti da associazioni o altri enti non profit oppure sollecitati presso il pubblico dei risparmiatori, in modo da far bella figura coi valori altrui.


Questa pseudo forma di microcredito non è affatto positiva, ma anzi dannosa in quanto resta la stessa cultura della garanzia patrimoniale e si sposta solo la responsabilità di questo su un altro soggetto e ovviamente non si otterranno mai i positivi risultati delle banche veramente etiche, di fatto screditando il microcredito.


In queste istituzioni, come abbiamo visto, la garanzia personale può essere presentata anche da cittadini che ruotano attorno al progetto e che si relazionano con lo stesso a vario titolo (dipendenti, amministratori, fornitori, soci di una cooperativa).


Non si tratta di una fantasia credere che un fornitore o un dipendente spenda il proprio nome per il cliente, perché è importante per tutti gli stakeholder che il progetto vada bene, perché il successo dello stesso porta vantaggi anche a loro.


Gli attori Sono diversi i soggetti che si occupano di microcredito, in quanto questa forma può assumere diverse peculiarità e la sua versatilità consente di realizzare diversi programmi di finanziamento.


Vediamo ora i principali.


Banche che sposano l’etica.
Purtroppo sono i soggetti meno indicati a portare avanti il microcredito, perché difficilmente riescono a comprenderne e a sposarne la cultura. Sono gli istituti che spesso restano a metà fra l’una e l’altra forma, non eliminando la garanzia reale e mantenendo istruttorie di tipo commerciale.


Microcredito a distanza. Non vengono erogate risorse finanziarie, ma vengono messi in contatto soggetti dei Paesi industrializzati con imprenditori dei Paesi in via di sviluppo in modo da creare una rete virtuosa di scambi, attraverso l’utilizzo di internet. Chi eroga il fondo è un vero e proprio donatore, ma la struttura nella quale dona non è un ente caritatevole, bensì un sistema di microcredito.


Infatti, i fondi raccolti vengono inviati ad organismi di microfinanza del Paese di destinazione scelto dal donatore. Queste istituzioni si occupano di erogare il microcredito e il prestito restituito in alcuni casi non torna al primo erogante, ma rimane alla microbanca che può dar vita ad un fondo rotativo per finanziare altre idee imprenditoriali o tamponare emergenze personali, in modo da rendere sempre più indipendenti i Paesi in via di sviluppo.


Mag. È l’acronimo di mutua di finanza autogestita. Ve ne sono già diverse in Italia che hanno assunto questa veste, nella forma giuridica della cooperativa sociale che ha nei propri soci i suoi finanziatori e i suoi “clienti”. Anche questo modello è analogo all’esperienza di Yunus, vale a dire di vero e proprio microcredito senza fondo di garanzia.


I finanziamenti vengono condizionati alla qualità sociale dei progetti, al rapporto fiduciario con i soci finanziati, mantenendo comunque il controllo sulla solvibilità dei prestiti concessi. Una volta rientrati da un finanziamento, i fondi vengono riutilizzati per un nuovo progetto.


Molte iniziative hanno enorme valore potenziale che per emergere necessita di appoggio e fiducia e non solo di ipoteche e garanzie patrimoniali. L’idea ispiratrice è quella delle vecchie, ma molto attuali, società di mutuo soccorso.


I network. Negli ultimi anni sono nate diverse iniziative che possono diventare significative in termini di impatti sul territorio e crescere grazie alla condivisione delle varie esperienze sul campo.


Con questo spirito è nata la Rete italiana di microfinanza (Ritmi), perché “fare sistema” consente di confrontare modelli e soluzioni differenti e realizzare obiettivi di natura sia “politica” che strettamente “operativa”.


A livello mondiale Microfinance Network, raggruppa diverse realtà impegnate in progetti di microcredito.


Il network è nato in Bolivia nel 1993 e ha sede a Washington.


La sua nascita è stata voluta dai partecipanti all’assemblea sulle microimprese ospitata da BancoSol, Ong che ha mosso i primi passi già dal 1987.


L’associazione aiuta le organizzazioni che si occupano di microcredito nel passaggio a vere istituzioni finanziarie. Fornisce ai suoi membri informazioni e tecnici per accelerarne la trasformazione e far conoscere le migliori esperienze nel settore. Gli attuali componenti del Microfinance Network sono 23. Di questi, 21 operano nei Paesi in via di sviluppo e sono sia Ong sia banche commerciali.


Le due associazioni restanti, Accion International e la canadese Calmeadow, sono gli esperti del settore e fanno parte del gruppo come “istituzioni di supporto”.


Il microcredito on line
Il più grande motore di questa attività è kiva.org, il portale dedicato al microcredito on line. A marzo del 2007, dopo un anno e mezzo di lavoro, kiva.org aveva erogato 4 milioni di dollari attraverso la sua rete di istituzioni di microfinanza locale (costituita da una sessantina di organizzazioni). Le ottimistiche previsioni del fondatore ritenevano possibile raggiungere quota 10 milioni entro la fine del 2007. Alla fine di ottobre, il valore complessivo dei microcrediti concessi ha già superato i 14 milioni di dollari, per un totale di 21.771 prestiti, distribuiti in 37 Paesi. L’importo medio per ciascun finanziamento è di 631,41 dollari (circa 435 euro) mentre l’ammontare medio prestato dai 139.842 microcreditori di kiva.org è di 101 dollari. Numeri sorprendenti, se si pensa che il tasso di sofferenza corrisponde allo 0,26%, mentre nel restante 99,74% dei casi le rate vengono pagate regolarmente dai beneficiari.


Chi fornisce risorse a Kiva rientra in possesso di quanto erogato e quindi le risorse non restano a disposizione della banca locale. Pertanto, di fatto, non si dona nulla, ma si finanzia un progetto.


Addirittura microplace.com, il portale di e-bay, che funziona in modo analogo a Kiva, prevede anche una remunerazione dell’investimento che oscilla fra l’1 e il 4%, a seconda dell’organizzazione finanziata.


(per maggiori approfondimenti vedi Finanziamenti&Credito, Novecento media)

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