La Idc conference conferma tutte le difficoltà che trova presso gli executive il nuovo modo di pensare l’azienda
Secondo Antonio Romano, responsabile di Idc Italia, l’Enterprise 2.0 è come il knowledge management di una decina d’anni fa: «Un salto concettuale, che senza piattaforma tecnologica adeguata rischia un Roi lento».
Durante il recente evento organizzato da Idc sul tema, l’analista, ha inoltre sottolineato che prima di affrontare l’E 2.0 bisogna rivedere pesantemente il sistema informativo. Dice che è sbagliato pensare a un antagonismo fra client server e infrastruttura centralizzata e che bisogna prendere in considerazione la crescita dei volumi e della eterogeneità delle informazioni strutturate o semistrutturate (la posta elettronica, per esempio).
Per questo c’è bisogno di un sistema informativo che riesca a trovare il valore delle informazioni destrutturate. Ma non bisogna affidarsi completamente al sistema informativo perché neanche l’infrastruttura migliore del mondo è in grado di recuperare efficienza se i processi aziendali non lo sono.
«L’E 2.0 – prosegue – è il driver che permette alle aziende di guardarsi dentro. Ancora oggi ci sono organizzazioni troppo piramidali con troppi livelli fra chi va sul mercato e chi fa le strategie. Per questo rivedere l’infrastruttura e i processi va in parallelo». Dal punto di vista tecnologico, Romano sottolinea il ruolo della virtualizzazione che «permette di traguardare la coesistenza fra infrastruttura distribuita e centralizzata» con, sullo sfondo, il punto d’arrivo del cloud computing.
Con il consueto stile spumeggiante, Vito di Bari, docente del Politecnico, chiede alla platea se sia proprio sicura di voler affrontare oggi, con 18 mesi di probabile crisi davanti a sé, l’argomento dell’E 2.0. Dall’adesione degli sponsor all’iniziativa di Idc pare di no, eppure è proprio in questo momento che bisogna attrezzarsi per raccogliere i frutti quando la nottata sarà passata.
«La crisi è tempo utile per costruire il vantaggio competitivo – spiega – e il Web 2.0 è il nuovo paradigma di quando arriverà la ripresa». Certo, non si sta parlando di una manciata di applicazioni ma di un nuovo mondo del quale le aziende non devono essere diffidenti. Il docente afferma con forza che non bisogna avere paura dei canali che non si riesce a controllare. Bisogna puntare tutto sui reach media (Youtube, per esempio) e fidelizzare. Il mondo 2.0 attiva, infatti, un processo di fidelizzazione che dura nel tempo. Perché, come ha sottolineato Emanuele Quintarelli, partner di Open Knowledge, l’E 2.0 non è solo tecnologia, «ma uno spazio aperto per coinvolgere le persone facendo leva su esperienze e passioni». Il problema, però, è che oggi la gran parte delle aziende è modellata su un’organizzazione a ragno (la testa decide gli arti eseguono) mentre bisognerebbe passare alla stella marina. I millennial o generazione Y (i giovani tecnologici) stanno entrando in azienda portando dimestichezza con i nuovi strumenti e voglia di collaborazione che è la premessa per generare un ecosistema aziendale portato all’innovazione.
«E non è vero che l’E 2.0 è costoso» osserva Quintarelli. Per questo invita le aziende a sporcarsi le mani perché i dipendenti, supportati da adeguati strumenti, possono diventare creatori di innovazione.
Il cammino però è lungo.
E deve partire dalle basi, da una solida definizione di cosa sia l’Enterprise 2.0, perché la confusione regna sovrana. Si parla di VoIp e call center, che non c’entrano, anche perché al blog e al Wiki ci sono già arrivati davvero in pochi.





