Lte: 2,96 miliardi per gli 800 MHz

Conclusa l’asta su una prima tranche di frequenze. Continua invece per le altre frequenze a disposizione sulle bande a 1800, 2000 e 2600 MHz.

L’asta per l’assegnazione delle frequenze sulla banda degli 800 MHz si è conclusa. Lo ha confermato il Ministero dello Sviluppo Economico indicando i vincitori definitivi della gara che ha fruttato allo Stato un importo pari a circa 2,96 miliardi di euro: Telecom Italia, Vodafone e Wind. Esclusa, quindi, H3G.
Prosegue invece il confronto per ciò che riguarda le altre frequenze a disposizione sulle bande a 1800, 2000 e 2600 MHz. Mentre i 2000 MHz sono stati sostanzialmente “snobbati”, l’interesse si è concentrato soprattutto sugli 800 MHz: utilizzando tali frequenze, la società di telecomunicazioni può allestire una rete mobile a banda larga di nuova generazione (in tecnologia LTE, Long Term Evolution) controllando i costi (gli investimenti sono più contenuti rispetto alle altre bande) e, soprattutto, avendo la possibilità di offrire una miglior copertura sul territorio (l’impiego di frequenze trasmissive basse permette di attraversare gli ostacoli più “difficili”). Le frequenze superiori agli 800 MHz consentono invece di coprire aree decisamente più contenute.
Stando alle informazioni rese pubbliche questo pomeriggio dal ministero, l’incasso totale sarebbe arrivato, al momento, a più di 3,9 miliardi di euro (la base d’asta era stata fissata a 2,4 miliardi).

Il problema più grosso è che le frequenze non saranno disponibili almeno per un altro anno e mezzo: l’appuntamento con la banda larga mobile di quarta generazione è quindi ancora ulteriormente rimandato. Franco Bernabè, amministratore delegato di Telecom Italia, in occasione di un evento tenutosi a Piacenza, ha dichiarato: “la disponibilità immediata delle frequenze, al costo di passare per un percorso complicato e incerto avrebbe potuto dare una spinta agli investimenti nella telefonia mobile di quarta generazione. In pratica la situazione è paradossale e negativa perché vengono sottratte risorse ad operatori che non possono avere immediatamente a disposizione le frequenze e di conseguenza su queste non possono fare investimenti“.

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