L’altra faccia della medaglia dell’edizione 2002 del Rapporto Federcomin, Anasin e Assinform su Occupazione e Formazione dell’Ict in Italia, riporta l’attenzione sull’annosa questione degli skill.
16 dicembre 2002 «Nel settore dell’Information & Communication Technology le competenze hanno un ciclo di vita ancor più breve si quello delle tecnologie. Motivo per cui, per le aziende di casa nostra, la formazione dovrebbe diventare risorsa strategica, e non residuale». Con queste parole Giancarlo Capitani, amministratore delegato di NetConsulting, ha terminato il suo intervento nel corso della presentazione dei dati riferiti al Rapporto 2002 Federcomin, Anasin e Assinform su Occupazione e Formazione dell’Ict in Italia. Rapporto che, se da una parte evidenzia un forte dinamismo nella crescita delle aziende attive nel settore dell’Ict rispetto al resto dell’economia, dall’altro punta il dito sul livello di competenze in campo, ancora inadeguato.
Ma al di là delle osservazioni sul ruolo che Governo e Istituzioni dovrebbero svolgere per incentivare gli investimenti in conoscenza da parte delle aziende, privilegiando non il singolo evento formativo, ma i progetti di tipo continuativo, l’accento è su un’altra questione.
Al crescere del numero delle imprese nel settore Ict corrisponde un aumento del numero di occupati. Ma siamo davvero sicuri che non si tratti degli esuberi del comparto costretti, per forza di cose, a rimettersi in gioco diventando imprenditori di sé stessi?
È quel che si è chiesto Maurizio Cuzari, amministratore delegato di Sirmi, dalla platea degli intervenuti alla presentazione del Rapporto. Perché l’aria che tira, a livello economico-finanziario, e non solo fra le mura di casa nostra, è tutto tranne che incoraggiante. La ripresa non decolla e con essa gli investimenti da parte delle aziende di tutti i settori, ancora ferme e in attesa che qualcuno faccia il primo passo, ancora troppo prese dall’ansia del recupero di marginalità ed efficienza attraverso il contenimento marcato dei costi. Ed ecco allora spiegato perché non si investe, o lo si fa ancora in misura troppo marginale, in formazione. A onor della cronaca sono le aziende It e i grandi gruppi bancari assicurativi che, nel 25,5 e nel 18,4% dei casi, investono in formazione di tipo tecnico professionale. Ancora ferma all’alfabetizzazione è, invece, nel 40,4% dei casi, la Pa Centrale seguita da quella locale, che la applica nel 17,5% dei casi.





