Il contributo che presentiamo è frutto di una collaborazione tra Lineaedp e gli Osservatori Cio: Ict Strategy & Governance e Ict Strategic Sourcing della School of Management del Politecnico di Milano. www.osservatori.net
L’espansione internazionale del business mette sotto forte pressione la Direzione Ict che si trova a dover supportare operation delocalizzate, garantendo livelli di servizio ed efficienza adeguati indipendentemente dalla localizzazione. In questi casi può emergere la convenienza o l’esigenza di gestire i servizi Ict da localizzazioni geograficamente remote o, come sempre più spesso si definisce questo approccio, in offshoring o nearshoring. Diventa, quindi, naturale considerare l’offerta di fornitori internazionali che già da anni si sono specializzati nell’erogazione di servizi in queste due modalità.
Allo scopo di analizzare il tema dell’internazionalizzazione dei servizi Ict, l’Osservatorio Ict Strategic Sourcing della School of Management del Politecnico di Milano ha approfondito, in questo terzo anno di ricerca, l’evoluzione delle relazioni cliente-fornitore in oltre 60 organizzazioni, analizzato 11 modelli di offerta di altrettanti player di mercato e, in collaborazione con le associazioni Aused e itSmf, ha censito tramite survey le esperienze di oltre 90 It manager.
I dati empirici della Ricerca, evidenziano un crescente ricorso a soluzioni di outsourcing sia near che offshoring. Il 32% delle imprese intervistate ha almeno una relazione di servizio con fornitori delocalizzati rispetto alla propria sede. In termini di sedi, risulta prevalente il ricorso a localizzazioni offshore, che sono oltre il 60%, per gran parte in India, rispetto a localizzazione nearshore, circa il 40% (fra le quali spiccano paesi dell’Est Europa e Spagna).
Per meglio comprendere il fenomeno, ci riferiamo ai risultati della survey associata alla Ricerca, in cui è stato chiesto di indicare i principali fattori che ostacolano il ricorso a soluzioni di near/offshoring.
Il principale ostacolo (come indicato nella figura della pag. a fianco) è rappresentato dalla differente cultura (26% delle risposte), seguìto dalla differente lingua (22%). Questo è un tema critico per le aziende italiane, in cui l’abitudine alla relazione è alto mentre l’uso delle lingue estere è scarsamente diffuso, a differenza dei paesi anglosassoni. Non è un caso che si ricorra a servizi delocalizzati in concomitanza a processi di internazionalizzazione del business proprio perché in questi casi la cultura aziendale si apre e risulta conveniente il ricorso a fornitori che abbiano la capacità e le strutture di seguire lo sviluppo del business a livello geografico.
A riprova del fatto che, almeno in Italia, near e offshoring sono strettamente legati a processi di internazionalizzazione, il ricorso a soluzioni di servizi in near/offshoring è utilizzato all’interno del nostro panel nell’85% dei casi da aziende multinazionali, equamente distribuiti tra gruppi italiani e gruppi stranieri. I fornitori, inoltre, si attrezzano per rispondere a questo ostacolo favorendo la conoscenza tra le persone per stimolare anche la successiva collaborazione informale e dotandosi di personale madre lingua.
Ulteriore ostacolo indicato è la necessità di strutturare e coordinare diversamente le attività (18%). Vi è infatti un’esigenza di maturità nella governance della relazione con fornitori delocalizzati. In particolare nella fase di set-up e avviamento iniziale del servizio, si deve essere in grado di spianare la strada per ridurre il rischio di incomprensioni e fraintendimenti e il conseguente innalzamento dei costi del servizio, quindi allineandosi su obiettivi e aspettative, conoscendo il business locale del cliente, le normative e i vincoli. Questo è stato confermato anche dai vendor, che in alcuni casi predispongono sistemi e suite per riprodurre la prossimità tra le persone e prevedendo una permanenza del personale delocalizzato presso le filiali dei clienti prima dell’attivazione del servizio. Secondo alcuni tra gli intervistati il rischio è che i costi di coordinamento crescano fino a rendere non più conveniente la minore tariffazione possibile e in sostanza vanificando gli obiettivi della delocalizzazione.
Al quarto posto troviamo la rilevanza dell’Ict e delle attività oggetto di outsourcing per il business (12%). Infatti, nei casi in cui le Ict hanno un ruolo altamente strategico per il business e la direzione Ict adotti un modello di laboratorio aperto con i propri fornitori, con forte integrazione e spesso stili di partnership, non abbiamo riscontrato il ricorso a fornitori delocalizzati nel nostro panel di ricerca.
Infine, è stato indicato come ostacolo la stabilità e le normative del paese. Abbiamo a questo proposito riscontrato dalle interviste con i vendor che è spesso determinante il ruolo delle istituzioni nel rendere una località geografica meta appetibile per i centri servizi. Come avvenuto in India e in alcuni paesi dell’Est Europa, anche in Italia località come Pozzuoli, Catania, Cagliari sono diventate alcune delle sedi preferenziali per la realizzazione di centri di erogazione da parte di importanti vendor di servizi, non solo Ict.
In sintesi, quindi, il fenomeno del ricorso a politiche di Ict sourcing delocalizzato è sempre più spinto dall’internazionalizzazione del business che, più ancora del saving economico, orienterà verso fornitori capaci di fornire servizi a livello internazionale. I benefici esistono e sono concreti, ma per essere colti pienamente le direzioni Ict e i fornitori devono entrambi investire nella razionalizzazione e nella formalizzazione specie nelle prime fasi di set up della relazione. In particolare dove l’Ict ha valore strategico per il business, in termini di supporto alla dinamicità e alla specificità, occorre riprogettare la governance della relazione in modo da garantire a livello locale la capacità di cogliere le opportunità e progettare innovazione.





