Da qualche mese si assiste a un proliferare di convegni e workshop dedicati all’Application management, a testimonianza del vivace interesse suscitato da questa problematica. L’esperienza sul campo dei fornitori, d’altro canto, testimonia che il tema è …
Da qualche mese si assiste a un proliferare di convegni e workshop dedicati all’Application management, a testimonianza del vivace interesse suscitato da questa problematica. L’esperienza sul campo dei fornitori, d’altro canto, testimonia che il tema è diventato “caldo” non solo a livello teorico, ma nelle problematiche affrontate ogni giorno dai Cio. Le domande che spesso restano senza risposta sono tante. Quante sono le applicazioni in azienda? Quante le linee di codice? Quali tecnologie di sviluppo in percentuale? Se vengono effettuate delle modifiche su un applicativo, quale impatto avranno?
Il business, infatti, dipende strettamente dalle applicazioni, sia per i processi operativi sia per le attività che arrivano direttamente sul mercato di riferimento, dove, per esempio, un servizio Web può fare la differenza rispetto ai competitor. Si pensi a quanto è importante, ormai, la disponibilità 24 ore su 24 dei servizi di home banking, dei siti di e-commerce o della posta elettronica, solo per citarne alcuni. Sui dipartimenti It la pressione è sempre più forte: ogni volta che i tempi di risposta si allungano o che il servizio è indisponibile si chiede ai responsabili di individuare e risolvere il problema rapidamente.
Arrivare alla radice del problema
«Per quanto si lavori sulla qualità dello sviluppo – afferma Cristiana Darra, technical specialist di Ca Wily, società specializzata nell’Application Performance Monitoring – in produzione le applicazioni presentano sempre dei problemi che non erano emersi in fase di test, poiché non è possibile simulare la realtà prevedendo tutti i comportamenti degli utenti. Con lo spostamento delle applicazioni critiche sul Web, l’It si trova a gestire problemi di business: diventa necessario, per esempio, sapere se il bonifico di un cliente è andato a buon fine, e questo 24 ore su 24 e con livelli di servizio molto alti. Non dimentichiamo che per ogni cliente che chiama per segnalare un disservizio, dieci non lo fanno. Ma quando sullo schermo compare una scritta del tipo “Http 304 error” i clienti abbandonano quel sito e si indirizzano alla concorrenza».
Il punto cruciale, secondo Darra, è la caduta del modello che vedeva le applicazioni chiuse in silos separati. «Oggi tutto è correlato – continua l’esperta -, tanto che non si riesce più a sapere l’impatto che può avere lo “spegnimento” di un’applicazione. Con i Web service, poi, ci sono servizi che invocano altri servizi: non è banale monitorare i tempi di risposta della transazione, e in questi contesti quattro secondi possono essere già troppi. Il risultato è che quando c’è un problema non si riesce ad arrivare alla radice: si continua a discutere rimbalzandosi la colpa a vicenda. Serve un approccio reattivo, ed è quello che noi proponiamo. Bisogna partire dalla percezione della qualità dell’applicazione da parte dell’utente».
Il cambiamento in atto è evidente anche secondo Fulvio Masuero responsabile Service Offering Application Management di Atos Origin Italia, che afferma: «Il focus sul portfolio applicativo è oggi una priorità. Finora l’approccio all’Application management è stato focalizzato su entità atomiche, quali il singolo progetto o l’applicazione. Agilità strategica e centralità dei processi di business impongono ora una rifocalizzazione a livello di intero portfolio, quale fattore abilitante di processi che si estendono oltre i confini della singola applicazione». Secondo Atos Origin, possono essere individuate quattro “trappole” che scaturiscono da una gestione riduttiva delle applicazioni e che finiscono con erodere il valore: la diminuzione dell’affidabilità e della disponibilità per l’utenza finale; la minore usabilità (per la complessità della documentazione o lo scarso supporto); la sempre più difficile integrazione con nuove applicazioni sviluppate per restituire valore al business. Ne deriva che la disponibilità, la flessibilità e il Tco sono gli elementi da indirizzare per massimizzare il valore dell’investimento applicativo, attraverso un mix adeguato di strumenti, organizzazione e processi. Un intervento niente affatto banale, che Atos Origin gestisce attraverso una metodologia strutturata sviluppata al proprio interno.
La preoccupazione dei top manager
Se è vero che It e business sono ormai legate a doppio filo, è altrettanto tangibile la diffidenza che molto spesso i manager hanno nei confronti degli esperti di informatica. Ne consegue uno scenario di incertezza e timore.
«Oggi i top manager percepiscono i sistemi It come un fattore di rischio per il business – sottolinea Sandro Artioli, country manager di Cast, società focalizzata nell’Application development governance -. Le applicazioni sono oggetto di scarsa fiducia e l’origine dei rischi è molto spesso legata al codice sorgente». Secondo un sondaggio condotto nel 2007 da The Economist, infatti, risulta che il 52% degli executive intervistati ritiene che la crescente complessità degli applicativi e dei sistemi aumenti la probabilità di It failure. Secondo Artioli, il problema principale è la mancanza di informazioni che fa sì che il management non sia più in grado di governare il processo di sviluppo. «Le informazioni non sono in azienda, ma nella testa di chi sviluppa– afferma -. La soluzione Cast analizza le applicazioni e fornisce le informazioni oggettive che aiutano nella governance del portafoglio applicativo».





