La rubrica di Linea Edp si occupa di contratti software stipulati in modo non completamente chiaro e banner pubblicitari con rimandi a siti inibiti
Quando da un preventivo
per una procedura di implementazione di un programma esistente sono escluse le
attività di installazione, test e addestramento, l’azienda di software può
ritenere “messe a punto” gli interventi effettuati per sviluppare le funzioni
facenti parte del preventivo e fatturarle in più?
f.
zanchetti
La risposta non può che essere in termini generici.
Innanzitutto la fonte delle obbligazioni delle parti e la misura dell’adempimento della società di software è il contratto, che ha forza di legge tra le parti. Normalmente dunque il contratto vincola le parti a quello che viene espressamente regolato. I contratti però usano il linguaggio naturale, che a differenza di quelli formali, è soggetto a svariate possibili interpretazioni. Inoltre, il contratto non vincola solo a quanto espressamente dichiarato dalle parti, ma allo stesso conseguono gli effetti previsti dalla legge o in mancanza, dagli usi o dall’equità (art. 1374 del Codice Civile). Può comprendere anche clausole d’uso, se non risulta che le parti non le hanno volute (art. 1340 del Codice Civile).
Pertanto, non è possibile a priori stabilire in concreto quale sia l’estensione delle obbligazioni della società di software, in quanto può essere che nell’offerta (il preventivo), si sia unicamente indicata la parte economica, senza dare una compiuta regolamentazione della parte normativa. In tal caso la società di software potrebbe trovarsi vincolata alle clausole d’uso, alle conseguenze previste dagli usi e addirittura dall’equità. Insomma, un bel guazzabuglio.
Vi sono, poi, gli usi raccolti dalla Camera di Commercio e quelli non ancora raccolti: per i primi, vi è una presunzione di esistenza dell’uso, per i secondi, la prova grava su chi afferma esistere tali usi. In un campo tutto sommato giovane come quello dei contratti di software, è difficile affermare che vi siano degli usi (il cui requisito è la continuazione nel tempo in forma sufficientemente stabile di una data clausola), ma non è da escludersi. La “scoperta” di un uso potrebbe, dunque, significare che chi offre un certo tipo di adeguamento di un programma esistente, debba anche curare in certo modo anche la “messa a punto”, qualunque cosa ciò significhi, a meno che ciò non sia escluso dal contratto.
Nasce, quindi, l’esigenza di essere il più specifici possibile quando si formula un’offerta, tenendo presente che le conseguenze economiche per l’offerente potrebbero far la differenza tra il guadagnare piuttosto lautamente e il trovarsi in perdita. La formalizzazione di condizioni contrattuali che vadano al di là della semplice offerta tecnica è a mio parere inevitabile, in quanto l’ambiguità di cui facevo menzione all’inizio, quando le cose vanno male, può lasciare amare sorprese in entrambe le parti. Sopratutto occorre essere chiari in ciò che si offre e in ciò che non si offre, nel fatto che l’elencazione dell’offerta sia tassativa o solo esemplificativa, sulla titolarità dei diritti di sfruttamento economico dell’opera realizzata. Dal punto di vista del cliente, invece, occorre avere ben chiare, sia tecnicamente che legalmente, le conseguenze di un determinato contratto e che ogni richiesta al di fuori dell’offerta può essa stessa generare un autonomo contratto. Tale offerta, poi, potrebbe venire da soggetti agenti a vario titolo, per cui è necessario anche stabilire con chiarezza chi abbia il potere di richiedere lavori o servizi fuori contratto e i criteri di retribuzione.
Per tornare alla domanda iniziale, tutto si può sostenere, ma non che quanto espressamente oggetto del contratto sia al di fuori del contratto e fatturabile a parte. Le clausole vanno interpretate, nel dubbio, le une per mezzo delle altre e in modo che tutte abbiano senso (art. 1363, 1367). Non avrebbe senso che in una clausola dico che il servizio A è compreso, nella clausola successiva dico che è escluso tutto ciò che ricade in B (es. messa a punto), per poi dire che A è “messa a punto”, per cui l’oggetto del contratto (l’attività A) è fuori del contratto (perché ricade in B). La clausola verosimilmente è da interpretarsi nel senso che è al di fuori del contratto tutto quanto sotto B, tranne A. Ciò corrisponde anche all’interpretazione di buona fede (art. 1366).
Sono titolare di un sito
che mostra banner pubblicitari, forniti da una società specializzata. Alcuni di
questi puntano a siti di scommesse “oscurati”. Rischio
qualcosa?
p. andinelli
Un recente provvedimento ha imposto agli Internet Access Provider di “oscurare” i siti di scommesse stranieri non concessionarie del servizio in Italia.
Il provvedimento si indirizza ai fornitori di connettività, ai service provider e ai content provider. A stretto rigore, chi ospita sul proprio sito servizi pubblicitari di operatori terzi non ha contatti con i soggetti pubblicizzati, ma offre comunque collegamenti a questi, dunque potrebbe in teoria essere coinvolto. Ad esempio, il fornitore di connettività che trasmette informazioni fornite da un operatore non autorizzato dovrebbe provvedere a inibire la veicolazione di tale contenuto. Tuttavia, a me pare che l’esempio citato non rientri per nulla in questo caso. Il caso menzionato potrebbe essere considerato, sia pure molto alla lontana, “service provider” o “content provider”. Dunque potrebbe essere responsabile nel caso in cui non fornisca all’Amministrazione notizie di cui viene in possesso circa l’esercizio non autorizzato di scommesse on line.
L’operatore potrebbe essere inoltre responsabile per la mancata inibizione del servizio. Trattandosi di sito già inibito, il collegamento ipertestuale non dovrebbe portare ad altro che a una pagina che avvisa dell’inabilitazione. In alcuni casi ciò potrebbe non essere vero, magari per una dimenticanza o una svista di un altro operatore, nel qual caso, se il collegamento funzionasse, vi potrebbe essere una responsabilità.
Ricordiamo, tuttavia, che non v’è un obbligo generale di sorveglianza, dunque per incorrere nelle sanzioni occorre che vi sia una conoscenza positiva dell’esistenza di un servizio a favore di un sito di scommesse non autorizzato. Dunque il provvedimento non ha trasformato i fornitori di servizi in poliziotti. Sappiamo, però, come in passato sanzioni anche penali siano state irrogate sul presupposto “non poteva non sapere”. La prudenza non è mai troppa, viste soprattutto le sanzioni: da 30.000 a 180.000 euro per ogni violazione accertata. Inoltre, vi è una responsabilità civile nei confronti degli operatori autorizzati quando non ci si attivi per inibire la trasmissione, dopo essere stati informati dell’illiceità del sito: ciò significa pagare ai concessionari il mancato guadagno per le scommesse “perse”.
Personalmente ho forti dubbi sull’impianto di tale provvedimento, soprattutto perché impedisce la veicolazione di servizi anche di operatori comunitari, in un regime improntato alla libera prestazione transfrontaliera. Esiste già un procedimento per far dichiarare tale provvedimento illegittimo, ma non è chiaro se e come un’eventuale illegittimità possa riguardare le sanzioni che dovessero essere nel frattempo irrogate.
L’esperto
Lo studio Tamos Piana & Partners di Milano si
occupa di campi innovativi del diritto civile e amministrativo, tra i quali
l’Information technology law e il diritto del software, ma anche di appalti
pubblici di servizi, di privacy e di diritto sanitario. Attraverso un sistema a
rete garantisce assistenza e consulenza nei campi di interesse delle aziende e
degli enti pubblici. Carlo Piana è socio fondatore dello studio, membro italiano
e fondatore di euroITcounsel, circolo europeo di qualità di avvocati
specializzati in It&Tlc law, nonché parte del team legale della Free
Software Foundation Europe. Vanta un’esperienza più che decennale nel settore
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