Lavoro agile? In Italia resta una minaccia alla produttività

Home_WorkingPiace ma sono ancora in pochi a praticarlo. Parliamo del cosiddetto lavoro agile o smart working, terminologia in uso per identificare la possibilità di mettere in dubbio la consuetudine quotidiana rappresentata dal recarsi fisicamente presso il proprio posto di lavoro.
I device tecnologici in grado di consentire una connessione a Internet in qualsiasi momento, praticamente da qualsiasi luogo, non manca. Eppure sono ancora pochi gli italiani che svolgono le proprie mansioni lavorative da casa o da remoto frenati dalla mancanza di strumenti adeguati e da una serie di resistenze che ancora permangono, a livello culturale, nella maggioranza delle aziende.

Lo dicono i dati di una ricerca condotta da ContactLab su un campione di 1.200 individui rappresentativo dei lavoratori tra i 25 e i 54 anni, utenti regolari di Internet. A commissionarla ci ha pensato Citrix Italia, interessata a indagare l’interesse verso le forme di lavoro agile o smart, per conoscere i profili di chi ne beneficia e capire i principali vantaggi e svantaggi percepiti.

Realizzata in occasione della Giornata del Lavoro Agile promossa oggi dal Comune di Milano, l’analisi mette a nudo una prima evidenza: in Italia meno del 10% delle aziende prevede per i propri lavoratori una modalità di lavoro smart.
Una modalità che, però, sempre secondo quanto evidenziato da ContactLab, interessa ben l’81% dei lavoratori intervistati. Più familiari (27%) che professionali (7%) le motivazioni addotte per ricorrervi, tanto che il lavoro smart o agile si associa soprattutto ai genitori con figli piccoli (62%) e alle donne in generale (60%), tant’è che, al 67%, l’ambito in cui si concretizza lo svolgimento del lavoro in modalità smart o agile da noi è domestico.

Ciò nonostante, a fronte di vere e proprie resistenze culturali verso forme di lavoro basate più sul raggiungimento di obiettivi concordati che sul numero di ore trascorse in ufficio, il 50% dei lavoratori che sta usufruendo del flexible working lo fa con una frequenza di sole 9 volte al mese.

Il dito, ahinoi, resta puntato su una classe dirigente italiana “vecchia” e su un sottoutilizzo delle tecnologie oggi a disposizione, nonostante in Italia la penetrazione del mobile sia stata molto più elevata e veloce che altrove.

Ciò detto, la speranza è che il trend si inverta presto, anche in risposta alle necessità delle nuove generazioni di lavoratori abituate a vivere connesse e a lavorare in modi e tempi molto diversi da quelli ancora in uso oggi.
A loro favore ci sono i numeri della soddisfazione espressa dai pochi che hanno accesso a una forma di lavoro agile e che, nel 78% dei casi, evidenziano una condizione lavorativa sensibilmente migliorata in primis in termini di tempo risparmiato in inutili spostamenti, stando all’87% del campione.

A fronte di una modalità ritenuta in un altro 86% dei casi la soluzione ideale per bilanciare al meglio lavoro ed esigenze personali restano, però, una serie di preoccupazioni espresse dai lavoratori smart.

Il 48% di loro teme, infatti, di non avere a disposizione strumenti altrettanto efficaci di quelli utilizzati in ufficio, mentre un altro nutrito 51% si dice preoccupato per la difficoltà di coltivare relazioni lontano dal luogo di lavoro.
A questi vanno aggiunti un ulteriore 54% di lavoratori da remoto in dubbio sulle possibili distrazioni legate all’ambito familiare e domestico e da un altro 44% di rispondenti che temono di non riuscire più a distinguere tra ambito lavorativo e sfera privata.

 

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