Fin troppo silenzioso su molti temi legati allo sviluppo e all’implementazione di nuove tecnologie sul territorio, lo Stato italiano è ora oggetto di critiche anche sulle proprie scelte come utente. Da qualche giorno, infatti, è pubblicat …
Fin troppo silenzioso su molti temi legati allo sviluppo e
all’implementazione di nuove tecnologie sul territorio, lo Stato
italiano è ora oggetto di critiche anche sulle proprie scelte come
utente. Da qualche giorno, infatti, è pubblicata sul sito di Interlex
una lettera aperta nella quale un migliaio di firmatari, fra
amministratori pubblici, gruppi di consumatori e accademici denuncia
un’eccessiva dipendenza nelle scelte dai prodotti Microsoft. Il
documento è indirizzato ai principali rappresentanti della Pa
centrale italiana, ai ministri economici e all’Aipa e sarà presentata
a breve direttamente al ministro della Funzione pubblica, Franco
Bassanini.
Gli estensori della lettera partono da lontano, dai ritardi cronici
del nostro Paese in fatto di aggiornamento tecnologico, lamentando
come lo Stato spenda solo l’1,3% del prodotto interno lordo per l’It,
contro il 2,3% di media europea, chiedendo poi di verificare se
esistano investimenti non necessari, costi eccessivi o dispersioni.
Ma il titolo "La dipendenza informativa dello Stato italiano da
Microsoft" non lascia dubbi su quale sia il vero bersaglio della
riflessione. Viene fortemente criticato il fatto che la Pa sia
costretta ad aggiornare più o meno ogni due anni il proprio software,
per includere feature spesso non necessarie per lavori d’ufficio e
ottenere l’effetto di rendere incompatibili versioni nuove e vecchie.
Anche la sicurezza dei prodotti Microsoft viene messa in discussione,
come dimostrato dall’incursione degli hacker brasiliani avvenuta
nello scorso maggio.
La soluzione proposta è di passare all’open source. Qui, però, c’è
una scelta di campo che inficia un po’ gli scopi del documento.
Infatti, si fa chiara menzione di StarOffice, prodotto freeware di
Sun, come alternativa alla scelta di Microsoft Office. Detto ciò, la
lettera si chiude con l’invito alla Pa di controllare meglio i prezzi
dei prodotti acquistati, di vagliare attentamente le proposte open
source e di verificare se le scelte passate siano sempre avvenute con
regolare gara. In questo modo e passando all’open source, dice il
gruppo di esperti, lo Stato potrebbe risparmiare fino alla metà
dell’attuale budget software, di quasi 3 miliardi di lire all’anno.
Va detto che qualche precedente, a livello di pubbliche
amministrazioni centrali, negli ultimi mesi è già avvenuto. In Cina,
per esempio, il governo ha annunciato di voler adottare Linux come
piattaforma per la rete di e-commerce nazionale, in Francia è stata
raccomandata l’adozione dello stesso Os nelle scuole e la maggioranza
del parlamento danese ha prodotto un simile documento, che raccomanda
allo Stato di utilizzare solo software open source.





