Idc ha delineato i nuovi ambiti entro i quali deve muoversi un progetto di e-learning, che preveda punti di contatto con il Km.
La formazione in formato "@" non è più una moda, ma fa parte del business aziendale, come strategia che aumenta la creazione del valore. La chiave del successo? Lo sviluppo di un progetto "globale" capace di integrare attività di e-learning con il Knowledge management, dando vita a un pubblico di fruitori che si definisce e si relaziona attraverso una e-learning community. Questo, in sintesi, il punto della situazione che si può dedurre dallultimo convegno organizzato da Idc a proposito di e-learning. Secondo i dati presentati nellultima ricerca, il 55% delle aziende italiane ha intenzione di investire in e-learning tra lanno in corso e i prossimi due anni, con lobiettivo di accrescere competitività ed efficienza, inserendo la formazione in un processo più generale di reingegnerizzazione aziendale, che codifica contenuti, step e relazioni attraverso una sorta di "modellizzazione" che aiuta a fare chiarezza. Soprattutto in un mercato in cui, come nel nostro Paese, si è generata non poca confusione, dovuta anche al fatto che gli operatori erano e sono i più variegati: business school, società di formazione tradizionale, content provider, società Ict e società di consulenza, pure player. La frammentazione dellofferta ha generato un mondo eterogeneo, movimentando una piazza con scarse barriere allingresso, nellattesa che il darwinismo digitale facesse, ancora una volta, il suo corso. Il paradigma della formazione, invece, deve essere declinato in tutte le sue valenze, allo scopo di veicolarle allinterno dellintero "progetto azienda".
Capitalizzare la conoscenza
"Le-learning è il processo che prevede la fornitura di servizi di training via Internet, intranet o extranet a un utente finale dotato di personal computer o di un collegamento alla rete – ha spiegato Antonio Romano, vice president regional research di Idc Sud Europa -. È tempo di ripensare e mettere a fuoco la catena del valore nella formazione a partire dalle fasi di valutazione, progettazione, sviluppo e delivery fino ad arrivare alla definizione di servizi dedicati. La novità sta nel fatto che si sono identificati dei punti in comune tra lattività di e-learning e il Knowledge management: tecnologia come fattore abilitante, focus sullindividuo, riduzione dei tempi di risposta di vendite e servizi di assistenza, disponibilità delle informazioni nei processi decisionali, facilitazione nellutilizzo dei processi, uniformità e qualità dei contenuti trasmessi, riduzione delle limitazioni di tempo e risorse".
La crescita e lo sviluppo delle aziende, infatti, passa sempre più per la capacità di capitalizzare e valorizzare le conoscenze e le competenze delle persone e questo implica la centralità delluomo come variabile strategica di competizione e differenziazione. Per le aziende che vogliono affrontare il futuro, potenziando la propria presenza sul mercato, il problema della capitalizzazione e del trasferimento di competenze non può e non deve essere riconducibile alla scelta di piattaforme di e-learning che, in ogni caso, gestiscono solo le modalità di apprendimento organizzate e formalizzate, né alla scelta di piattaforme di content management, che gestiscono solo i contenuti espliciti; dovrebbe, invece, essere ricondotto allapprofondimento delle modalità con cui avvengono i processi di utilizzo, generazione e trasferimento delle conoscenze in azienda.
"I dati indicano che nella pratica operativa reale, il trasferimento di competenze avviene per ben il 75% in modalità informale e non organizzata – ha affermato Ippolito Turco, partner Nusia -. In pratica le situazioni di apprendimento più diffuse avvengono durante le interazioni tra le persone che lavorano in azienda e sono di tipo one-to-one. Inoltre, ben il 75% della conoscenza gestita in azienda è tacita mentre il 25% dellattività formativa si concentra su ciò che è già esplicito. Allora si capisce bene come il vero problema e la vera sfida, oggi, consistano nel supportare meglio linformale e rendere più esplicito il tacito, attraverso un approccio metodologico e una soluzione che poggiano sulla profonda conoscenza dei processi di Km e di apprendimento nelle organizzazioni, consentendo alle aziende di capitalizzare il proprio capitale cognitivo, e di tradurlo quindi in un asset in grado di generare vantaggio competitivo". Il nuovo diktat per il management più lungimirante è quello di patrimonializzare la conoscenza aziendale in unottica di migliore riorganizzazione e riqualificazione delle risorse umane in risposta alle mutate condizioni del mercato, ma anche come detonatore di business.
Un fenomeno sociale
Secondo Idc, la strada dellintegrazione di soluzioni tradizionalmente indipendenti, sta già cominciando a vedere alcune sovrapposizioni funzionali e infrastrutturali. Da una parte gli obiettivi delle-learning si stanno espandendo verso una sempre maggiore inclusione di informazioni destrutturate (per esempio, collaborazioni online), dallaltra il Km cerca di utilizzare contenuti di formazione più strutturati (per esempio multimedia-based learning object).
"Al fine di acquisire le leve necessarie a questa sovrapposizione, le organizzazioni cominiciano a sviluppare dei punti centrali di accesso e storage della conoscenza, o knowledge hub – ha proseguito Romano -. Idc ritiene che i knowledge hub siano però solo un passaggio verso una reale convergenza, che avverrà soltanto quando le persone, non solo i dipendenti, ma tutti gli individui coinvolti nella catena del valore, i processi e le tecnologie di entrambe le soluzioni saranno integrate al meglio". Cambiando i presupposti, cambiano le prospettive: lapprendimento diventa così un fenomeno sociale basato in parte sullassorbimento individuale di conoscenze, in parte su processi di collaborazione che si instaurano tra più persone, fondati sulla condivisione di esperienze pratiche (comunità pratica o learning community). Un progetto di e-learning deve tener conto di questa modalità "non formale" di apprendimento, che nei corsi di aula tradizionale si sviluppa intorno a relazioni personali che si instaurano tra le persone. La formazione in rete diventa apprendimento collaborativo tramite ricorso a particolari metodi e/o tecnologie con cui prima si crea e poi si aiuta a far crescere una comunità di utenti. È chiaro che, in questo contesto, le piattaforme sono solo una commodity, perché il fulcro del sistema sta proprio nellottimizzazione delle risorse cognitive, intellettuali e operative che lavorano in o con lazienda.
"Attivare una community significa diverse cose – ha precisato Giuliano Favini, amministratore delegato di Logotel -. Innazitutto costruire una rete di relazione tra gli utenti del servizio e favorire le sinapsi e i cortocircuiti tra individui e tra individui e redazione. È necessario creare occasioni di comunità per rendere "visibili" i suoi partecipanti, aggregando con tempi e ritmi che possono dare un senso a una comunità che si serve di uno strumento apparentemente "senza regole". Un altro punto strategico sta nello stabilire delle regole che non sono insidacabili: si deve essere pronti a ridiscuterle almeno ogni 3 mesi, perché la comunità partecipa, discute, spiega, introduce nuovi argomenti, si schiera, critica, difende e attacca, si organizza".





