Il nostro reality non prevede interventi dimostrativi.
Dopo la sparata del presidente iraniano Ahmadinejad per la cancellazione dello stato di Israele (messa già un atto, peraltro, dai nostrani produttori di mappamondi, che se vogliono venderli alle scuole dei Paesi arabi lo fanno senza troppi scrupoli) e la conseguente ondata di sdegno internazionale, che ci ha visto, come paese, in prima fila, il quotidiano di Confindustria ha titolato “Rischio commesse per l’Italia”.
Il pragmatismo debortoliano ha voluto ricordare ai lettori che l’Italia è il primo partner commerciale dell’Iran. Tradotto: cosa faranno adesso gli ayatollah? Ci taglieranno il petrolio, con cui pagano i nostri ingegneri civili, petroliferi, chimici, impegnati a riempire di infrastrutture il paese persiano?
Insomma, la lezione è questa: politica, società, cultura, trovano contrappeso nel commercio e, spesso, soccombono.
La sensazione che si prova, senza fare i demagoghi, è che la vinca sempre il denaro.
Stessa sensazione che provano i dipendenti extra-americani delle multinazionali dell’It, ogni volta che al di là dell’oceano decidono tagli di personale sulla base dei loro conti interni. Un caso, tanto per rimanere in cronaca: Novell.
I tagli li decidono e li fanno “di la” e “di qua”, senza contare che “di la” hanno nel mercato del lavoro un ammortizzatore ben oliato che “di qua” non c’è.
È il prezzo che si deve pagare per essere, volontariamente, provincia dell’impero: qualcuno decide che tu devi scomparire.
Tutto sommato sembra che Ahmadinejad lo si possa contrastare.