La difficoltà dei manager di bilanciare competenze generaliste e tecniche

Solo con un adeguato programma di formazione il dirigente può arricchire il proprio know how e capire quali tecnologie implementare per supportare l’evoluzione del business aziendale. Nuovi corsi dell’Istud per agevolare la nascita di figure a tutto tondo.

È ormai luogo comune dire che i manager sono chiamati sempre più spesso a gestire processi di cambiamento, affrontando problemi complessi la cui risoluzione richiede di abbandonare la logica strettamente funzionale attraverso l’attivazione, il coinvolgimento e il contributo di tutte le risorse e tutte le competenze presenti nei processi aziendali. Oggi per i manager ci sono problemi faticosi da definire e c’è molta confusione su ruoli e responsabilità.


"Oltre ai problemi di logica gerachica e burocratica, anche per motivi giuridici, si fa fatica a capire nelle organizzazioni chi sia il vero responsabile – sostiene Pasquale Gagliardi, amministratore delegato Istud -. Pur essendoci forti cambiamenti in atto, però, trovo che il ruolo del manager non sia poi così cambiato nel tempo: all’interno di un’impresa la sua missione ha uno scopo, non basta la sua attività di singolo per governare, in base alle necessità gli sono richieste competenze specialistiche. A ben guardare, questa è la logica basilare per cui nasce un’organizzazione: identificare le competenze e stabilire un’ipotesi di coordinamento e di gestione. Senza polemizzare, trovo che anche la vita professionale di un manager non sia poi così diversa dal passato: entra in un settore specialistico, dunque nasce in una comunità specialistica, e poi diventa general manager. Insomma: fa parte di un pacchetto di interventi". Se il suo ruolo è questo, che cosa è davvero cambiato? "La disponibilità dei manager ad affrontare programmi di formazione – osserva Gagliardi -. Oggi i manager non hanno più tempo sul lavoro per formarsi una visione d’insieme delle relazioni dinamiche che intercorrono all’interno delle organizzazioni in cui operano. In genere, si procede con un sistema di tipo binario: marketing e logistica, strategia e finanza, produzione e distribuzione… Manca quell’approccio, per così dire "insiemistico" per cui si parte dai problemi concreti, nella loro interezza, cercando di capire simultaneamente le diverse prospettive necessarie per governare e dominare la situazione. Un approccio che permetterebbe di amministrare l’azienda oltre il mero tecnicismo. Nell’esperienza di un manager deve rimanere intatta l’esigenza di bilanciare prospettive generalistiche con competenze tecniciste. E questo può essere risolto con la formazione".


Le organizzazioni, d’altro canto, hanno aspettative molto alte nei confronti della loro classe dirigente. Si aspettano non soltanto di poter contare su un management capace di gestire in modo integrato e interfunzionale l’azienda, ma che sappia comprendere strategie e obiettivi aziendali, traducendoli rapidamente in azioni e decisioni. Un management capace di coinvolgere e attivare il contributo migliore dai colleghi e dai collaboratori, dunque che sappia comunicare. Questo presuppone una capacità di prospettiva in cui l’azienda deve essere percepita come un sistema le cui connessioni sono più importanti delle parti e dove la comprensione delle logiche avviene attraverso l’acquisizione di metodi e strumenti che possono coinvolgere risorse e competenze che appartengono anche ad altri reparti funzionali, al fine di elaborare soluzioni innovative. I casi più macroscopici sono quelli in cui il management deve operare all’interno di una situazione di scorporo oppure di messa a termine di un certo tipo di business o di conversione verso un altro.


L’Istud (Istituto Studi Direzionali), a trent’anni dal varo del primo corso Psad (Programma di sviluppo delle abilità direttive) con Fga (Fondamenti di gestione aziendale), rinnova la sua logica e la sua struttura per rispondere all’evoluzione dei bisogni formativi del top management, definendo quali sono le esigenze prioritarie dei general manager di ultima generazione: poter imparare come elaborare l’esperienza propria e altrui; potersi allenare a risolvere i problemi; imparare a imparare come imperativo; poter conciliare il tempo della formazione con il lavoro.

Gli skill richiesti


Come si trasforma il cambiamento in business? "Bisogna pensarlo, interiorizzarlo e gestirlo da manager, cioé una volta definito e rappresentato, comunicarlo agli altri – ribadisce Simona Bertinotti, direttore Risorse Umane Europa, gruppo Embraco -. Solo attraverso una buona comunicazione, infatti, è possibile ottenere il contributo di tutte le risorse aziendali e questo attraverso un’azione quotidiana, in cui i modelli decisionali vengono trasmessi e riconosciuti a tutti i livelli dell’organizzazione. In ogni caso, trovo che essere manager oggi non sia né un arte né una scienza, bensì una scommessa. Indipendentemente dalla scelta di campo, essere dirigenti oggi significa sapere pensare con un approccio a 360°. Di fatto, nelle aziende, è sempre più difficile trattenere manager brillanti e con doti di leadership, così come è vero che ci sono sempre più persone che mettono in primo piano le esigenze personali a quelle professionali". Per questo che la formula vincente, secondo Bertinotti sta nel saper avvicinare lo sviluppo delle competenze manageriali ai valori delle persone e delle aziende. Gli skill fondamentali richiesti, sono la flessibilità intesa come capacità di reagire a situazioni impreviste e immediate, nel rispetto degli altri. Siamo troppo spesso chiamati a portare soluzioni rapide e vincenti e così non c’è mai tempo per fermarsi a riflettere, per formalizzare l’esperienza e tradurla in sapere da trasmettere ai colleghi. Ma, al di là di tutto, se non si crede nell’azienda e in se stessi, ogni sforzo è inutile. Se manca la motivazione, infatti, l’impatto e i risultati sono molto diversi per qualità e livello. Dunque, ancora una volta, la formazione è una risposta importante al problema perché, a prescindere dalla specificità del ruolo, è un benchmark: un’attività di authoring e di Fad deve entrare a far parte dell’operatività quotidiana nell’ottica di condivisione delle competenze latenti che devono essere "estratte" dal contesto e fatte diventare pillole di conoscenza.


Applicando la formula darwiniana che la specie che meglio sopravvive è quella più capace a rispondere rapidamente al cambiamento, allora per i manager si profila un futuro in cui delegare, interporre o demandare non dovranno più costituire normale prassi. Il primo cambiamento dovrà essere verso se stessi, attraverso lo sviluppo di nuove doti in cui la capacità di condivisione e di relazione con gli altri partner in azienda dovrà essere rivalutata come elemento strategico di produttività, personale e organizzativa.

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