La banda larga wireless piace ai comuni italiani

Le amministrazioni locali, in collaborazione con provider specializzati, sono protagoniste di una lunga serie di iniziative in tutta la penisola per superare il digital divide

A luglio del 2005 la normativa italiana si adeguava, finalmente, a quella della maggior parte degli altri paesi industrializzati, liberalizzando il mercato dei collegamenti wireless nelle bande non licenziate. Diventava possibile, in pratica, “accendere” ponti radio e access point funzionanti su frequenze libere (cioè non vincolate e soggette a specifica licenza, come 2,4 e 5,4 GHz) senza chiedere il permesso a nessuno.

L’effetto è stato dirompente. L’anno successivo prendevano il via decine di iniziative basate su tecnologie Wi-Fi e Hiperlan e mirate a portare la connettività Internet in tutte quelle aree non raggiunte dall’Adsl e tantomeno dalla fibra ottica. Non solo piccoli e piccolissimi comuni, aree montane o zone rurali. Anche quartieri di città grandi e medie, che, a causa dell’eccessiva lunghezza del doppino telefonico del cosiddetto “ultimo miglio”, restavano tagliate fuori dalle offerte dei provider nazionali, Telecom in testa. Un fermento che non si è spento nei mesi successivi, anzi è aumentato a tutti i livelli, con l’avvio di una serie di gare: comuni singoli o organizzati in consorzi, province, regioni, comunità montane, aree residenziali e via dicendo, che a centinaia hanno dato approvazione e supporto per l’installazione delle antenne sul territorio di loro competenza.

«Sempre più spesso – afferma Enrico Valzano responsabile progetti di WiFi Company, provider che ha avviato diverse iniziative in Italia – i comuni vedono nascere gruppi di cittadini in rivolta contro la Telecom che non porta la connettività e non vuole effettuare investimenti nella zona. Gli amministratori pubblici si fanno carico del problema anche perché ottengono un ritorno in termini di popolarità». In ogni caso, è ormai consolidata l’idea che le reti a larga banda rivestano un ruolo chiave nel valorizzare il territorio e nel creare opportunità di sviluppo, paragonabile a quello di strade e ferrovie.

È chiaro che, in questo contesto, il ruolo della pubblica amministrazione è fondamentale. Si tratta, infatti, di trovare un posto adatto per piazzare le antenne necessarie per rilanciare il segnale, che arriva via cavo, tipicamente in Hdsl, fino al punto cablato più vicino all’area da illuminare in wireless. I siti più idonei per le antenne sono tetti, campanili delle chiese, tralicci della Tv e dei cellulari e via dicendo; si cerca sempre di minimizzare l’impatto ambientale e, quindi, di sfruttare ciò che già esiste sul territorio.

«Il modello di business generalmente prevede per la Pa un ruolo di facilitatore – spiega Piervincenzo Nardese, Enterprise Wireless Networks Engineering di Nortel. – Il service provider realizza e gestisce la rete fornendo servizi alle amministrazioni pubbliche e ai privati. La nuova infrastruttura può essere di proprietà del provider o della Pa, che, in questo caso, ne dà la concessione al fornitore di servizi».

In molti casi, ai comuni non è chiesto di investire fondi in prima persona, ma di offrire supporto logistico e organizzativo nella messa a disposizione dei siti ma anche nel pubblicizzare l’iniziativa attraverso i propri canali di comunicazione con i cittadini.

Va anche ricordato che le vigenti norme di legge in materia di sicurezza informatica e antiterrorismo, ovvero il decreto Pisanu, non consentono la navigazione in Internet senza autenticazione.

Ciò significa che non è possibile offrire servizi accessibili a tutti in maniera incontrollata, come negli hot spot gratuiti largamente diffusi all’estero.

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