La fiducia nell’intelligenza artificiale non è mai stata così alta, ma la sua trasformazione in valore concreto per il business continua a essere lenta e frammentata. È questo il paradosso che emerge dall’ultimo studio di Insight sull’AI autonoma: mentre oltre la metà delle aziende europee dichiara di fidarsi della tecnologia, solo una minoranza è riuscita a portarla fuori dai laboratori e dai progetti pilota.
Il dato più emblematico è lo scollamento tra percezione e realtà operativa. Il 57% delle organizzazioni afferma di avere “molta fiducia” nell’affidabilità dell’AI, ma appena il 5% in Europa ha completato un’integrazione strategica nelle proprie operation. Il resto del mercato rimane sospeso in una fase intermedia, fatta di sperimentazioni circoscritte, casi d’uso a basso rischio e iniziative che raramente incidono sui processi core.
Italia più matura della media, ma ancora bloccata nella fase pilota
Nel panorama europeo, l’Italia mostra segnali contrastanti. Da un lato, si distingue positivamente per il livello di maturità: l’8% delle organizzazioni italiane dichiara di aver già integrato pienamente l’AI, una percentuale superiore alla media continentale. Dall’altro, il Paese è anche quello in cui il blocco sui progetti pilota appare più evidente, con l’84% delle aziende che non è ancora riuscito a scalare l’AI su larga scala.
È una fotografia che racconta un sistema produttivo curioso, interessato e consapevole del potenziale dell’intelligenza artificiale, ma ancora prudente nel trasformarla in una leva strutturale di competitività. Una prudenza che non nasce dalla diffidenza verso la tecnologia, bensì dalla difficoltà di governarla.
“È incoraggiante vedere che l’8% delle organizzazioni italiane ha completamente integrato l’AI nelle proprie operazioni, ma questo dato sottolinea anche l’urgenza di andare oltre le fasi pilota”, osserva Pietro Marrazzo, General Manager di Insight per l’Europa del Sud. “Per sbloccare davvero valore servono basi operative solide e una visione strategica chiara”.
Il vero freno non è la fiducia, ma l’esecuzione
I risultati del report sono netti: la fiducia non è il principale ostacolo all’adozione dell’AI. Solo l’1% dei responsabili IT indica la mancanza di fiducia nella tecnologia come una barriera rilevante. I problemi emergono altrove, nella complessità dell’integrazione e nella capacità delle organizzazioni di assorbire il cambiamento.
Le difficoltà tecniche legate all’integrazione con i sistemi esistenti rappresentano il primo freno, seguite dalla carenza di competenze specialistiche e dalla resistenza culturale interna. A questi fattori si aggiungono lacune nei modelli di governance e nei framework di responsabilità, elementi che diventano critici quando si parla di AI autonoma, cioè di sistemi capaci di prendere decisioni con un intervento umano minimo.
Il risultato è un’adozione prudente, spesso confinata a contesti controllati, che limita l’impatto trasformativo dell’AI e ne riduce il ritorno sugli investimenti.
AI autonoma: il nodo della fiducia organizzativa
Il report di Insight dedica ampio spazio al tema dell’AI autonoma, considerata il prossimo salto evolutivo dell’intelligenza artificiale. Non si tratta più solo di supportare le decisioni umane, ma di delegare ai sistemi intelligenti intere catene decisionali e operative.
È qui che emerge il vero “ostacolo della fiducia”. Solo il 16% dei leader si dichiara molto a proprio agio nel delegare decisioni a sistemi di AI autonoma, e appena il 15% è estremamente fiducioso negli output generati. Le preoccupazioni riguardano soprattutto l’accuratezza dei risultati, il rischio di bias e la mancanza di trasparenza nei processi decisionali, spesso percepiti come “scatole nere”.
In assenza di una governance chiara e di responsabilità ben definite, l’AI autonoma viene vista come un rischio più che come un acceleratore di efficienza. Non a caso, solo il 16% delle aziende afferma di avere piani di accountability molto chiari per l’uso di questi sistemi.
Dal pilot alla produzione: il salto che pochi riescono a fare
Il passaggio dalla sperimentazione alla produzione resta il momento più critico. Negli ultimi dodici mesi, solo il 7% delle aziende europee ha implementato sistemi di AI autonoma in modo esteso. Alcuni settori, come sanità e manifatturiero, mostrano una maggiore propensione alla scalabilità, ma il quadro generale resta frammentato.
Le organizzazioni che riescono a progredire condividono alcune caratteristiche comuni: investono in competenze, costruiscono team dedicati all’innovazione AI e adottano un approccio graduale, partendo da casi d’uso a basso rischio ma con una chiara roadmap di crescita. Soprattutto, affiancano alla tecnologia un cambiamento culturale che coinvolge l’intera azienda.
Infrastrutture ibride e nuove complessità operative
A complicare ulteriormente il quadro contribuiscono le scelte infrastrutturali. Oggi le aziende non scelgono più tra cloud e on-premise, ma cercano di bilanciare entrambi, integrando anche l’edge computing. Il 52% delle organizzazioni preferisce soluzioni AI basate su cloud, ma il 44% continua a puntare sull’on-premise per esigenze di controllo, conformità e prestazioni.
Questa architettura ibrida aumenta la flessibilità, ma richiede competenze avanzate di orchestrazione e una visione strategica che molte aziende non hanno ancora sviluppato. Non sorprende quindi che l’integrazione tecnologica resti la barriera principale alla scalabilità.
L’AI come leva culturale, non solo tecnologica
Secondo Insight, il vero discrimine tra chi resta fermo ai pilot e chi scala l’AI è l’esperienza diretta. Le aziende che hanno già implementato completamente l’AI autonoma mostrano livelli di fiducia sei volte superiori rispetto a quelle ancora in fase esplorativa. In altre parole, la fiducia non precede l’adozione: ne è una conseguenza.
“L’AI autonoma non è solo una questione tecnologica, ma culturale”, sottolinea Adrian Gregory, Presidente EMEA di Insight. “Serve una leadership capace di guidare il cambiamento, modelli di governance solidi e partner in grado di accompagnare le aziende lungo tutto il percorso”.
Il messaggio che emerge è chiaro: senza un approccio strutturato, l’AI rischia di rimanere una promessa incompiuta. Con le giuste basi, può invece diventare un fattore chiave di competitività, efficienza e innovazione sostenibile.






