Le sinergie nascono principalmente per abbattere i costi di produzione, innovare prodotti e servizi, accedere a nuove tecnologie ed entrare in nuovi mercati. Costruzioni e manifatturiero i settori dove è maggiore la collaborazione
Le imprese italiane dialogano e hanno relazioni, anche se preferiscono non impegnarsi
formalmente e quelle del Sud hanno relazioni meno intense. Le
sinergie nascono principalmente per abbattere i costi di produzione, innovare i prodotti e servizi, accedere
a nuove tecnologie
ed entrare in nuovi
mercati.
Sono questi i principali elementi che emergono dal secondo report di approfondimento dell’Istat nell’ambito delle attività connesse al 9° Censimento Generale dell’Industria e dei Servizi.
I dati del Censimento evidenziano che il 63,3 % delle imprese con almeno 3 addetti (oltre 660 mila unità) dichiara di intrattenere almeno una relazione
stabile – di tipo contrattuale o informale – con
altre aziende o istituzioni. L’attivazione di accordi produttivi interessa in misura maggiore le
grandi imprese (90%) e i settori Costruzioni (85%) e
Industria in senso stretto (76%).
A livello territoriale la distinzione emerge soprattutto su base provinciale, senza
significative distinzioni tra nord e
sud.
Tra le tipologie di relazioni, prevalgono quelle meno impegnative come gli accordi di commessa e fornitura (rispettivamente il 74,1% e 56,6%
delle imprese con
relazioni). Meno frequenti e ad appannaggio soprattutto delle grandi imprese i legami formali
come
consorzi (7%), contratti di rete
(4%)
e franchising (3,3%).
Coerentemente con il difficile
quadro
economico attraversato dalle imprese, la
relazione serve all’impresa principalmente per ridurre i costi di produzione, finalità perseguita con tutte le tipologie di relazione
e che coinvolge circa il
60% delle imprese. Gli accordi formali sono invece generalmente più
utilizzati nel perseguimento di finalità più complesse, quali l’innovazione di prodotto o processo (lo dichiara il 28,8% delle imprese), l’accesso a nuove conoscenze e tecnologie (22,5%) o a nuovi mercati (32,2%), la ricerca di maggiore
flessibilità produttiva (22,4%) e, in misura molto inferiore,
l’internazionalizzazione (8%).





