Intervista a Sergio Rossi, amministratore delegato di Oracle Italia

Come si declina in Italia la visione Fusion di Oracle? «Oracle è diventata una realtà globale prima del 2000, superando la dimensione internazionale, per cui non c’è una declinazione italiana della visione Fusion. I nostri laboratori sono distribuiti s …

Come si declina in Italia la visione Fusion di Oracle?

«Oracle è diventata una realtà globale prima del 2000, superando la dimensione internazionale, per cui non c’è una declinazione italiana della visione Fusion. I nostri laboratori sono distribuiti sull’intero globo e per noi non è importante dove risiedano le risorse e dove siano destinate. La dimensione globale in questo senso è un grande vantaggio. Fusion è una rivisitazione in ottica Soa (Service oriented application, ndr) del portafoglio degli applicativi di Oracle, che si basa sulla Fusion Architecture. Un rivisitazione resa possibile dalla maturazione dell’architettura. Infatti dal febbraio del 2005 c’è stata una ridefinizione dei servizi applicativi, specialmente dopo l’acquisizione di PeopleSoft. Su questa ridefinizione delle soluzioni applicative abbiamo realizzato una road-
map che, secondo i nostri piani, si svilupperà nei prossimi 2 anni, fino al 2010. In tale contesto l’Italia è perfettamente in linea con le strategie di sviluppo di prodotto e di processo».

Oracle ha sviluppato nell’area Emea un progetto collaborativo che coinvolge partner e clienti. L’Italia come si pone rispetto agli altri paesi a livello di idee e proposte?

«Abbiamo avviato due tipi di programmi, uno per proporre progetti relativi all’innovazione di prodotto e uno all’innovazione di processo. Oracle ha lanciato un programma europeo di 5 anni, l’Innovation Network, un gruppo di lavoro che opera per valorizzare i progetti particolarmente innovativi che nascono da partner e clienti, portandoli all’evidenza internazionale e replicandoli in altri contesti. Rimangono comunque di “proprietà” dell’ideatore. Oracle si pone come divulgatore. I progetti vengono sottoposti prima all’analisi di un board a livello country e poi passati al board Emea. È un’opportunità per i partner non solo di ricevere un premio in denaro ma anche di entrare in una dimensione globale. L’Italia si dimostra sempre molto attiva e presente in questo programma, tant’è che nell’ultima tornata su 60 progetti approvati, oltre 20 erano italiani, per cui siamo la nazione più prolifica in assoluto. Un esempio è Inquadro – Insirio Innovazioni, spin-off dell’Università degli Studi di Messina. Oracle ha diffuso il suo progetto, WhereDoc, che utilizza Oracle Database 10g e Oracle Sensor Edge Server per l’interazione con gli strumenti Rfid».

Che ruolo hanno i vostri partner in Italia e quali sono le criticità del mercato per la diffusione delle soluzioni? Considerando anche il tessuto economico, fatto soprattutto di Pmi, avete come priorità anche la riduzione dei costi?

«I partner Oracle sono strategici in Italia perché ci assicurano una prossimità al cliente che non è solo territoriale. Per il mercato delle Pmi, che si rivela sempre più promettente, abbiamo pacchettizzato e standardizzato le nostre soluzioni. Anche se credo che il vero ostacolo alla diffusine delle nostre soluzioni nelle Pmi non siano i costi ma la carenza di competenze. Una carenza che si riflette nella mancanza di cultura a orientarsi sul concetto di servizio. Il Web 2.0 offre l’opportunità di giocare un ruolo importante nel campo dei servizi, di creare nuovi modelli di business, grazie alla maturazione di tecnologie nuove che spingono all’aggregazione di persone e di informazioni».

La mancanza di competenze è un difetto solo dei partner o anche delle aziende clienti?

«La carenza è anche di clienti, perché non sono dell’opinione che le aziende debbano esternalizzare tutte le attività. Deve rimanere all’interno un nucleo di competenza It, anche nelle aziende piccole. Il Cio deve ricoprire sì un ruolo di erogatore di utility, ma deve essere anche un driver di innovazione, un business advisor, deve essere reattivo ma soprattutto proattivo. La quarta ondata tecnologica, quella del Web 2.0, dopo quella del mainframe, del pc, della new economy, deve portare a un costante contatto col cliente, il presupposto per realizzare un nuovo modello di business. L’esempio più evidente è quello di Second Life. È un’opportunità che non va persa. Per i partner abbiamo sviluppato un programma di formazione articolato, il Partner lab, per aumentare le loro competenze e usare al meglio le nostre soluzioni».

In Italia collaborate strettamente con la Pa. Che peso ha sul vostro business?

«Non posso rivelare i dati esatti, ma sia la Pa centrale che la locale sono veramente molto “pesanti” sul nostro giro di affari. Da poco abbiamo inaugurato un centro di competenza a Bari con la regione Puglia e Tecnopolis, proprio per sviluppare attività mirate all’automazione dei processi della Pa e a facilitare l’interazione con i cittadini. Poi abbiamo avviato altri progetti per il riuso, anche utilizzando l’opensource. Siamo partner di riferimento per la Pa e vorremmo giocare un ruolo proattivo sia nella centralizzazione che nella gestione locale. L’inaugurazione del Sistema pubblico di connettività rappresenta un grande passo in avanti nello sviluppo del processo di modernizzazione e informatizzazione della Pa. È una base fondamentale da cui partire».

Previsioni per il nuovo anno fiscale?

Abbiamo chiuso quest’anno in linea coi risultati globali, in crescita di circa il 20%, per cui non possiamo che iniziare il nuovo anno con ottimismo. Quest’anno c’è stata l’integrazione effettiva di Siebel Italia, quello che viene sarà l’anno di integrazione di Hyperion che rappresenta una realtà importante in Italia. Si realizza, quindi, quella crescita in due direzioni: quella organica, dovuta al naturale sviluppo dell’azienda, e quella esterna, dovuta alle acquisizioni. Con Hyperion passeremo dai 900 dipendenti attuali a oltre 1.000. Vedremo come si ridefinirà il nostro modo di lavorare».

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