Imprese italiane, sì ai mercati esteri ma con armi più forti

Secondo un’indagine Assolombarda su duemila aziende milanesi, aumenteranno le attività internazionali delle Pmi, ma occorre maggiore sostegno istituzionale

Troppi tagli dal Governo e scarso coordinamento tra i diversi enti che promuovono gli investimenti delle imprese italiane: Umberto Vattani, presidente dell’Ice (Istituto per il commercio estero), ha le idee molto chiare sui problemi che devono affrontare le nostre aziende sui mercati internazionali. Nel convegno in cui Assolombarda ha diffuso i dati della sua ultima indagine sulla presenza all’estero di duemila imprese associate (con 140mila dipendenti in totale), Vattani ha ricordato che l’Ice può contare su un budget molto più limitato dei principali concorrenti europei.

L’Ice in difficoltà
Dal 2008 al 2010, i fondi complessivi a disposizione si sono sensibilmente ridotti. “Arriviamo a malapena a un centinaio di milioni di euro”, si è lamentato il presidente dell’istituto, “mentre le stesse agenzie in Francia e Germania (rispettivamente, Ubifrance e Germany trade & invest, ndr) possono contare su oltre 200 milioni”. Per l’Ice non è un momento roseo, tra riduzione dei finanziamenti, possibili chiusure di uffici all’estero e riforme all’orizzonte, anche se proprio ora servirebbe un sostegno più ampio all’industria nazionale. La geografia economica cambia continuamente. I mercati più promettenti sono lontano dai confini delle tradizionali locomotive europee. Paesi come la Francia cercano di attirare gli investimenti nei settori più innovativi, grazie per esempio ai poli di competitività finanziati dall’Eliseo; questo è uno dei possibili antidoti alla fuga di cervelli e capitali oltre confine.

L’indagine di Assolombarda
Secondo l’indagine Assolombarda, poco più di metà (51%) del campione delle duemila imprese, esporta i suoi prodotti. Il 58% delle aziende esportatrici ottiene almeno un quarto del fatturato complessivo dalle vendite all’estero. L’export è l’attività più diffusa tra gli imprenditori che hanno deciso di guardare oltre il mercato interno; molte ditte hanno un ufficio di rappresentanza o una filiale commerciale in altri paesi, ma è abbastanza raro che producano direttamente all’estero, o svolgano attività di ricerca e sviluppo. Il tessuto produttivo italiano, fatto prevalentemente di Pmi manifatturiere, può essere un freno all’espansione internazionale; l’export non è più sufficiente, bisogna rafforzare la presenza diretta nei paesi emergenti, come ha evidenziato il presidente di Assolombarda, Alberto Meomartini.

I segnali sono incoraggianti. Dall’indagine si scopre che nel 2010, il 45% delle aziende esportatrici dell’area milanese ha stretto rapporti commerciali con almeno sei paesi, contro la media italiana del 26% (dati 2009). Nel 2013, la quota delle imprese milanesi con sei o più partner commerciali esteri dovrebbe salire al 50%; inoltre, l’indagine mostra che da qui al 2013 dovrebbero aumentare altre attività, come l’apertura di uffici di rappresentanza o filiali. Nel 2010, il 21,7% delle imprese esportatrici poteva vantare una presenza commerciale diretta, con un ufficio o filiale; nel 2013, l’indagine stima che la percentuale sarà pari al 23,1, così come la presenza produttiva dovrebbe salire dal 5,3 al 6,9% nell’arco di tre anni.

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