L’esito dei progetti non è legato solo alla scelta del software. Accenture e Deloitte, forti della loro esperienza sul campo, ci invitano a riflettere su alcuni aspetti da non trascurare
Le esperienze del passato l’hanno insegnato. Quello delle relazioni con il cliente è un terreno minato, che va percorso con attenzione. E se i macroprogetti a 360°, che imponevano una revisione completa di flussi e processi, si sono dimostrati fallimentari, c’è da chiedersi quale sia la via più corretta per implementare queste tecnologie. «Per noi – esordisce Andrea Laurenza, partner di Deloitte, responsabile italiano Strategy e Operation – il Crm è sinonimo di customer transformation, ovvero non solo software e applicazioni, ma soprattutto processi, organizzazione e misure, con una forte attenzione all’intervento sul cliente». Ecco perché un progetto di questo tipo non va visto solo in ottica It. «A dimostrazione di questo, anche il peso delle persone coinvolte nelle due aree, quella Ict e quella più prettamente business, come marketing e vendite, si è spostato – precisa il manager -. Oggi, infatti, i due team tendono a equipararsi nel contribuire alla riuscita di un’iniziativa di Crm».
«La trasversalità dei progetti lungo l’organigramma aziendale è fondamentale – concorda Antonio Pezzinga, responsabile Accenture della System Integration su piattaforma Oracle -. Il Crm deve essere guidato dagli utenti e la tecnologia deve semplicemente garantire il supporto a una visione strategica». Gli sforzi di integrazione per queste iniziative sono notevoli e proprio dall’allineamento dei processi deriva il massimo valore aggiunto. «Solo in questo modo, infatti – prosegue Laurenza – potrà essere realizzata la centralità del cliente, unificando i processi di back e front office solitamente gestiti con applicazioni separate. Anziché ridurre al minimo gli sforzi di integrazione, quindi, è importante individuare da subito il framework più adatto e ottimizzare gli interventi su quello». «Per ridurre gli sforzi e calibrare al meglio gli investimenti, io consiglio poche semplici regole – puntualizza Pezzinga -. Anzitutto, privilegiare la standardizzazione, sia di processo, utilizzando modelli specifici per settori come eTom per le Tlc, sia tecnologica, preferendo un approccio out-of-the-box. Ancora, fare una fotografia di processi e sistemi It e procedere a una semplificazione preventiva, per evitare di portarsi dietro vecchie complessità di prodotti, servizi e processi nel nuovo universo». E, sempre in tema di integrazione, le Soa, che pure stanno vivendo un momento d’oro, si candidano ad assumere un peso ancora crescente all’interno dei progetti Crm. «Tutti i vendor si stanno muovendo verso la frammentazione dei pacchetti monolitici in singoli componenti di presentazione, logiche di business e logiche di servizio – prosegue Pezzinga -. Chi fa il Crm oggi non può esulare dalle Soa, altrimenti parte con un progetto già vecchio». «La diffusione di tecnologie che abilitano architetture orientate ai servizi – tiene a sottolineare Laurenza – non può che contribuire positivamente al contenimento degli investimenti richiesti per la componente di integrazione. Tuttavia, non può essere considerata una panacea, soprattutto vista l’ampia diffusione del legacy in Italia. Questi sistemi dedicati, infatti, sono difficilmente traducibili in una logica di componenti riutilizzabili. Ecco perché le iniziative di Crm in ottica Soa dovrebbero essere valutate in modo prospettico».
Per evitare gli errori del passato, Laurenza invita a ridurre la taglia media dei progetti e a supportarli con un forte orientamento strategico: «Occorre lavorare sempre più per assicurare un Roi rapido. Nella scelta delle soluzioni applicative, inoltre, dovranno essere privilegiate le tecnologie stabili, considerando opportunamente le cosiddette “best of breed”, soprattutto nelle aree che possono rappresentare un vero elemento differenziante per l’azienda. Anche il coinvolgimento attivo, dall’avvio sino al go live e oltre, della linea di business contribuisce ad assicurare la riuscita del progetto, così come l’attitudine a sfruttare al massimo le caratteristiche standard del software, minimizzando le personalizzazioni». «Meglio partire con un’iniziativa che dia ritorni concreti, pur piccoli, in tempi brevi, tra i 4 e i 6 mesi – concorda Pezzinga -. I progetti che durano più di un anno sono ad alto rischio di fallimento, perché in un lasso di tempo così lungo cambiano gli utenti e il mercato e l’azienda ha altre priorità».
Preliminare a tutto, però, è uno studio di fattibilità volto a determinare con precisione le aspettative degli utenti finali e a fornire una stima veritiera di tempi e costi. Entrambi gli intervistati consigliano, poi, di non sottovalutare il ruolo del change management, anche se i risultati pratici di questo governo del cambiamento sono valutabili solo a posteriori e non in corso d’opera. Spazio, quindi, non solo agli interventi di formazione e alla revisione procedurale, ma soprattutto alla comunicazione di supporto, non solo durante il progetto ma anche nei 3 o 4 mesi successivi al go live.
La ricetta per la qualità secondo Accenture e Deloitte
Un decalogo di regole semplici per ridurre al minimo il rischio connesso al fallimento di un’iniziativa di Customer relationship management
1. Superare la visione puramente tecnologica del Crm, assicurando un impegno complessivo dell’azienda e il supporto del top management
2. Evitare di fare i “pionieri”, privilegiando le tecnologie stabili e mature
3. Coinvolgere, sin dalle prime fasi dell’iniziativa, gli utenti della linea di business (marketing, vendite e supporto al cliente)
4. Semplificare al massimo il progetto e i prodotti
5. Privilegiare le soluzioni “out-of-the-box”, riducendo al minimo le personalizzazioni
6. Avere un It con un ruolo forte, che sia poco propenso a delegare o dare in outsourcing ma che, al contrario, mantenga all’interno dell’azienda il know how e il governo dell’iniziativa
7. Definire una strategia di migrazione con un minimo impatto di processo/business
8. Non “tirarla per le lunghe”, ma privilegiare iniziative con ritorni concreti, anche se piccoli, nel breve periodo (al massimo 4/6 mesi)
9. Isolare la complessità del legacy, anche con l’aiuto delle Soa, e privilegiare la standardizzazione
10. Governare il cambiamento con un change management concreto, non solo durante il progetto ma anche nei mesi successivi al “go live”.





