Cosa succede quando in caso di vendita o affitto cambia il titolare del complesso dei beni aziend
L’ipotesi del trasferimento di azienda ricorre quando, in conseguenza di una vicenda traslativa (vendita, affitto, comodato, usufrutto), muta il titolare del complesso dei beni aziendali.
L’ordinamento prende in considerazione il trasferimento di azienda in funzione dell’esigenza di apprestare una particolare tutela ai lavoratori.
Tale tutela si estrinseca fondamentalmente nel senso di garantire al lavoratore la continuità del rapporto di lavoro alle dipendenze del cessionario, rafforzando (con la previsione della responsabilità solidale del cedente e del cessionario), la tutela dei crediti che il lavoratore aveva al momento del trasferimento dell’azienda.
In particolare, alla luce dell’articolo 2112 cod. civ., per trasferimento di azienda si intende qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione comporti il mutamento della titolarità di una attività economica organizzata, con o senza fini di lucro, preesistente al trasferimento e che con il trasferimento stesso conserva la sua identità.
Elementi costitutivi
La definizione offerta dalla legge consente di enucleare gli elementi costitutivi della fattispecie.
In buona sostanza il trasferimento di azienda presuppone che, indipendentemente dallo strumento negoziale all’uopo utilizzato, muti la titolarità del complesso dei beni organizzati per l’esercizio dell’attività economica.
L’elemento caratterizzante del trasferimento di azienda è pertanto costituito dalla sostituzione del soggetto titolare dei beni destinati all’esercizio dell’impresa.
Tale mutamento può essere conseguito, come già detto, attraverso le più diverse fattispecie traslative (vendita, affitto, usufrutto, comodato).
Non è necessario che il trasferimento avvenga attraverso un unico atto di cessione, ben potendo la successione nella titolarità del complesso dei beni aziendali essere realizzata attraverso una pluralità di negozi traslativi. L’importante è che tra la posizione del cessionario e quella del cedente sussista un vincolo di derivazione giuridica. La necessità della sussistenza del predetto nesso di derivazione giuridica ha condotto ad escludere la configurabilità del trasferimento di azienda nell’ipotesi di successione nella titolarità di imprese soggette a concessione.
Fattispecie particolari
L’art. 2112 del codice civile si applica non solo quando oggetto del trasferimento è l’intero complesso dei beni aziendali, bensì anche al trasferimento di un singolo ramo di azienda.
Per singolo ramo di azienda, alla luce della novella del D.Lgs. n. 276/2003, si intende per espressa previsione normativa una articolazione dotata di autonomia
funzionale, ancorché priva di beni materiali, che venga identificata come tale
dal cedente e dal cessionario all’atto di procedere al suo
trasferimento.
Il trasferimento di un ramo di azienda può avvenire anche attraverso il trasferimento di singoli beni aziendali.
Per capire se in concreto siamo di fronte o meno ad una ipotesi di trasferimento di azienda, appare tuttavia di estrema importanza indagare quale sia stata nel
caso concreto la volontà del cedente e del cessionario e cioè se le parti abbiano voluto operare il trasferimento della titolarità del beni aziendali considerati nel loro collegamento funzionale, oppure se abbiano più semplicemente inteso trasferire la titolarità di singoli beni considerati nella loro individualità.
La cessione di singoli beni aziendali o di singoli macchinari indipendentemente dal loro collegamento funzionale, infatti, si colloca al di fuori della fattispecie del trasferimento di azienda.
Oggi peraltro si assiste di frequente a processi di cosiddetta “esternalizzazione”, cioè a dire di affidamento e di svolgimento all’esterno dell’azienda di processi produttivi, fasi di lavorazione o ancora di particolari servizi.
Al riguardo di precipuo interesse è la pronuncia della Corte di cassazione n. 15105 del 2002.
Con tale pronuncia la Corte ha ritenuto che non potesse ravvisarsi un trasferimento di azienda nella dismissione da parte di una impresa della gestione dei
servizi generali e nella stipula di un contratto di fornitura con un cessionario (secondo lo schema contrattuale noto con il nome di “outsourcing”).
Fusione
Può accadere che due o più società si estinguano per dare vita ad un nuovo soggetto societario (fusione). La fusione può aver luogo anche per
incorporazione.
L’art. 32 del D.Lgs. n. 276/2003, nel modificare il testo dell’art. 2112 cod. civ., ha espressamente ricompreso l’ipotesi della fusione nell’ambito del trasferimento di azienda.
Fattispecie escluse
Estraneo al concetto di trasferimento di azienda sono i casi di:
- trasferimento del pacchetto azionario;
- collegamento societario e del gruppo societario;
- mutamento di forma giuridica;
- impresa in regime di concessione da parte della Pubblica Autorità.
Conseguenze sui rapporti di lavoro
La più rilevante tutela apprestata dall’ordinamento al lavoratore nel caso di trasferimento di azienda è costituita dalla prosecuzione del rapporto di lavoro con il cessionario.
Il passaggio dei lavoratori alle dipendenze del cessionario si produce automaticamente, senza necessità che i lavoratori manifestino il loro consenso e quale che sia lo strumento tecnico giuridico attraverso il quale viene realizzato il trasferimento.
Il passaggio del lavoratore alle dipendenze del cessionario presuppone, evidentemente, che il rapporto di lavoro, all’atto del trasferimento, fosse in corso con il cedente; deve pertanto escludersi che l’effetto di prosecuzione automatica si produca con riferimento ai rapporti di lavoro che alla data del trasferimento fossero già esauriti, ovvero legittimamente risolti.
È evidente, peraltro, che ove la illegittimità del recesso sia dichiarata dopo la cessione, tale sentenza sarà opponibile al cessionario, il quale, subentrando nella medesima situazione giuridica del cedente, non potrà sottrarsi agli effetti derivanti dalla sentenza dichiarativa della nullità del recesso.
Tutela della posizione dei lavoratori
L’unica possibilità che il lavoratore ha per impedire l’automatica prosecuzione del rapporto di lavoro alle dipendenze del cessionario, è quella di rassegnare le dimissioni.
Dalla inderogabilità della disposizione in punto di prosecuzione del rapporto consegue la nullità della pattuizione che, in deroga ad essa, preveda che una quota parte di lavoratori non passi alle dipendenze del cessionario.
Ma le legge non si limita a garantire la continuità occupazionale. Il lavoratore, infatti, in caso di trasferimento di azienda, conserva tutti i diritti derivanti dal pregresso rapporto di lavoro alle dipendenze del cedente e non soltanto quelli derivanti dall’anzianità. Con riferimento precipuo all’anzianità, l’ordinamento vuole impedire che attraverso una fittizia e fraudolenta risoluzione del rapporto seguita dalla riassunzione alle dipendenze del cessionario possa violarsi il diritto alla infrazionabilità della anzianità, con conseguenze negative non solo sul piano del trattamento di .ne rapporto, ma anche sulla determinazione della anzianità necessaria per l’accesso ai cosiddetti “ammortizzatori sociali” in caso di crisi aziendale.
Contratto collettivo applicabile
Il cessionario è tenuto ad applicare ai lavoratori il trattamento economico e normativo previsto dai contratti collettivi di lavoro vigenti all’atto del trasferimento e fino alla loro scadenza, salvo che non siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili al cessionario.
Tale disposizione ha lo scopo di far sì che il lavoratore continui pure dopo il trasferimento di azienda a beneficiare della tutela accordatagli dal contratto collettivo applicato all’azienda ceduta.
Tale forma di cautela, peraltro, è destinata ad operare unicamente nel caso in cui il cessionario non applichi a sua volta alcun contratto collettivo.
In caso contrario, infatti, la ragione della ultrattività della regolamentazione del rapporto ad opera del contratto collettivo applicato nella azienda ceduta viene meno, operandosi senz’altro la sostituzione del contratto applicato dal cessionario.
La sostituzione, peraltro, opera unicamente tra contratti collettivi di pari livello.
Licenziamento e dimissioni
Logico corollario della disciplina protettiva sin qui illustrata è che il trasferimento di azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento.
Il licenziamento intimato in correlazione con il trasferimento di azienda sarà infatti senz’altro nullo.
Il cedente ed il cessionario potranno recedere dal contratto di lavoro unicamente ove ricorrano una giusta causa o un giustificato motivo ai sensi della disciplina limitativa del licenziamento.
Una volta accertata la nullità del licenziamento intimato dal cedente, graverà ovviamente sul cessionario l’obbligo di ripristinare il rapporto di lavoro.
Il lavoratore, le cui condizioni di lavoro subiscono una modifica sostanziale nei tre mesi successivi al trasferimento d’azienda, può rassegnare le proprie dimissioni con effetto immediato e diritto all’indennità sostitutiva del preavviso.
Trasferimento di aziende con oltre 15 dipendenti
Qualora il trasferimento di azienda riguardi imprese con più di 15 dipendenti, la legge (art. 47, L. n. 428/1990 con le modifiche introdotte dall’art. 1, D.Lgs. n. 18/2001) prevede una speciale procedura nell’ambito della quale sono chiamate ad interloquire anche le organizzazioni sindacali dei lavoratori.
In tale ipotesi infatti, il cedente e il cessionario venticinque giorni prima che si perfezioni l’atto di cessione o l’obbligo di procedere alla cessione, debbono fare una comunicazione alle rappresentanze sindacali aziendali delle unità produttive interessate al trasferimento ed ai sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato alle imprese oggetto dell’operazione.
Qualora non vi siano rappresentanze sindacali aziendali la comunicazione dovrà essere fatta alle organizzazioni sindacali più rappresentative.





