Il lavoro intermittente

E’ il contratto mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa per periodi non continuativi, anche a tempo determinato

Introdotto dal D.Lgs. n. 276/2003 è definito contratto di lavoro intermittente (“a chiamata”) quello mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa per periodi non continuativi, anche a tempo determinato.
Nel periodo in cui il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro, in attesa di utilizzazione, gli viene erogata una specifica indennità di disponibilità.
La disciplina legale del lavoro intermittente non pregiudica l’applicazione delle clausole dei contratti collettivi già in vigore alla data del 24 ottobre 2003 regolanti l’esecuzione di prestazioni di lavoro intermittente o a chiamata (D.M. 23 ottobre 2004).

Area di applicazione

Il contratto di lavoro intermittente può essere concluso:
– per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente in relazione alle esigenze
individuate dai contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative
sul piano nazionale o territoriale (art. 34, c. 1, D.Lgs. n. 276/2003);
– per periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno (nei fine settimana, nei periodi delle ferie estive o delle vacanze natalizie o pasquali). Ulteriori periodi predeterminati possono essere previsti dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale (art. 37, c. 2, D.Lgs. n. 276/2003).
– in via sperimentale con soggetti in stato di disoccupazione con meno di 25 anni di età o con
lavoratori con più di 45 anni di età che siano stati espulsi dal ciclo produttivo o siano iscritti nelle liste
di mobilità o di collocamento (art. 34, c. 2, D.Lgs. n. 276/2003).
Il D.Lgs. n. 276/2003, aveva previsto che in caso di inerzia della contrattazione collettiva il Ministro
del lavoro, dato corso inutilmente al procedimento di cui all’art. 40, del D.Lgs. in parola, individuasse
con decreto in via provvisoria i casi in cui è ammesso il ricorso al lavoro intermittente.
In applicazione di tale norma, il D.M. 23 ottobre 2004 ha stabilito che la stipulazione di contratti
di lavoro intermittente è ammessa per le tipologie di attività indicate nella tabella allegata al R.D.
n. 2657/1923 (elenco delle attività discontinue ai fini della esclusione dalla disciplina limitativa
dell’orario di lavoro).

Divieti

Il ricorso al lavoro intermittente è vietato (art. 34, c. 3, D.Lgs. n. 276/2003):
a) per sostituire lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
b) salva diversa disposizione degli accordi sindacali, presso unità produttive nelle quali si sia
proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli artt. 4 e 24, L. n.
223/1991, che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto
di lavoro intermittente ovvero presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei
rapporti o una riduzione dell’orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino
lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente;
c) da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell’art. 4,
D.Lgs. n. 626/1994.

Forma e contenuto del contratto

Il contratto di lavoro intermittente deve essere stipulato in forma scritta.
La forma è richiesta ai soli fini della prova dei seguenti elementi (art. 35, D.Lgs. n. 276/2003):
a) indicazione della durata e delle ipotesi, oggettive o soggettive che consentono la
stipulazione del contratto;
b) luogo e modalità della disponibilità, eventualmente garantita dal lavoratore, e del relativo
preavviso di chiamata del lavoratore, che in ogni caso non può essere inferiore a un giorno lavorativo;
c) trattamento economico e normativo e relativa indennità di disponibilità, ove prevista;
d) indicazione delle forme e modalità, con cui il datore di lavoro è legittimato a richiedere
l’esecuzione della prestazione di lavoro, nonché delle modalità di rilevazione della prestazione;
e) tempi e modalità di pagamento della retribuzione e dell’indennità di disponibilità;
f) eventuali misure di sicurezza specifiche necessarie in relazione al tipo di attività dedotta
in contratto.
Nell’indicare i suddetti elementi, le parti devono recepire le indicazioni contenute nei contratti collettivi.
Per quanto riguarda l’assenza in concreto di una ipotesi giustificativa o la violazione di un divieto di legge non è prevista la conversione del contratto di lavoro intermittente in contratto a tempo pieno. In base ai principi generali (art. 1419, comma 1, cod. civ.) dovrà concludersi per la nullità dell’intero contratto ove si accerti che le parti non lo avrebbero voluto senza la clausola di intermittenza.
Fatte salve previsioni più favorevoli dei contratti collettivi, il datore di lavoro è tenuto a informare con cadenza annuale le rappresentanze sindacali aziendali sull’andamento del ricorso al contratto di lavoro intermittente.

Trattamento economico-normativo

Per i periodi in cui il lavoratore svolge attività lavorativa ha diritto allo stesso trattamento spettante ad un lavoratore di pari livello assunto a tempo pieno con le stesse mansioni (art. 38, D.Lgs. n. 276/2003).
Il trattamento economico, normativo e previdenziale del lavoratore intermittente è riproporzionato, in ragione della prestazione lavorativa effettivamente eseguita rispetto a:
– importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa;
– ferie;
– malattia;
– infortunio sul lavoro, malattia professionale;
– maternità, congedi parentali.
Per tutto il periodo durante il quale il lavoratore è impegnato a rispondere alla chiamata del datore di lavoro senza ricevere richieste non è titolare dei diritti riconosciuti ai lavoratori subordinati e non matura alcun trattamento economico e normativo, salvo l’indennità di disponibilità.

Indennità di disponibilità

Per i periodi nei quali il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro in attesa di utilizzazione spetta un’indennità specifica, detta di disponibilità (art. 36, D.Lgs. n. 276/2003).
La misura dell’indennità, che è divisibile in quote orarie, è stabilita dai contratti collettivi e in ogni caso non può essere inferiore alla misura minima stabilita con decreto ministeriale (attualmente pari al 20% della retribuzione prevista dal c.c.n.l. applicato).
Sull’indennità di disponibilità i contributi sono versati per il loro effettivo ammontare, anche in deroga alla normativa in materia di minimale contributivo.
L’indennità di disponibilità è esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo.
In caso di malattia o di altro evento che renda temporaneamente impossibile rispondere alla chiamata, il lavoratore è tenuto a informare tempestivamente il datore di lavoro, specificando la durata dell’impedimento.
Durante tale periodo non matura il diritto all’indennità di disponibilità e il lavoratore che non ottemperi all’obbligo di comunicazione come sopra indicato, perde il diritto all’indennità per un periodo di 15 giorni, salva diversa previsione del contratto individuale.
L’obbligo di rispondere alla chiamata del datore di lavoro deve essere pattuito espressamente e il rifiuto ingiustificato da parte del lavoratore che si era così impegnato può comportare la risoluzione del contratto, la restituzione della quota di indennità di disponibilità riferita al periodo successivo all’ingiustificato rifiuto e il risarcimento del danno nella misura fissata dai contratti collettivi o, in mancanza, dal contratto individuale.
Nel caso di lavoro intermittente per prestazioni da rendersi il fine settimana, nei periodi delle ferie estive o delle vacanze natalizie e pasquali l’indennità di disponibilità è corrisposta solo in caso di effettiva chiamata.

Computo dei lavoratori intermittenti

I prestatori di lavoro intermittente sono computati nell’organico dell’impresa, ai fini della applicazione
di normative di legge, in proporzione all’orario di lavoro effettivamente svolto nell’arco di ciascun
semestre (art. 39, D.Lgs. n. 276/2003).

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