Come annunciato gli stand sono tutti uguali. Rettangoli avvolti da teloni bianchi. E dentro immagini, prodotti e poco altro
Claudio Sabatini, il signor Futurshow, fa da guida ai
giornalisti fra gli stand dell’evento milanese.
Come promesso sono tutti
uguali, rettangoli avvolti da teloni bianchi sui quali all’esterno e all’interno
sono proiettate immagini di film o altro. Per questo il padiglione è abbastanza
scuro. Negli stand stanno ancora lavorando, e i pochi pronti hanno allestimenti
abbastanza sobri (eufemismo).
Una vetrinetta, qualche portatile, il
banchetto per le informazioni e i depliant. C’è Microsoft, Ibm, Canon Toshiba,
l’Inter, il Milan, Sky. Si può fare un viaggio virtuale su Marte con i
vecchissimi occhialini in 3D si può assistere a un filmato di dieci minuti che
racconta la corsa nello spazio.
Il nome delle aziende è scritto in piccolo
in alto e per entrare bisogna sollevare il telone.
Una standista si chiede
preoccupata cosa succederà quando migliaia di ragazzini entreranno in fiera.
Si entra gratis, e ci mancherebbe altro dice qualcuno.
In effetti la
parte “fieristica” di Futurshow lascia perplessi. A un mese di distanza da Smau
un altro evento dedicato al mondo consumer e soprattutto strutturato in questo
modo.
Sembra un evento che arriva a Milano con venti anni di ritardo.
Il
Futurshow sarebbe stato perfetto per la Milano da bere vanesia e fatua degli
anni Ottanta.
O forse la Milano da bere sta tornando e noi non ce ne siamo
accorti.
Ma quella Milano aveva i soldi, quella di oggi, come racconta la
Repubblica, ha il boom degli insolventi per gli acquisti a rate.





