Il Cio tra innovazione e conservazione

Una scelta difficile che può, però, giocare la carta dell’evoluzione, per rispondere prontamente alle sfide del business, mantenendo alto il livello di competitività. Due responsabili It ne parlano

Spesso il Cio si trova nella posizione di dover scegliere tra innovare e conservare. Un bel dilemma, talvolta, che può essere risolto giocando, invece, la carta dell’evoluzione, intesa come pronta risposta dei sistemi informativi alle sfide che provengono dal business. Di questo parere, è Maurizio Zorzan, da sei anni a capo dell’It di Favini, società che conta oltre mille dipendenti ed è tra i maggiori player europei nella produzione e trasformazione della carta, con quattro stabilimenti divisi tra Italia e Olanda. «L’innovazione – spiega – è uno dei fattori scatenanti della competitività, ma, ovviamente, quanto già esiste non va trascurato anche se spesso viene forzato a evolvere. Di per certo, non può esistere innovazione di prodotto senza quella di processo, altrimenti il rischio è di avere idee geniali che poi non si è in grado di portare sul mercato in modo efficace».


Di innovazione vista in modo positivo, se presa con oculatezza, parla anche Massimo Nalin, che in Italia gestisce l’It per la Fluid Control Division Europe della multinazionale Parker Hannifin, attiva nell’automazione industriale e che, globalmente, coinvolge circa 60.000 dipendenti in 50 nazioni diverse. «Quello che interessa alle aziende – dice – è un’innovazione mirata a contenere i costi. L’Edp, infatti, non è visto come un centro di profitto, ma di costo, che ha lo scopo di trovare soluzioni per contenere le spese. L’innovazione, quindi, è considerata un bene se può contribuire a sviluppare le strategie. Si investe oggi solo per risparmiare domani». Il senso, quindi, è di non stravolgere le cose, ma di costruire su quello che c’è già, mantenendolo sempre in perfetta efficienza.


Prestazioni nel mirino


Il tutto, tenendo conto di indicatori di performance che devono essere oggettivi. Favini, ad esempio, si sta spostando sempre più verso i Key performance indicator, magari affiancati da strumenti più tradizionali, come la qualità o la customer satisfaction. «Negli ultimi mesi abbiamo spinto molto in questa direzione, sviluppando strumenti che in alcuni casi vengono anche condivisi con i nostri clienti – illustra Zorzan -. L’aspetto positivo dei Kpi è l’inconfutabilità del numero, ma buon senso e saggezza non possono mancare, visto che si tratta pur sempre di indicatori e la loro analisi e interpretazione resta un elemento fondamentale».


Alla stessa stregua dovrebbero essere considerate le best practice. Nel caso di Parker Hannifin, in particolare, essendo un’impresa di stampo americano, l’It deve rispettare precise documentazioni e procedure. Nalin, che è in azienda da oltre cinque anni ed è affiancato da tre risorse, «Esistono un Cio unico a livello centrale e due grosse suddivisioni dell’It – indica -: la parte corporate delinea le direttive, mentre quella divisionale fornisce il supporto all’implementazione e controlla l’aderenza agli standard. In Italia, la divisione è composta da circa 130 persone, ma mi occupo anche dei sistemi informativi dello stabilimento polacco che conta circa 40 persone». Nalin vanta autonomia assoluta per quanto riguarda le problematiche di tipo locale, mentre così, logicamente, non è per i sistemi e le direttive corporate. Seguito naturale di questa linea è che mai, fino ad ora, le scelte compiute a livello italiano hanno influenzato le decisioni internazionali. «È però successo – puntualizza – che i suggerimenti provenienti dai responsabili It delle varie country abbiano talvolta influenzato la metodologia di implementazione di un nuovo stabilimento, a livello di organizzazione e struttura. L’Erp è deciso globalmente, anche se poi presenta delle differenze da sede a sede, in relazione ai diversi requisiti fiscali, e non solo, ma molte altre scelte dipendono da me, soprattutto per la parte hardware». Nell’ottica della riduzione dei costi, infatti, Parker Hannifin tende a concludere con i vendor accordi ad ampio respiro, per sviluppare i maggiori volumi possibili e avere prezzi migliori. «A questo punto, è chiaro che, per mere questioni economiche, non andiamo a scegliere pacchetti alternativi, ma approfittiamo dei benefici economici derivanti da tali accordi», commenta Nalin.


Completamente nelle mani di Zorzan, invece, è stata la digitalizzazione dei vari reparti di Favini (organizzata in tre business unit e con un team It composto da 7 persone in Italia e 9 in Olanda), che negli ultimi anni è cresciuta molto per acquisizioni. «In parallelo a quest’operazione, il gruppo ha avviato un progetto di revisione dei sistemi informativi – precisa -. Ogni stabilimento aveva, infatti, un proprio sistema locale ma nessuno rispondeva alle esigenze di integrazione delle informazioni che noi sentivamo come priorità assoluta. Da qui il progetto di un nuovo Erp. Oggi, siamo a un buon livello, le informazioni sono consuntivate e analizzate in tempo reale, ma gli obbiettivi sono più ambiziosi». Attorno all’Enterprise resource planning, ruotano applicativi dedicati a compiti specifici. «Per non snaturare l’Erp, deleghiamo aspetti più puntuali ad altri software – conclude Zorzan -. Ora che abbiamo terminato la prima fase, ci stiamo focalizzando verso l’integrazione con clienti e fornitori. Quest’anno lavoreremo su un progetto di Crm e ci occuperemo ancora di Business intelligence ampliando quanto già realizzato, che ci ha dato grandi soddisfazioni nelle aree vendite, distribuzione e marketing. Ma non bisogna dimenticare la "manutenzione evolutiva" dell’esistente».

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