Il capitale torna alla tecnologia

Un rapporto del Dow Jones decreta la buona salute delle start up It. Ma in Italia la situazione è molto differente


Buone notizie per il venture capital di società tecnologiche.
Le rilascia direttamente la Borsa di New York, per il tramite dell’analista finanziario Dow Jones/VentureOne, che periodicamente fa il punto sull’andamento di questo particolare settore di mercato.

Secondo l’analista, durante lo scorso trimestre il venture
capital di società It ha raggiunto tassi di una rilevanza che consente il
confronto con l’era aurea delle dot com , quando tutto ciò che aveva una parvenza di tecnologia attraeva denaro da ogni dove.
L’ultimo rapporto trimestrale, infatti, fissa un valore medio delle venture It a 15,2 milioni di dollari, in crescita rispetto allo stasso periodo dello scorso anno. 

Buona l’attrattiva generata da società che operano nei comparti networking, comunicazione e software, mentre perdono appeal quelle dei semiconduttori e dell’hardware tradizionale.

In
particolare, la media di capitalizzazione delle nuove società di networking è di
23,5 milioni di dollari, il 55% in più rispetto allo scorso anno, mentre
le realtà del software crescono del 28% , con una capitalizzazione in linea con tutto il comparto It venture, 15 milioni di dollari.

Ad abbassare il valore contribuiscono, si diceva, l’elettronica, che cala del 26% (14,9 milioni di dollari il capitale medio) e i semiconduttori, che peggiorano del 31%, per salomonici 15 milioni di dollari.

A sostenere le buone aspettative degli
invesitori sono le attività di sviluppo nei settori delle tecnologie
vocali, wireless e per la business analysis,
ovvero quelle capaci di modificare l’utilizzo delle attuali infrastrutture It.

Si tratta di società destinate, prima o poi a un Ipo e,
quindi, a passare di mano, uscendo dalla sfera di gestione dei fondatori in un
periodo che va da tre a sei anni, dopo aver raccolto tutti i finanziamenti
possibili. In merito, VentureOne ha elevato il loro valore medio di cessione
atteso a 27 milioni di dollari, 5 in più di quello che era un anno fa.


Cosa succede in Italia
Completamente diversa la
situazione della Penisola. Secondo i dati forniti dall’Aifi (Associazione
italiana del private equity e del venture capital) nel corso del 2004 il mercato
italiano si è attestato a quota 1.480 milioni di euro investiti
(erano 3.034 l’anno precedente), distribuiti su 248 operazioni. I nuovi capitali
raccolti dagli investitori italiani e disponibili per investimenti futuri hanno
invece raggiunto i 1.663 milioni di euro, di cui 1.308 milioni di euro raccolti
sul mercato da fondi indipendenti focalizzati sull’Italia.


Oltre al calo degli investimenti bisogna sottolineare come, da un punto di
vista settoriale, gli investitori hanno evidenziato uno stabile interesse nei
confronti dei comparti tradizionali (beni di consumo,
manifatturiero e dei prodotti e servizi per l’industria), che rappresentano il
54% del totale in ammontare e il 40% in numero. In particolare, si segnala il
crescente interesse degli operatori per le società in possesso di marchi forti e
famosi e che rappresentano il made in Italy nel mondo. Nel
contempo, il peso delle operazioni effettuate in aziende definite high
tech si è ulteriormente contratto
sia a livello di numero di
investimenti, sia, e ancor più, in termini di risorse investite. Infatti, i
capitali affluiti verso questa tipologia di aziende hanno rappresentato
soltanto il 5% del totale.

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