Ibm – Cio, un uomo quasi “bionico”

Giovanni Sgalambro, Ibm global Business Services Strategy&Change leader A quando un “Chief innovation officer”? Alla domanda non si può rispondere se non con la più classica risposta consulenziale: dipende da quale significato vogliamo assegnare al ter …

Giovanni Sgalambro, Ibm global Business Services Strategy&Change leader


A quando un “Chief innovation officer”? Alla domanda non si può rispondere se non con la più classica risposta consulenziale: dipende da quale significato vogliamo assegnare al termine e di conseguenza dal perimetro di responsabilità e compiti che intendiamo dare a tale ruolo.


Se l’innovazione in ambiti circoscritti è già parte dell’esperienza di molte aziende è meno frequente una visione più completa, capace di valorizzare le sinergie tra i vari domini e in grado di estendersi anche all’innovazione del modello di business.


Tale concezione olistica dell’innovazione richiede un processo strutturato, scomponibile nelle fasi dell’esplorazione, ideazione, concettualizzazione, sviluppo e lancio.


Un approccio maturo, continuo e sistematico all’innovazione come quello descritto, supera l’interpretazione “shumpeteriana” di imprenditore innovatore e prevede un’estesa collaborazione per condividere idee e competenze complementari: all’interno dell’impresa tra il marketing, le vendite, il post-vendita, la ricerca e sviluppo, la progettazione, la produzione, la manutenzione e l’amministrazione, finanza e controllo; all’esterno dell’impresa, con vari interlocutori: partner commerciali, terze parti, outsourcer, concorrenti, università, associazioni, poli tecnologici, clienti.

L’innovazione necessita di un altro momento fondamentale: quello della conoscenza creativa, che ha come prerequisito la creazione di opportunità di condivisione di conoscenze. Tutti gli aspetti sopra esposti fanno capire che il Chief innovation officer non può configurarsi solo come responsabile di una specifica funzione aziendale, né è credibile che possa essere inteso come la singola figura in cui implodono tutte le responsabilità e competenze dell’innovazione.


È indubitabile che il Chief innovation officer debba possedere un profilo professionale articolato che comprenda capacità tecnologiche, competenze di business, capacità organizzative e di project management, competenze di gestione del cambiamento, capacità di controllo e gestione del rischio connesso all’incognita del nuovo. Il Chief innovation officer deve poi essere un buon program manager in grado di interagire con il personale e l’organizzazione per attivare programmi di incentivazione di gruppo ed individuali che premino sia il team che il contributo individuale. Un ruolo di questa natura prevede uno stretto contatto con la direzione, per indirizzare il processo di innovazione verso le priorità dell’azienda e assicurare l’allineamento ai programmi. Quindi, ben venga un Chief innovation officer, che, in dipendenza della complessità e della tipologia di impresa, dovrebbe essere in ogni caso un riporto diretto dell’imprenditore, dell’amministratore delegato o del direttore generale.

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