Google è il più grande di tutti. Anche come hacker

Dimensioni e ruolo di Internet, unite ad una industrializzazione degli attacchi, dipingono scenari foschi. Ogni occasione è buona per ricordarlo: siamo sotto attacco.

Gli hacker di una volta erano ragazzini alle prese con la voglia di crescere. Per farlo, avevano a disposizione un intero mondo, all’epoca piccolo e in modalità testo ma pur sempre fantastico: il cyberspazio, secondo il nome diffuso dallo scrittore di fantascienza William Gibson.
Nel 2010 si lavora su scala e con obiettivi decisamente diversi e la legislazione non può né anticipare, né contenere, cosa succede nella Nazione Internet. Uno dei fatti più recenti riguarda l’azione di Google, che nel fotografare il mondo per il servizio Street View ha anche registrato posizione e caratteristiche degli hotspot che incontrava, a centinaia di migliaia: roba da Guineess dei primati. I vari garanti della privacy europei sono in guerra -più morbida sembrò la tempestiva posizione di quello italiano – e Google cede alle richieste.
Certo si fa fatica a pensare a Google come ad un hacker, ma in realtà così è, non solo per questa azione ma anche per altre che riguardano il colosso della ricerca e più in generale Internet. Oggi gli hacker di allora danno di se stessi e del loro movimento una visione romantica, come hanno mostrato nel recente Hacking Film Festival di Roma. L’evento è stato ospitato dal Security Summit, ed è bello segnalare che il sacro delle privacy e della sicurezza in Rete possano oggi andare di pari passo con il profano dell’etica dei cyber-rivoluzionari d’un tempo.
Si può anche non essere d’accordo con questa visione romantica, ipotizzando che pochi siano stati gli atti effettivamente criminali degli anni ’80, rispetto alla generale crescita da pre-adolescenti ad adulti di coloro che entravano nei sistemi altrui. Si può anche scherzarci sopra, paragonando la loro veloce tecno-adolescenza alla crescita di Internet da strumento di condivisione nato, come Woodstock, nell’allegra California della fine dei Sixties, e non pensato per essere sicuro. Si può non essere d’accordo, dicevo, ed infatti io non lo sono per niente: la percentuale di adolescenti vs. criminali non era così basa, non foss’altro perché per buona parte gli hacker non erano adolescenti, e allora l’equazione cambia.

Hacker e nerd diventano geek
Resta il fatto che gli hacker sono confluiti nei nerd -spesso così venivano descritti, banalizzando- e che costoro negli ultimi trent’anni hanno inventato un mondo nel quale i tecnologici sono apprezzati, si chiamano geek (che fa molto più fico) e hanno uno status elevato. E che gran parte degli hacker di ieri sono i geek di oggi, si occupano di sicurezza Ict e sanno di che parlano perché l’hanno creato loro. Resta anche il fatto che la situazione è cambiata. Oggi il cybercrimine è fatto a scopi di lucro, terrorismo e spionaggio -non necessariamente in modo isolato- su scala industriale, con assalti su larga scala. Quasi mai porta a nuove competenze: chi lo fa è già esperto e cerca solo di diffondere le proprie minacce prima e meglio degli altri e delle difese. Come se non bastasse, siamo già nell’epoca dei servizi: non è più necessario sapere come portare un attacco, perché basta saper cercare in Rete e si trovano tool che con menu a opzioni permettono di generare minacce pericolosissime. I tre presentatori/organizzatori dell’Hacking Film Festival in versione romana sono stati Raoul Chiesa, Corrado Giustozzi e Alessio Pennasilico. Sono loro grato per almeno due motivi. Certo hanno sdoganato la bella storia dell’hacking in manifestazioni “ufficiali”; ancora di più, hanno ricordato a tutti che oggi le “utilities” mondiali sono gestite con la stessa ingenuità della Internet degli anni ’60. In estrema sintesi, tutte le comunicazioni di servizio che reggono uno Stato moderno, a partire dalle centrali elettriche, sono facilmente attaccabili dall’esterno, come allertano da tempo i grandi del settore, a partire da McAfee con il suo Threatscape.<BR<


Internet è guerra

Dicevo in apertura che un fatto del quale poco si parla è che il più grande hacker della storia è Google, le cui auto per Street View hanno registrato non solo immagini oltre ogni legislazione nazionale, ma anche tutti gli hotspot trovati in giro e anche, giacché c’erano, registrando un po’ di traffico per ciascuno degli hotspot in questione. Cose da pazzi, direte voi. Ma è proprio il concetto di Stato europeo, di millenario impianto ma codificato solo un paio di secoli fa con la rivoluzione francese e quelle collegate, a non essere adatto. Ripeto spesso: come ogni tecnologia, Internet è guerra e non siamo noi in lotta contro di lei. Lei va avanti per la sua strada e anche ne nostro mondo trova sempre un pertugio dove passare, non importa quanto si stringono le maglie. Anche se alla fin fine Internet non si mangia.

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