Fuori dal garage il nulla

L’America tecnologica di oggi secondo Andy Grove ha bisogno di tornare a credere nel saper fare.

Andy Grove come Ozzy. Non Ray (che poi è Ozzie, il chief architect di Microsoft), ma come Osbourne, che con i Black Sabbath all’inizio degli anni 70 cantando Paranoid dava il via al movimento dell’heavy metal (genere musicale mai tramontato) e che ancora oggi riesce a essere personaggio, innovatore e polemista.

“Only the paranoid survive”, scriveva Grove negli anni 90 per spiegare il senso della trasformazione tecnologica che la sua società, Intel, stava trasmettendo all’industria. E di quell’industria Grove è tornato a darne la sua visione, magari un po’ paranoica, ma di sicuro impatto. Lo ha fatto a luglio dalle colonne di Bloomberg e con toni e contenuti che qualcuno ha bollato di protezionismo.

Senza farsi prendere dalla frenesia etichettatrice si può comunque rilevare che le conclusioni a cui è giunto avrebbero potuto essere tratte anche cinque anni fa.

Analizzando lo stato dell’industria tecnologica statunitense Grove ha detto che non ha futuro. Anni passati a delocalizzare la produzione non solo hanno avuto l’amaro effetto di ridurre i posti di lavoro americani, ma hanno anche eliminato dal paese la capacità di fare industria.

Il mito del “garage” dove quattro amici inventano la tecnologia, per Grove serve solo ad alimentare se stesso: se non si organizza una struttura produttiva capace di scalare verso le masse, le innovazioni tecnologiche e le start up restano esercizi di stile di cui beneficiano economicamente in pochi: i creatori e i detentori della produzione, che oramai sono tutti all’estero. E fa l’esempio di Apple: società da 25mila persone negli Usa, ma che produce i suoi oggetti di successo grazie a una forza lavoro d’oltremare di centinaia di migliaia di persone. Nel complesso, ricorda Grove, oggi l’America tecnologica ha 166mila lavoratori, contro il milione e mezzo asiatico, meno di quando iniziò l’era del personal computer nel 1975.

Eliminare capacità produttiva per un’economia equivale a contarsi gli anni da vivere. Rinunciare a saper fare puntando solamente a saper pensare è il suicidio del sistema produttivo, quindi economico e quindi anche sociale.
Immaginiamo che molti lavoratori del nord Est italiano stiano cominciando, se già non lo hanno fatto, a essere d’accordo con Grove.

Per l’ex boss di Intel il problema si può risolvere solo con una visione di lungo termine, centrata non tanto sulla creatività dei garage, ma sul lavoro come base di tutto. Serve, per Grove, una leadership politica “lavoro-centrica”, che abbia il coraggio di convincere l’industria con il solo modo che questa pare comprendere: l’incentivo finanziario.

In altri termini, tassare il lavoro offshore, anche a costo di una guerra commerciale, perché la disoccupazione, letteralmente, “è corrosiva”.

Che serve a un paese, si chiede Grove, avere una casta di inventori di tecnologia super pagati e una massa di disoccupati?
Parole che hanno fatto storcere il naso ai liberisti. Ma almeno chiare, che è ciò che serve se si vogliono analizzare i problemi.

L’America industriale li ha e non solo lei.

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