Export, le Pmi pesano per il 30%

Lo afferma un approfondimento di Fondazione R.E TE. Imprese Italia dedicato alle micro, piccole e medie aziende italiane come operatori alle esportazioni. Dall’indagine emerge che tra il 2010 e il 2011, l’export per azienda, tra le MPMI, è cresciuto del 4,6%.

Nel 2011 ben 111 miliardi di euro (su un totale di esportazioni di 368
miliardi) sono stati generati dagli oltre 200mila operatori inquadrabili come MPMI ovvero dalle micro, piccole e
medie imprese italiane esportatrici. Si tratta di operatori
che esportano i prodotti d’un sistema imprenditoriale diffuso, radicato
soprattutto nelle attività tradizionali del Made in
Italy
. Fondazione R.E
TE. Imprese Italia
ha dedicato un approfondimento al ruolo svolto dalle
MPMI, dal quale emerge che il loro contributo risulta pari al 30% dell’intera
capacità esportativa del Paese.

Tuttavia il modello
d’internazionalizzazione risulta differente rispetto a quello dei big
player
e dove l’export solitamente rappresenta il
completamento d’una attività che mantiene il proprio core business saldamente
ancorato all’Italia, tanto per la fase della produzione che per la
commercializzazione dei prodotti, ma che trova oltre confine delle interessanti opportunità per
integrare il reddito dell’impresa e
sostenerne il volume d’attività (specialmente in tempi di stagnazione
del mercato interno). Ciò avviene con evidenza nei comparti
tradizionali del Made in Italy,
quelli in cui le competenze artigianali e l’abilità commerciale dei piccoli e
medi imprenditori nazionali sono più richieste e apprezzate.

Tra il 2010 e il 2011, l’export per azienda, tra
le MPMI, è cresciuto del 4,6%,
risultato da attribuirsi a un incremento complessivo delle loro esportazioni
pari a quasi 5 miliardi di euro a
fronte d’una lieve flessione nel numero di soggetti esportatori (sono circa 600
in meno). A differenza di quanto avvenuto per le grandi aziende, tuttavia, il
mondo delle MPMI non è ancora riuscito a riconquistare i livelli precedenti
alla crisi del 2008-2009.

Nel 2011 alcuni mercati vicini e tradizionalmente molto importanti sono
inoltre parsi in via di ridimensionamento: è il caso, in particolare, di alcuni
Paesi dell’Unione Europea e degli Stati del Nord Africa.

Le MPMI hanno comunque avuto la capacità di reagire, riorientando parte
degli scambi verso mercati attualmente più dinamici come quelli dell’Estremo
Oriente, dell’America Latina e dell’Europa non comunitaria. Un fattore di
indubbio successo, in tale processo di riaggiustamento e tendenziale
trasformazione anche delle MPMI in global player,
è rappresentato dalla capacità di diversificare le opportunità sulla scena
internazionale, cercando di raggiungere il più ampio numero di Paesi.

Per le micro e piccole imprese, secondo Fondazione R.E TE. Imprese Italia, si può infatti cogliere una
correlazione diretta tra il numero di mercati sui quali l’azienda riesce a
esportare e il fatturato che ne ricava. Le realtà che esportano in un unico
Paese ricevono da tale “sforzo” una media di 40mila euro (si tratta quindi
quasi esclusivamente di micro-esportatori), mentre al crescere del numero di
mercati con i quali si interagisce aumenta più che proporzionalmente il ricavo
che ne deriva, fino a superare 1,3 milioni di euro per le piccole aziende che
fanno giungere i propri prodotti in più di 25 Paesi differenti.

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