Trasformare i dati in una risorsa utile per decidere meglio, lavorare in modo più efficiente e rispondere più rapidamente ai cambiamenti: è questo l’obiettivo che guida molte delle aziende oggi più innovative. Un orientamento emerso con chiarezza anche sul palco dell’IDI Forum 2025, l’evento che Huawei ha dedicato alle soluzioni per lo storage e la gestione dei dati, tenutosi a Monaco di Baviera. Qui, professionisti di settori diversi hanno raccontato come l’integrazione tra dati, intelligenza artificiale e infrastrutture tecnologiche stia già portando benefici concreti, dalla maggiore agilità operativa alla sicurezza dei sistemi.
Due interventi in particolare hanno aiutato a capire in modo molto concreto cosa significa muoversi in questa direzione: Fabian Degenhardt, responsabile dello sviluppo digitale e delle operazioni infrastrutturali del gruppo assicurativo tedesco Bhd, e Neil Martin, data scientist con trent’anni di esperienza nella Formula Uno. Esperienze lontane tra loro, ma accomunate dalla capacità di trasformare i dati in azioni concrete, realizzabili solamente appoggiandosi a infrastrutture capaci di gestire la complessità, lavorare in sinergia con l’intelligenza artificiale, adattarsi ai cambiamenti e garantire continuità. Loro hanno lavorato su sistemi Huawei.
Huawei mette fine alla complessità architetturale di Gruppo Bhd
Nel primo caso, il Gruppo Bhd si è trovato a gestire la modernizzazione di un’infrastruttura IT complessa, ereditata da decenni di evoluzione. “Siamo un gruppo con oltre cento anni di storia – ha spiegato Degenhardt – e alcune delle nostre unità operative sono più antiche dell’IT stesso. Ancora oggi gestiamo sistemi mainframe attivi da più di cinquant’anni a fianco di piattaforme cloud moderne, con il risultato di avere una complessità strutturale che è sempre più difficile da governare”.

Ma oltre alla frammentazione tecnologica, Bdh si trova a gestire una serie di pressioni crescenti su più fronti. Deve adattarsi velocemente a un mercato assicurativo sempre più digitale, tenere il passo con un’evoluzione normativa continua, confrontarsi con l’emergere di nuove tecnologie, intelligenza artificiale in primis, e operare in un contesto economico che impone efficienza e controllo stretto dei costi.
«Quando è stato introdotto il GDPR abbiamo avuto quattro anni per adeguarci – ha osservato Degenhardt -, per il DORA, solo diciotto mesi. E le indicazioni definitive sono arrivate appena a gennaio. Il regolatore si aspetta una reattività che può essere garantita solamente se ci si appoggia a un’architettura agile e trasparente».
Complessità che BHD ha deciso di affrontare con un percorso di razionalizzazione e innovazione infrastrutturale, avviato con l’adozione di OceanStor Pacific di Huawei, scelto per la capacità di garantire prestazioni elevate, scalabilità orizzontale e una gestione efficiente dei dati non strutturati. Installata con una capacità iniziale di circa 4 petabyte, la piattaforma viene utilizzata per il consolidamento dei backup dei database e per l’integrazione con servizi cloud esterni, grazie a SmartSync, che consente di spostare automaticamente i dati su storage object come AWS S3 in base a criteri di tiering.
All’inizio di quest’anno, il Gruppo ha poi ampliato il progetto introducendo anche Huawei OceanProtect, puntando su una soluzione in grado di gestire in modo flessibile sia workload a blocchi sia a file, e di ottimizzare l’uso delle risorse grazie a funzionalità avanzate come snapshot, replica, deduplica e compressione. «Se liberiamo spazio spostando file su ambienti meno costosi, possiamo riutilizzare immediatamente la capacità per lo storage a blocchi – ha spiegato Degenhardt –. In questo modo otteniamo un vantaggio enorme in termini di flessibilità e controllo».
Il sistema utilizzato consente anche la migrazione trasparente dei dati e apre alla futura convergenza degli archivi, contribuendo a semplificare l’architettura IT complessiva del Gruppo. Un ulteriore punto di forza è stato il tempo di implementazione, considerato da Bhd un vero record per un progetto di queste dimensioni. L’obiettivo è, infatti, di completare la migrazione entro agosto dopo l’acquisto avvenuto a inizio anno.
Elaborare dati in real time fa la differenza anche in Formula Uno
La seconda testimonianza, diversa per contesto ma simile per approccio data-driven, è arrivata dal mondo della Formula Uno. A raccontarla è stato Neil Martin, data scientist che ha messo la sua esperienza al servizio di team come Ferrari, Red Bull e McLaren, mostrando come l’analisi dei dati e la modellazione predittiva abbiano trasformato non solo la competitività delle scuderie, ma anche la sicurezza dei piloti.

“La mia motivazione è la scienza – ha esordito -. Tutto è iniziato negli anni Ottanta, con una piccola scatola nera montata sotto le auto. All’epoca registrava solo velocità, marcia, frenata, ma ci bastava per confrontare i dati tra piloti e migliorare le prestazioni”.
Nel tempo, l’analisi dei dati in Formula Uno è diventata sempre più sofisticata. Da poche decine di segnali si è passati a milioni di informazioni al secondo. Oggi ogni vettura produce circa 100 megabyte di dati al secondo, inviati in tempo reale al box e poi, con un ritardo di appena 60 millisecondi, alla sede del team, dove una quarantina di ingegneri seguono tutto da remoto.
Dati che in alcuni casi hanno fatto la differenza anche sulla vita dei piloti. Garantire la loro sicurezza fisica è diventato, negli anni, un obiettivo sempre più legato all’uso intelligente dei dati. Un approccio nato dopo l’incidente in cui Ayrton Senna ha perso la vita.
Da allora, l’analisi dei dati ha iniziato a essere usata per capire a fondo cosa accade in pista, anche nei casi peggiori. È così che sono stati progettati strumenti come il sistema Halo, la struttura in titanio in uso dal 2018, che ha protetto Leclerc in uno scontro ravvicinato e, poco dopo, ha permesso a Romain Grosjean di salvarsi da un altrettanto grave incidente.
Ma l’intelligenza predittiva non serve solo per la sicurezza. Viene usata in ogni fase, dai cambi di marcia ai pit stop, fino alla progettazione di nuovi componenti. “Il simulatore non è una PlayStation potenziata – ha concluso Martin –. È il gemello digitale della macchina. Disegniamo i pezzi, li proviamo al simulatore e solo dopo costruiamo quelli reali. In questo modo possiamo sperimentare senza sprecare tempo e risorse, anche in un campionato sempre più regolato”.
In tutto questo, i dati aiutano a vedere prima quello che può succedere, offrendo un supporto concreto per prendere decisioni più veloci, più consapevoli e meglio calibrate, in un ambiente dove ogni dettaglio può fare la differenza. Per riuscirci, servono architetture capaci di gestire grandi quantità di informazioni in modo continuo e affidabile, come quelle presentate da Huawei, pensate per accompagnare scenari in cui la velocità del dato coincide con la qualità della decisione.






