Ducati come diventare campioni del mondo

Alla base del successo mondiale ottenuto da Ducati nel MotoGp c’è una realtà che crede nella ricerca, fatta con coraggio, e nel valore aggiunto del Made in Italy

Claudio Domenicali, Ceo di Ducati corse

Vedere un’azienda italiana come Ducati (più di mille dipendenti e oltre 300 milioni di fatturato nel 2006) vincere proprio in Giappone il titolo mondiale del campionato MotoGp contro i colossi giapponesi, è stata una bella soddisfazione. La marcia in più che la società ha dimostrato di avere, è legata all’innovazione e alla capacità dei suoi progettisti di aver realizzato prodotti riconosciuti vincenti, frutto anche di scelte coraggiose, come ha dichiarato Filippo Preziosi, progettista della Desmo16, con la quale Casey Stoner ha vinto in anticipo il mondiale. Ma già prima di raggiungere questo traguardo l’azienda ha avuto la conferma che il 2007 era iniziato sotto i migliori auspici: il fatturato nel primo semestre ha avuto un’impennata, essendo cresciuto del 40% e i profitti del 71%, mentre il debito si è ridotto.

La visita alla sede di Ducati, a Borgo Panigale, vicino a Bologna, ci ha consentito di toccare con mano una realtà fatta di manager molto motivati, di giovani operai (tra loro molte donne) che costruiscono moto con l’entusiasmo di una sfida quotidiana, che vede nella crescita della qualità finale (arrivata oggi al 96,6%) il meritato riconoscimento del proprio lavoro. Lineaedp ha colto al balzo l’occasione di intervistare Claudio Domenicali, Ceo di Ducati corse.

Che peso ha per voi l’innovazione?

«È fondamentale per una azienda basata sulle prestazioni. D’altra parte è un valore enorme, che non ha uguali in Europa, il contributo che viene dalla ricerca e sviluppo fatta sulle MotoGp. Le moto di serie e le moto da gara sono molto più simili, concettualmente, di quanto una vettura di F1 sia rispetto a una vettura granturismo stradale, e questo ci avvantaggia tantissimo».

Dopo un difficile 2005, i risultati in forte crescita del primo semestre del 2007 dimostrano che Ducati ha invertito la rotta. Quali sono state le mosse che hanno contribuito a questa rinascita?

«L’inversione di tendenza è da attribuire principalmente all’introduzione di due nuovi prodotti, il 1098 e l’Hypermotard, che hanno colpito il cuore degli appassionati. Entrambi hanno vinto il premio della Motorcycle Design Association al momento della loro presentazione, e le vendite hanno seguito in modo netto. Entrambi i modelli hanno poi un margine industriale particolarmente sostenuto, grazie al premio di prezzo permesso dal brand e dalle caratteristiche tecniche associato al raggiungimento di un target cost piuttosto severo. I risultati sportivi hanno certamente contribuito ad accentuare i risultati, anche se la flessione dei prodotti non ancora rinnovati della gamma mostra che dei due effetti è il prodotto che ha la maggiore influenza».

“Persone, passione e performance” è il vostro credo in Ducati. Che cosa fate per tenere alto tra i dipendenti l’entusiasmo a operare sempre meglio?

«Consideriamo le persone come tali, e comunichiamo in continuazione i valori in cui crediamo. In particolare, la voglia di lavorare insieme, e non divisi, e anche la voglia di divertirsi sul lavoro.
Come ho sentito citare Larry Page e Sergey Brin, fondatori di Google, noi vorremmo creare una cultura manageriale nella quale tutti puntano all’eccellenza, ma
lavorando con allegria».

Oggi la produzione avviene solo in Italia e i vostri prodotti sono fabbricati a livello quasi artigianale e per questo più cari dei competitor. Ritenete che questo approccio sarà ancora premiante in un mercato sempre più globalizzato?

«La produzione in Italia delle moto Ducati rappresenta certamente un costo superiore, ma noi vendiamo il Made in Italy. Le nostre moto devono crescere qui, respirare il profumo delle nostre terre e dei nostri cibi, solo in questo modo si trasformano da mezzo di trasporto a oggetto di desiderio. Il nostro business non è produrre mezzi a due ruote, ma realizzare sogni. E un sogno, perché sia tale, deve essere autentico».

Su quali paesi state spingendo per aumentare la vostra penetrazione, visto che il vostro business oggi è abbastanza distribuito a livello internazionale?

«La nostra copertura dei mercati è buona, fra filiali e importatori. Possiamo certamente fare meglio in alcuni paesi in forte crescita, come il Brasile, ma soprattutto migliorare la penetrazione nei mercati maturi, dove la nostra quota può ancora crescere».

L’essere una società quotata in Borsa dal 1999 quanto ha condizionato le vostre scelte?

«Certamente la necessità di trasparenza e reportistica generata dalla quotazione condiziona le modalità operative, ma non ha mai condizionato le nostre scelte strategiche».

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