Un singolo server virtualizzato può essere dimensionato come “sito stand-by”
Anche se oggi la maggior parte dei player si sta concentrando principalmente sul Vdi (Virtual desktop infrastructure), i clienti sembrano più interessati ad altre applicazioni per la virtualizzazione: una delle più richieste è il disaster recovery. Oggi realizzare un data center che sia in grado di sopravvivere a una catastrofe ambientale come un terremoto, un’inondazione, o anche solo a un incendio che divampa nello stabile dove è situato, ha costi proibitivi che anche le aziende più grandi faticano a sostenere.
Nella peggiore delle ipotesi, economicamente parlando, per godere dei tempi di reazione più rapidi possibili, si costruiscono data center gemelli a quelli di produzione che rimangono inutilizzati per un tempo indefinito fino a quando non si verifica un evento infausto. Questo significa che l’azienda deve investire nell’affitto o nell’acquisto di uno spazio dove costruire un sito in stand-by, in una copia dell’hardware che già possiede (possibilmente identica a quello nel sito principale), nella fornitura di corrente, nell’impianto di raffreddamento e anti-inciendio, nel software per replicare i contenuti dai server di produzione a quelli in stand-by, nei test di verifica che l’intera infrastruttura sia pronta e funzionante quando ci sarà realmente bisogno e, ovviamente, nel personale per manutenere il tutto.
La continuità del business è un’esigenza primaria di qualunque azienda, ma anche una piccola impresa che voglia semplicemente avere una macchina d’appoggio per ogni suo server di produzione, si trova spesso impossibilitata per via dei costi da sostenere. La virtualizzazione permette di abbattere drammaticamente questi costi come mai era stato possibile fino ad oggi.
Giacché molteplici server fisici possono essere consolidati nello stesso virtualization host, un’azienda può decidere di usare un singolo server opportunamente dimensionato come “sito stand-by” di disaster recovery per tutte le sue macchine di produzione.
Mentre nella server consolidation la P2V (Phisical to virtual) migration viene eseguita una tantum, in questo scenario la replica dei server è ciclica. Appena questi diventano indisponibili a causa di un problema, le macchine virtuali che contengono una copia dei loro dati possono rimpiazzarli, continuando a servire le esigenze dell’azienda. La P2V migration può essere eseguita sia mentre il server fisico è spento (in questo caso il processo si chiama “cold migration”) sia mentre è acceso (“hot migration”), ma non può ancora operare una sincronizzazione in tempo reale. In altre parole, c’è uno scarto temporale tra il momento in cui i dati di produzione vengono modificati e il momento in cui tale modifica viene replicata dentro la virtual machine gemella.
Prodotti di migrazione gratuiti
Tuttavia i player in questo segmento di mercato hanno sviluppato tecniche di sincronizzazione incrementale tanto evolute che questo scarto è minimale e perfettamente accettabile nella maggior parte dei casi. Un’altra buona notizia è che molti prodotti di P2V migration sono completamente gratuiti: poiché questa tecnologia è nata con lo scopo di agevolare le procedure di server consolidation, molti produttori di hypervisor (come Vmware, Citrix e Microsoft) hanno interesse a offrire i prodotti di migrazione a costo zero, pur di vendere di più le proprie piattaforme di virtualizzazione.
Se poi l’azienda ha già adottato la virtualizzazione per il suo data center di produzione, allora realizzare un sito virtuale di disaster recovery è ancora più facile: attraverso molteplici tecniche è possibile copiare le macchine virtuali, che alla fine sono dei semplici file, dall’hypervisor di produzione a quello nel sito di stand-by.
I prodotti che replicano le Vm coordinano la copia e informano le console di management degli hypervisor delle modifiche in atto, oppure interagiscono direttamente con le unità di storage dove le Vm sono salvate per copiarle da un disco fisico a un altro.
La replica e la sincronizzazione di una virtual machine su due data center è molto più efficiente della P2V migration descritta precedentemente, perché tutto il processo di duplicazione dei dati non avviene all’interno del sistema operativo virtuale quindi non ne impatta le performance ed è totalmente trasparente.
D’altra parte questa tecnica è molto più costosa e molto meno flessibile: alcuni prodotti di replica non sono in grado di eseguire l’operazione quando la Vm è in esecuzione, mentre altri supportano solo un tipo di hypervisor sul mercato. In ogni caso, sia che si utilizzi la P2V migration o la “Vm synchronization”, l’investimento per implementare un sito in stand-by diventa sensibilmente inferiore rispetto a quello necessario per una soluzione tradizionale e da solo questo scenario è sufficiente ad attrarre molte aziende che altrimenti non avrebbero interesse nella virtualizzazione.





