In base ai dati presentati dal Rapporto di Business International, il nostro Paese avanza, lentamente, ma non è capace di attrarre investimenti esteri
La tradizionale “tavola rotonda” con il governo italiano, organizzata da Business International e il cui sottotitolo prometteva di far luce sulle priorità inserite nell’agenda dell’esecutivo, pur essendosi svolta a ridosso della presentazione della Finanziaria (e quindi nel momento di massima tensione per la scelta dei programmi su cui concentrare iniziative e sforzi organizzativi, ma soprattutto economici) si è conclusa senza consegnare alla folta rappresentanza della business community dei grandi gruppi industriali nazionali e internazionali (in particolare a quanti guardano all’Italia come possibile area d’investimento) un quadro di riferimento significativo.
In un mare di parole, spesso vuote e ripetitive, si è persa così per le imprese un’occasione che avrebbe dovuto fornire elementi per organizzare al meglio le strategie e i piani d’investimento.
Unico punto di riferimento su cui si può riflettere è l’ormai consueto “Rapporto annuale sulla competitività del Sistema Italia” elaborato in collaborazione con Economist Intelligence Unit (Eiu) e Leonardo Business Consulting. La ricerca esamina dieci indicatori (ambiente politico, sia per quanto attiene la stabilità che per l’efficacia, ambiente macroeconomico, opportunità di mercato, politiche per l’impresa e la concorrenza, politiche verso gli investimenti esteri, commercio estero e controlli valutari, fisco, mercato finanziario, mercato del lavoro, infrastrutture) assegnando a ciascuno un duplice punteggio a seconda che ci si riferisca al quinquennio trascorso (1997-2001) o a quello prossimo (2002-2006).
A fronte dei principali stati europei, il business environment italiano conferma un costante, ma lento miglioramento. L’Italia, infatti, passa (in una stima da 1 a 10) dal 6,89 per il periodo 1997-2001 al 7,68 della previsione 2002-2006. Tuttavia questo valore è inferiore a quello stimato della precedente edizione (7,85) e poiché anche gli altri Paesi migliorano, nella classifica generale (60 Paesi) l’Italia passa dal 23° al 22° posto mentre nella regionale (17 stati dell’Europa occidentale) sale dal 15° al 14° posto, scavalcando il Portogallo, ma restando dietro agli altri paesi europei, fatta eccezione per Grecia e Turchia.
Secondo l’analisi ad avere peggiorato le prospettive sono l’ambiente politico (-0,3), le opportunità di mercato (-0,2), le politiche verso gli investimenti esteri (-1,1), il fisco (-0,4) e il mercato del lavoro (-0,3).
Il confronto con i Paesi dell’Ue
Complessivamente il business environment italiano sarà, anche alla fine del 2006, meno competitivo di quello di Francia, Germania, Regno Unito, Paesi Bassi, Spagna e Irlanda. Tuttavia il divario tra la media dei sei Paesi e l’Italia è destinato a diminuire passando da 1,20 a 0,76 confermando la tendenza a colmare la distanza che separa il nostro Paese dai suoi partner europei. L’esame per categorie rivela, inoltre, come rispetto alla media degli altri Paesi l’Italia migliorerà in tutte le aree fatta eccezione per il mercato del lavoro, per il quale invece il divario è destinato, seppure in misura marginale, ad aumentare.
Nel periodo di previsione l’Italia risulterà in linea con gli altri Paesi europei per stabilità economica, opportunità di mercato, commercio estero e regime valutario. Si discosterà di meno di un punto per quanto riguarda politiche per l’impresa privata, mercato del lavoro e infrastrutture, mentre avrà un differenziale sensibile per quanto riguarda politiche per gli investimenti esteri, fisco e mercato finanziario. In particolare, nell’ambito delle opportunità di mercato, il quadro dell’Italia è buono (7,3) e questa è la categoria destinata a divenire la migliore della media dei sei paesi (7,27), mentre per l’indice delle “politiche per l’impresa privata e la concorrenza”, il rapporto di Business International afferma che «nonostante gli enormi passi avanti fatti», compresa la riduzione delle procedure amministrative e burocratiche, il decollo dello sportello unico, l’efficacia dell’azione delle varie authority e in particolare dell’Antitrust, e la liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni, «la posizione dell’Italia è ancora indietro rispetto a quella dei suoi principali partner europei» poiché i settori dell’energia e dei trasporti sono solo agli inizi del processo di liberalizzazione mentre resta da affrontare il problema degli ordini professionali.
Una nota dolente riguarda il capitolo delle “politiche per gli investimenti esteri”. In questo settore l’Italia registra un notevole rallentamento rispetto alle previsioni dell’anno precedente. Il divario con la media dei sei Paesi con cui è messa a confronto continua a essere elevato (1,45) ed è il maggiore tra le varie categorie. Questo dipende, secondo il rapporto «dal permanere di un ambiente normativo e fiscale complesso e poco trasparente e dalla minore efficacia e incisività dell’azione di Sviluppo Italia, che appare oggi ancora in attesa di definire esattamente la sua area di competenza».
Infine, per quanto concerne le “infrastrutture” il rapporto sottolinea che il «problema si è andato aggravando per tutto lo scorso decennio. Le prospettive sembrano finalmente cambiate, ma su di un rilancio delle politiche di investimento nel settore pesa anche in questo caso il quadro dei conti pubblici». In questo campo l’Italia (7,8) si ritrova al fianco di Regno Unito (8,0), Irlanda (7,8) e Spagna (8,0), ma è “ancora distante dai Paesi più avanzati” come Germania (9,1), Francia (9,3) e Olanda (9,3).





