Non è un modo diverso di dire project management: va ben oltre, dato che abbraccia tutti gli elementi dell’azienda
La genesi del Project management (Pm) risale a tempi veramente antichi. Sebbene non riconosciuto, ovviamente, come tale, una forma di Project management veniva già messa in atto nella costruzione di edifici come le piramidi, quando era necessario coordinare il lavoro di più persone in vista di un unico obiettivo secondo limiti di tempo e standard di qualità definiti.
Nel ventesimo secolo, il Pm emerge invece come disciplina a sé stante, prendendo spunto dall’ingegneria e dalla scienza delle costruzioni. Con l’avvento dell’It, infine, il lavoro basato su progetto è cresciuto in maniera incrementale. Scegliere tra molti e diversi progetti, dovendo confrontarsi con risorse aziendali limitate, è una sfida seria a cui le aziende devono essere preparate a rispondere. Quasi tutto ciò che è stato scritto sulla misurazione del successo dei progetti si poggia su quattro pilastri tradizionali: scopo, tempo, costo e qualità. Tuttavia, la maggior parte dei top manager non è interessata a questi parametri. Ai più alti livelli dirigenziali, infatti, si preferisce parlare di profittabilità, di ritorno sugli investimenti, di delivery di benefici e della possibilità di ricavare vantaggi dalla “finestra di opportunità”. Se tipicamente i top manager hanno sempre avuto a cuore le due questioni fondamentali «quando sarà completato il progetto» e «quanto costerà», oggi, in un panorama sempre più competitivo, le questioni centrali sono altre come: Quale mix di progetti potenziali offrirà il migliore utilizzo di risorse umane e finanziarie per massimizzare la crescita e il ritorno sugli investimenti? Questi progetti supportano le iniziative strategiche e come impattano sul valore delle azioni? L’approccio alla gestione dei progetti deve essere, quindi, più ampio. Il Project portfolio management (Ppm) si presenta come un insieme di pratiche che porta il mondo dei progetti a integrarsi in modo stretto con altre operazioni di business. In passato, la mancanza di questa integrazione ha portato a un grave scollamento tra la funzione dei progetti e il resto delle operazioni aziendali. Senza questo legame essenziale, infatti, molti sforzi si perdono nel tentativo di realizzare i progetti nel modo giusto, ma spesso sono i progetti stessi a non essere quelli appropriati. E questo per motivi diversi: alcuni non portano i benefici promessi, altri non sono in sintonia con gli obiettivi aziendali, altri ancora sono troppo rischiosi. Alcuni mostrano subito i primi segni di fallimento, altri subiscono tanti ritardi da non essere più un’opportunità. E così via.
Per fortuna, la soluzione a questi problemi, che finiscono con il costare molto cari, è relativamente economica e richiede poco tempo per venire assimilata. Servono pochi nuovi skill e qualche piccola aggiunta al software di gestione. Adottare una cultura basata sul Ppm richiederà impegno a livello di top management e un ambiente di lavoro maturo e collaborativo per i team di progetto e di governance. Il Ppm spingerà la cultura aziendale esattamente nella direzione in cui si vuole che vada. Verrà, infatti, razionalizzata la selezione e la gestione dei progetti con l’obiettivo finale di portare a zero il numero dei progetti falliti. Il Ppm, quindi, significa avere le informazioni giuste, in modo da poter prendere le corrette decisioni per scegliere i progetti giusti. Si tratta di comunicare e collegare la strategia di business al processo di selezione dei progetti, di essere sicuri che le opportunità prospettate siano reali e di gestire il portfolio dei progetti in modo da massimizzare il contributo dei progetti al successo generale dell’azienda.





