“C’è l’intelligenza artificiale, e poi c’è l’intelligenza artificiale per l’impresa”.
Con questa frase, Alexander Rinke, co-fondatore e co-CEO di Celonis, ha aperto la Celosphere 2025 dal palco di Monaco di Baviera.
Una distinzione netta, quasi una sfida lanciata al mercato dell’AI generativa: la vera intelligenza, dice Rinke, non è quella dei laboratori, ma quella che comprende come funziona un’azienda reale, con le sue regole, i suoi errori e le sue decisioni.
Il keynote si apre con un dato non rassicurante: “Solo l’11% delle aziende dichiara di ottenere benefici misurabili dai propri progetti di intelligenza artificiale”. È una cifra che racconta molto più di quanto sembri: non è solo un problema di adozione, ma di significato.
La maggior parte delle AI aziendali non sa dove si trova, non sa cosa rappresentano i dati che elabora, e di conseguenza non produce valore.
“Per far funzionare davvero l’AI d’impresa servono tre cose. La prima è che capisca il contesto di come funziona la vostra azienda. Quel contesto non è su Internet – o almeno, si spera di no – ed è incredibilmente complesso”.
Dietro l’ironia, Rinke lancia un messaggio preciso: i modelli di AI generalista possono predire, generare, imitare, ma non comprendono. Possono correlare miliardi di pattern linguistici, ma non conoscono la logica di un ordine di acquisto o la priorità di una supply chain. L’intelligenza, per essere utile all’impresa, deve nascere dal contesto.
La conoscenza che serve alle aziende non è pubblica né condivisibile: vive nei sistemi interni, nei flussi operativi, nei documenti e nelle regole che scandiscono ogni decisione quotidiana. È una conoscenza complessa, frammentata, spesso tacita — e per questo invisibile ai modelli addestrati su dati aperti.
L’AI generica può imitare il linguaggio, ma non comprende i processi. Ed è qui che si colloca la svolta concettuale proposta da Celonis.
Dal dato al contesto: la Process Intelligence
Rinke descrive il punto cieco dell’impresa moderna con precisione: “I dati oggi sono intrappolati in sistemi individuali. Il contesto essenziale su come funziona il business non è solo in quei sistemi. È disperso tra disegni di processo, diagrammi di architettura enterprise, file di log, documenti, e-mail e molto altro.”
Il problema non è la mancanza di dati, ma la loro frammentazione. Ogni sistema custodisce un pezzo di verità, ma nessuno contiene l’immagine complessiva, con il risultato che è un’azienda non vede sé stessa, e non è in grado di connettere le informazioni a ciò che rappresentano.

“Non avete una visione olistica delle vostre operazioni. E, naturalmente, di conseguenza l’AI non ha quel contesto. E come potrebbe essere altrimenti?”
Questa cecità è la causa strutturale del basso ROI dell’intelligenza artificiale. I dati descrivono eventi, ma non raccontano la storia che li lega. Senza contesto, ogni sistema resta un’isola e l’AI diventa un esercizio sterile.
Celonis propone di risolvere questa frattura alla radice: ricostruendo il contesto stesso.
“Il nostro data core estrae dati grezzi da quei sistemi, ma non solo da sistemi: da applicazioni, da dispositivi. Poi prendiamo quei dati e li arricchiamo con il vostro contesto di business: regole, KPI, benchmark, modelli, persino diagrammi di architettura enterprise.”
Non è una semplice estrazione di dati, ma un processo di intelligenza strutturale: ogni informazione viene reinserita nel suo scenario operativo.
Il ruolo del Task Mining: catturare l’intelligenza umana
In questa ricostruzione del contesto, Rinke introduce un elemento non secondario: il Task Mining. Se il process mining rivela cosa accade nei sistemi, il task mining mostra come lavorano le persone.
“Alcune azioni compiute ogni giorno – i clic, i copia-incolla, i passaggi tra applicazioni – non vengono catturate da nessuna parte. Per questo non si ha una visione olistica delle operazioni.”
Il task mining osserva e collega le attività umane ai dati di sistema, rispettando la privacy e completando la visione operativa del business.
Permette di vedere non solo dove un processo si inceppa, ma perché: quali decisioni manuali lo rallentano, quali eccezioni lo deviano, quali comportamenti generano valore nascosto.
Nel modello Celonis, è il ponte tra l’intenzione umana e i sistemi digitali.
Unisce le sequenze di azioni agli eventi registrati, restituendo una comprensione completa del “come accade il lavoro”.
Rinke lo definisce come il passo decisivo per trasformare la Process Intelligence da un archivio analitico a una rappresentazione vivente della realtà operativa.
Al centro si trova il Process Intelligence Graph, “un gemello digitale vivente delle operazioni, completamente indipendente dai sistemi e privo di bias”.
“Vivente” perché aggiornato in tempo reale e arricchito dal contributo umano: un sistema che comprende non solo i flussi automatizzati, ma anche le eccezioni e le scelte che definiscono l’impresa.
Questo concetto ribalta l’approccio tradizionale: invece di costruire AI sopra i processi, Celonis costruisce AI dai processi — e dal lavoro reale che viene svolto per compierli.
“Con Celonis, l’AI finalmente sa come fluisce il business.”
Il contesto come fondamento dell’autonomia
Per Rinke, il contesto non è un’informazione accessoria, ma la condizione stessa che consente all’AI di agire.
“L’AI ha il contesto di cui ha bisogno. È implementata nei posti giusti e si integra senza attriti nella vostra organizzazione, trasformando i processi in operazioni guidate dall’AI”.
Un’intelligenza senza contesto è cieca: osserva senza capire. Con il contesto, invece, diventa autonoma, capace di intervenire dove serve, di coordinare risorse e migliorare i flussi.
È qui che nasce il principio che riassume la filosofia di Celonis: “Free the Process” – liberare il processo significa liberare il contesto, separare la conoscenza del business dalle infrastrutture che la imprigionano, rendere il contesto accessibile, fluido e riutilizzabile, affinché possa alimentare non solo i sistemi, ma anche le persone che prendono decisioni.
La Process Intelligence diventa così il terreno su cui costruire la libertà cognitiva dell’impresa.
“Non c’è AI senza PI”: l’intelligenza che comprende
Quando Rinke afferma che “There’s no AI without PI”, non lancia uno slogan: definisce un paradigma. L’intelligenza artificiale d’impresa non nasce dai modelli, ma dalla conoscenza che un’azienda ha di sé stessa.
“Con Celonis, la vostra AI finalmente sa come fluisce il vostro business”.
La Process Intelligence è il collegamento mancante tra dati, significato e azione. È ciò che permette all’AI di capire non solo cosa accade, ma perché accade.
Il Process Intelligence Graph fornisce all’AI una rappresentazione viva del business: non solo eventi e metriche, ma regole, soglie, obiettivi e deviazioni. Non si tratta di una nuova versione del process mining, ma di un salto concettuale: dall’analisi passiva alla comprensione attiva.
In un sistema PI, ogni dato è dotato di semantica, ogni evento è letto alla luce delle sue conseguenze operative; l’azione dell’AI è limitata da un perimetro ben definito, e da arricchita non solo dalla conoscenza del passato, ma anche dalle intenzioni aziendali.
È l’inizio di una nuova intelligenza aziendale: contestuale, situata, capace di adattarsi, un’AI che non osserva da fuori, ma partecipa al flusso della vita operativa.
Il ciclo vitale dell’Enterprise AI
Il principio di contestualizzazione trova la sua espressione più concreta nel ciclo vitale dell’Enterprise AI, articolato in tre fasi: analyze, design, operate.
Analyze – vedere ciò che accade
“Le nostre capacità di analisi permettono di scoprire il processo e di capire dove introdurre strategicamente l’AI. Significa che l’intelligenza artificiale comprende come funziona l’azienda e come migliorarla”.
In questa prima fase, l’AI osserva. Ma non si limita a contare o misurare: analizza flussi, sequenze e correlazioni tra attività.
Celonis elabora miliardi di record a velocità enterprise, restituendo una mappa vivente del modo in cui l’organizzazione realmente lavora.
L’obiettivo non è individuare difetti, ma capire il funzionamento reale.
Il sistema impara la lingua dei processi, riconosce i pattern decisionali, identifica colli di bottiglia e deviazioni, restituendo un’immagine fedele e continuamente aggiornata.
È la differenza tra vedere un cruscotto e comprendere un comportamento.
Design – progettare ciò che deve accadere
Una volta compreso come l’impresa funziona, arriva il momento di ridisegnarla.
“Le nostre capacità di design consentono di riprogettare lo stato target in base agli insight ottenuti dall’analisi, di pianificare come il processo dovrebbe funzionare meglio in futuro, di impostare risultati, limiti, punti di inserzione dell’AI e di attingere a molti blueprint di best practice”.
In questa fase, il contesto diventa intenzione. Celonis fornisce strumenti per simulare scenari, testare strategie e definire processi target coerenti con le priorità aziendali.
È qui che l’AI diventa parte del linguaggio decisionale: contribuisce alla progettazione stessa del cambiamento, suggerendo modifiche, parametri, sequenze ottimali.
Il design rappresenta l’intelligenza riflessiva dell’impresa: la capacità di immaginare e modellare il futuro sulla base della conoscenza del presente.
Operate – far accadere le cose
“È possibile ora operare questi processi nuovi o migliorati, orchestrando soluzioni AI direttamente all’interno dei workflow esistenti. Si può garantire che agenti, persone e sistemi lavorino in sincronia verso obiettivi condivisi, mentre vengono monitorate le prestazioni e misurato l’impatto”.
È la fase in cui la conoscenza diventa azione. L’AI entra nei flussi operativi, coordina attività, anticipa anomalie, riallinea le risorse.
Gli AI Agents non si limitano a seguire istruzioni: interpretano il contesto, prendono decisioni operative e le traducono in azioni concrete. Non sostituiscono l’intelligenza umana – la amplificano, estendendo la capacità dell’impresa di pensare e agire in modo coerente
Il valore del modello Celonis è che questo ciclo non si chiude mai: ogni azione produce nuovi dati che tornano nella fase di analyze, generando apprendimento continuo. È un ecosistema che si adatta e cresce con l’organizzazione.
Gli Agenti AI: l’intelligenza che agisce dentro i processi
All’interno della piattaforma Celonis, gli AI Agents rappresentano la concretizzazione operativa della Process Intelligence: non sono bot o semplici co-pilot, ma entità intelligenti che vivono dentro i processi, ne comprendono il contesto e agiscono di conseguenza. Rinke li descrive come “nodi intelligenti in grado di collegare persone, soluzioni di AI e investimenti tecnologici esistenti per orchestrare risultati attraverso l’intera azienda”. Il loro compito non è automatizzare meccanicamente, ma coordinare, in tempo reale, ciò che accade tra sistemi, dati e persone.
La differenza rispetto all’AI tradizionale è radicale. Gli agenti Celonis non risiedono in una singola applicazione, ma operano sopra il Process Intelligence Graph, il gemello digitale “vivente” che rappresenta le operazioni dell’impresa. È da questo digital twin che traggono il contesto aggiornato — regole, vincoli, priorità, eccezioni — e su di esso intervengono per mantenere l’organizzazione in equilibrio dinamico. In questo modo, l’AI smette di essere un servizio esterno e diventa parte del tessuto operativo: osserva, comprende, decide e agisce all’interno del flusso reale del lavoro.
Durante il keynote, sono stati presentati esempi concreti come quello di Uniper, dove gli agenti vengono impiegati per gestire in modo predittivo le centrali idroelettriche, bilanciando i carichi di lavoro e pianificando gli interventi di manutenzione. Il CIO di Uniper ha descritto questa evoluzione come “il sogno di avere un co-pilot consapevole del processo, che esegue, scrive nei sistemi e mi rende indipendente dal legacy”. Gli agenti, quindi, non si limitano a seguire istruzioni: interpretano il contesto, prendono decisioni operative e le traducono in azioni concrete, interagendo con i sistemi aziendali e con le persone.
Rinke e i partner tecnologici di Microsoft e IBM hanno parlato di una “frontier firm” guidata dagli esseri umani ma operata dagli agenti: un’impresa che non subisce i processi, ma li genera su richiesta, adattandoli in tempo reale ai propri obiettivi. “I sistemi intelligenti del futuro”, ha detto Rinke, “saranno in grado di generare workflow on demand, adattati alle esigenze del business in quel preciso momento”. È la logica del process-as-conversation: l’intelligenza che trasforma un’intenzione in azione, un ordine in processo.
In questo scenario, il principio di libertà assume un nuovo significato. “Freeing the process significa liberare anche gli agenti e le soluzioni AI dai silos dei sistemi legacy”, spiega Rinke. “Solo così possono reinventare e ricomporre le operazioni”. Gli agenti, dunque, incarnano la libertà del processo: sono autonomi ma connessi, intelligenti ma trasparenti, capaci di apprendere dal contesto e di adattarsi senza perdere coerenza. Non sostituiscono l’intelligenza umana, la amplificano. Non si limitano a reagire, ma contribuiscono a far evolvere il modo stesso in cui l’impresa pensa, decide e agisce.
Ecosistema aperto e impresa componibile
Una volta costruita la base cognitiva, la filosofia Celonis si apre verso l’esterno.
“Vi diamo i mattoni per costruire il futuro. La nostra piattaforma è al 100% aperta, perché ogni impresa deve poter modernizzare il proprio business alle proprie condizioni”.
La composability è l’evoluzione naturale della Process Intelligence: l’intelligenza non è più centralizzata, ma distribuita. Le aziende devono poter assemblare i propri sistemi come blocchi modulari, componendo un’architettura che rifletta il proprio modo di operare.
Per decenni la tecnologia ha costretto le imprese ad adattarsi alle sue logiche; oggi Celonis rovescia il paradigma: i sistemi devono adattarsi ai processi.
La piattaforma Celonis è nelle intenzioni aperta, interoperabile, system-agnostic: capace di integrarsi con qualsiasi fonte dati o applicazione, mantenendo la coerenza semantica del contesto.
Rinke sottolinea la dimensione comunitaria di questo approccio: “Rendere l’Enterprise AI realtà non sarà il lavoro di una singola azienda, ma di un’intera comunità: clienti e partner che lavorano insieme per costruire il futuro”.
Le partnership strategiche — Microsoft, IBM, Databricks, Genpact — non sono meri integratori tecnologici, ma coautori di un linguaggio operativo comune.
“Le cose buone nascono da ecosistemi aperti”. L’apertura, spiega Rinke, non è solo tecnica. È cognitiva: un ecosistema è davvero intelligente solo se condivide la stessa semantica dei processi. La vera interoperabilità non è lo scambio di dati, ma lo scambio di significati. È qui che la Process Intelligence diventa un linguaggio universale per l’impresa moderna.
Free the Process: la libertà come architettura dell’intelligenza
“Liberare il processo significa disaccoppiamento dai sistemi legacy. Significa separare la conoscenza del business dai sistemi che la tengono prigioniera”. Con questa affermazione, Rinke chiude il cerchio: la libertà come fondamento dell’intelligenza.
Per anni, i sistemi IT hanno imposto modelli rigidi ai processi. Oggi, Celonis propone di invertire la logica: il processo deve modellare i sistemi, non il contrario.
“I processi devono essere progettati per funzionare al meglio per la vostra azienda, non per adattarsi ai sistemi su cui vivono”. Da questa idea nasce la visione dell’impresa dinamica: un’organizzazione che può reinventarsi in tempo reale.
“Immaginate di dire: “Dammi un workflow di procurement e aggiungi controlli di sostenibilità”. Questo è il futuro del SaaS – non morto, ma trasformato.
È la logica del process as conversation: l’intelligenza che traduce l’intento in azione, collegando linguaggio naturale e realtà operativa. Liberare i processi significa riportare l’intelligenza dentro l’impresa.
È il passaggio dall’AI “as-a-service”, esterna e opaca, all’AI “as-awareness”: una consapevolezza diffusa, incorporata nei processi e nelle persone.
Tecnologia e libertà: il dialogo tra María Corina Machado e Ana Corina Machado
Il momento conclusivo della Celosphere 2025 ha esteso il tema della libertà oltre i confini dell’impresa.
Sul palco virtuale è intervenuta María Corina Machado, premio Nobel per la Pace 2025, collegata in diretta dal Venezuela, introdotta dalla figlia Ana Corina Machado, oggi parte del team Celonis.
La conversazione tra madre e figlia ha intrecciato libertà politica e libertà dei processi.
Ana Corina ha aperto con un messaggio personale: “Mamma, non so dove sei oggi né quando ci rivedremo, ma anche in isolamento non hai mai smesso di lottare”.
Machado ha raccontato come la tecnologia sia diventata un’arma per la verità: “Abbiamo creato una rete di 600.000 volontari collegati tramite app sicure e satelliti, per raccogliere e pubblicare in tempo reale i risultati elettorali. La tecnologia è stata la nostra arma per dire la verità”.
Un’infrastruttura digitale basata su reti distribuite, comunicazioni criptate e sistemi decentralizzati: la traduzione, su scala civile, della stessa filosofia Celonis.
Trasparenza come condizione della fiducia; processi aperti come base della libertà.
Quando Ana Corina le chiede come la tecnologia potrà servire alla ricostruzione, la madre risponde: “Abbiamo l’opportunità di costruire la democrazia più trasparente al mondo. Ogni transazione pubblica sarà visibile in tempo reale, ogni cittadino avrà un’identità digitale sicura, ogni atto di governo potrà essere verificato”.
Un manifesto di governance digitale che riecheggia la Process Intelligence: ogni decisione tracciabile, ogni flusso verificabile, ogni errore correggibile alla luce del contesto.
Nel finale, il collegamento tra libertà politica e libertà dei processi si fa esplicito.
Rinke conclude: “Rispetto, integrità, collaborazione… e la lotta per la libertà – quella che dà senso anche alla libertà dei processi”.










