Il New York Times racconta come utilizzano il blog le piccole aziende americane. Non è obbligatorio parlare dei propri prodotti
Uno strumento low cost, ma dagli alti ritorni a cavallo tra il marketing e le pubbliche relazioni. Così il New York Times definisce i blog aziendali protagonisti di un articolo che si occupa delle piccole aziende americane (sotto i cento dipendenti, praticamente il 95% dell’industria italiana) che utilizzano questo tipo di forma di comunicazione.
Non che siano in molte ad avere un blog. Secondo un’indagine di American Express solo il 5% dello small business a stelle e strisce utilizzano i blog. In Italia, molto probabilmente, questa percentuale è molto più bassa.
I motivi della scarsa diffusione dei blog all’interno delle aziende sono tanti. Uno di questi è che non si tratta di un strumento per tutti.
Guy Kawasaki, imprenditore e blogger prolifico sostiene che “Se ti occupi di abbigliamento o hai un ristorante è più importante fare dei buoni vestiti o proporre del buon cibo che bloggare”. Un po’ scontato, ma vero. Di certo c’è il fatto che per gestire un blog bisogna avere tempo e sapere scrivere. Non tutti riescono ad abbinare le due cose.
Qualunque sia il settore di appartenenza di sicuro Aliza Sherman Risdahl, autore di un libro sui blog e consulente, sostiene che le aziende per aprire un blog devono avere una strategia e anche qualcosa da dire.
“Se tu vendi dei prodotti – aggiunge – devi essere ancora più creativo perché la gente non legge i messaggi pubblicitari”.
Sarah Endline, chief executive di una società che produce snack al cioccolato blogga dal 2005 perché voleva offrire il dietro le quinte del suo business. Così racconta dell’arrivo della prima spedizione di cacao dal Sud America e della sua ispezione alla merce direttamente al Kennedy International Airport.
Si tratta di un tentativo di essere più trasparenti, ma anche di un mezzo per far identificare l’azienda con una mission particolare o che per mostrare il lato buono con azioni di responsabilità sociale.
Per chi invece si occupa di tecnologia avere un blog è invece un fatto quasi normale. Tony Stubblebine che si occupa di social network le sue pagine Web le utilizza per fare capire la differenza del suo modello di business rispetto a quello di una tipica start up.
“Qualsiasi azienda nella Silicon Valley punta sui venture capital. Io invece non sono focalizzato sulla raccolta di soldi, ma sui miei clienti. “Sto cercando di creare una community per aiutare lo small Internet business come il mio – prosegue -. La mia blogging philosophy è simile al modello open source del software. Se io posso aiutare gli atri lo trovo gratificante e questa gente potrà ripagarmi in molti modi”. Non ci sono notizie riguardo all’andamento del fatturato. Però molti clienti li ha trovati grazie al passaparola e il blog serve anche per condividere informazioni con amici e persone che fanno parte del suo settore. Intanto si è fatto conoscere, non è poco in un mondo affollato come quello delle start up della valle più tecnologica del mondo.
David Harlow, avvocato e consulente ha iniziato a bloggare per fare del marketing personale dopo che si è messo in proprio. Dopo due anni dice di essere contento dei risultati. Ha due-trecento visitatori al giorno, grazie al blog ha guadagnato qualche cliente, ha stretto legami con altri avvocati ed è diventato una fonte per alcune pubblicazioni che si occupano del suo settore di riferimento, l’healtcare.
Però c’è chi punta più in alto. Come Denali Flavors, un società che produce gelati che ha un budget limitato per la comunicazione. Denali i blog li utilizza per costruire la brand awareness per Moose Tracks il suo prodotto più popolare. Il responsabile marketing John Nardini dice di avere sperimentato negli anni differenti tipi di blog. Quello che ha avuto più successo, però, non ha nulla a che fare con il business dell’azienda. Si chiama Free money finance ed è gestito direttamente da Nardini. Costa, escludendo lo stipendio del manager che si dedica anche ad altro, quattrocento dollari l’anno. Ha 4.500 visite al giorno e incassa 30-40 mila dollari l’anno in pubblicità che vanno tutti in beneficienza.
Alla società non interessano questo tipo di entrate. Il blog serve per mostrare il marchio del Moose Track ice cream. “Noi speriamo che la gente vada sul sito veda il nostro marchio e poi vada da Pathmark (una catena di negozi di alimentari) e dica: Hey ho appena visto quel marchio sul sito che visito tutti i giorni”.
A suo modo è geniale. Un blog che non c’entra nulla con l’azienda ma che diventa un eccellente veicolo pubblicitario per il brand principale. Inutile scervellarsi per tirare fuori notizie dalla propria azienda che ha poco o nulla da dire. Avete una passione o un hobby da portare sul Web con un blog? Fatelo e accompagnate il tutto con il marchio aziendale. Il problema alla fine è arrivare al giusto target.





