La forza di gravità del voto elettronico.
Gli americani hanno votato.
Messa nel cassetto la matita copiativa
(magari fosse stata usata!), se ne riparla fra quattro novembri.
E
ora sono conti nostri.
Non è questa la sede per commentare come sia andata,
nel senso della decisione presa dagli “yankee”.
O forse si?
Lo è un po’
di più per decifrare i meccanismi di voto.
Specie in virtù del fatto che si
è trattato, forse, dell’elezione più seguita della storia, quella a cui il
popolo del mondo ha riservato il maggior tasso di patemi, attese, speranze,
tifo, campanile e serate passare a elucubrare circa una svolta che si attendeva,
si diceva, a tutto vantaggio dell’umanità (come piace dire a noi vecchi
europei).
Non è andata nella direzione che Hollywood, tanto per dire una
comunità eccellente, auspicava.
E non è nemmeno andata nella direzione che
volevano i promotori del voto elettronico.
Il 30% degli iscritti alle liste
elettorali, 45 milioni di persone, residenti in 27 stati, hanno espresso la
propria preferenza tramite sistemi touch screen, il cui funzionamento è stato
controllato dalla Verified Voting Foundation.
Organizzazione che ha dovuto
registrare, elaborare e rispondere a centinaia di segnalazioni, lamentele,
reclami di inefficienza.
Non è più l’epoca dello “scandalo” delle schede
perforate in salsa della Florida, che viziò il duello Bush-Gore del 2000.
Sono tempi moderni: ora ce la si può prendere con i computer.
A ragione,
del resto, dato che hanno funzionato male.
Problemi di ordine
tecnico-funzionale si sono frammisti a quelli di natura
organizzativo-perdagogica: chi doveva assistere alle operazioni di voto tramite
computer, spesso ha reso più confuso il tutto.
Si va dai “misteri” di
Philadelphia, dove, per “amore fraterno”, i pc davano anticipazioni sui
risultati, al black-out di New Orleans, per finire con le farraginosità
dell’Ohio, che pragmatico e contadino non accettava tale ostacolo.
E su
tutto, la chicca dallo spazio, in puro stile hollywoodiano.
Le Elections
2004 sono state le prime nella storia (volete togliere un primato agli
americani?) in cui un voto è arrivato dalla Stazione spaziale internazionale
(Iss) orbitante, tramite posta elettronica (crittata, ovviamente), destinata al
centro di controllo spaziale di Houston, Texas, e prontamente girata alla contea
di Galveston, residenza del mittente, pardon, dell’elettore, l’astronauta Leroy
Chiao.
Il 44-enne sino-americano, invero, non è il primo cosmonauta a dire
la sua in fatto di elezioni: prima di lui il suo connazionale David Wolf si
espresse su un quesito amministrativo.
Di poco conto, insomma.
Chiao,
invece ha scelto fra Bush e Kerry.
Mica pizza e fichi.
O forse, si.





