Backup su disco Consigli sulla scelta

Diverse sono le tecnologie impiegate per migliorare le performance di queste attività. Analizziamo le principali

Il backup sta cambiando faccia. Uno dei compiti fondamentali dei dipartimenti It, infatti, è sempre stato quello di riuscire a preservare l’integrità dei dati di un’organizzazione. Fino a qualche anno fa era normale utilizzare un solo procedimento (il backup, appunto) come procedura di protezione dei dati. Questo non è più vero, oggi, specie nelle aziende di grandi dimensioni. La tutela dei record nel breve periodo, ad esempio, è garantita sempre più da un mix di replica dei dati stessi all’interno del sistema informativo (attraverso le tecnologie di cloning e snapshot), mentre il backup è teso a garantire la conservazione per lungo tempo delle informazioni. In passato, i responsabili It programmavano il backup ogni notte e i dati erano riportati su nastri che venivano organizzati in librerie gestite manualmente. La situazione è cambiata con l’avvento delle librerie robotizzate che non solo permettono di automatizzare tutte le attività di scrittura e richiamo, ma che consentono altresì di condividere la capacità delle singole cartucce, creando un serbatoio unitario di risorse. Il nastro offre alcuni indubbi vantaggi, come il basso costo abbinato all’elevata capacità, che lo rendono utile nella conservazione a lungo termine dei record. Tuttavia, un collo di bottiglia di questo media è dato dalla latenza, ovvero dal ritardo con il quale le informazioni possono essere, su richiesta, richiamate in virtù della linearità di accesso alle cartucce. Ecco perché molte aziende oggi utilizzano il disco per queste attività. L’accesso randomico tipico di questo media migliora sensibilmente i tempi di backup anche se, fino a qualche mese fa, i costi di questa tecnologia la rendevano applicabile solo ad altre tipologie di attività (tipicamente lo storage online dei dati che sono richiamati piuttosto di frequente).


Le tecnologie disco-disco coinvolte


Il mercato ha visto la diffusione, di recente, di diverse tecnologie a disco a basso costo. Ma come funzionano concretamente? Il disco appare come tale al sistema operativo, oppure emula una libreria o una cartuccia. In alcuni casi, si tratta di soluzioni puramente applicative, in altri casi, invece, il software è integrato in un’appliance. Alcune soluzioni di questo tipo supportano fisicamente dei dispositivi a nastro, altre no. Ciascuna opzione ha pro e contro. Il disco-disco (D2D) è la tecnologia che consiste nell’utilizzare un array di dischi come obiettivo del software di backup, in sostituzione della tradizionale cartuccia a nastro. I dati sono immagazzinati in un formato "disco" e due sono le opzioni possibili. Se si scelgono degli array convenzionali, il disco secondario (in genere ad alta capacità) funziona come dispositivo target e il software reindirizza il backup automaticamente su questo media, anziché sulla cartuccia. I benefici di questo tipo di soluzione sono legati al fatto che sarà possibile dotarsi di capacità aggiuntiva senza dover investire in hardware addizionale. Tuttavia, a far da contraltare c’è il fatto che utilizzare nativamente il disco come target del backup significa dover apportare modifiche sostanziali alle procedure. I dischi dovranno, infatti, essere partizionati per supportare diversi sistemi operativi e la loro capacità non potrà essere condivisa tra sistemi operativi differenti. Così, se le necessità di backup relative a uno specifico Os crescono, si renderà necessario ripartizionare i dischi.


Il ruolo delle appliance


Alcuni vendor hanno sviluppato, in contrapposizione a questa opzione, un software specializzato che vendono in abbinamento ai dischi e che offre, in aggiunta al mero backup, anche funzionalità di filtraggio (per ripulire i dati, eliminando quelli duplicati) o compressione (per recuperare spazio). A favore di questo tipo di soluzioni c’è il fatto che le appliance consentono di prevenire i problemi legati alle attività di backup, in quanto sono dotate di funzionalità che allertano l’amministratore qualora la capacità dei dischi sia prossima alla soglia di saturazione. Alcuni prodotti, inoltre, sono programmati per garantire funzionalità ILM (ovvero di gestione del ciclo di vita dell’informazione), per automatizzare lo spostamento dei dati dai dischi ai nastri. Inoltre, nel caso in cui sia richiesta capacità aggiuntiva, le appliance consentono di aggiungere facilmente nuovi dischi all’insieme di risorse storage già predisposte. I difetti di queste soluzioni sono legati al fatto che presentano gli stessi requistiti di installazione dei dischi, quindi devono essere configurate e partizionate in relazione all’ambiente operativo.


Le opzioni del virtual tape


Un’altra tipologia di soluzioni che inizia a diffondersi è il virtual tape (o disk-as-a-tape). In questo approccio, l’array di dischi risponde ai comandi software esattamente come se fosse una cartuccia posizionata all’interno di una libreria a nastro. Il vantaggio di questa soluzione è la facilità di installazione, visto che il disco e il software relativo possono essere collegati facilmente ai prodotti di backup già utilizzati in azienda. Tali soluzioni sono generalmente ricondotte a due sottocategorie: quelle di tipo puramente software e le appliance. Nel primo caso alla rapidità di installazione (il software gira su un server che è posto tra il sottosistema a disco e l’host) fanno da contraltare una maggior complessità gestionale. Nel secondo, invece, l’appliance è pensata per garantire funzionalità aggiuntive quali la compressione a livello hardware o software, ma ha il limite di essere progettata per lavorare in un solo ambiente operativo. Se è vero, quindi, che è facile da installare e gestire, i costi di acquisizione sono generalmente piuttosto alti. Sia nel caso in cui si opti per il software puro sia per l’appliance, tre sono le architetture utilizzabili in un sistema di virtual library.


I colli di bottiglia degli emulatori


L’emulatore dei tape drive è un sistema a disco sul quale il software di backup scrive in formato "nastro". I vantaggi sono legati all’interfaccia, piuttosto intuitiva, e al costo contenuto. Gli svantaggi, invece, sono legati al fatto che si perdono, con questa architettura, molti automatismi di backup. La seconda opzione è rappresentata dall’architettura delle librerie virtuali del tipo "disk only". In questo caso, il disco viene visto dal software di backup come una libreria a nastro, cosa questa che permette di condividere capacità e troughput tra i diversi host, automatizzando molte funzionalità. Per contro, invece, siccome l’integrazione è limitata allo storage su disco, gli utenti che volessero creare una cartuccia di dati da esportare offsite dovrebbero avviare un processo completamente separato, che influisce inevitabilmente sulle performance di Input/Output del sistema. La terza opzione possibile, infine, è la libreria virtuale con supporto diretto dei nastri. In questo caso, utilizzando il processore dell’appliance per spostare i dati, è possibile realizzare una connessione diretta tra il disco e la libreria a nastro. I benefici di questa soluzione sono legati al fatto che la capacità potrà essere facilmente incrementata aggiungendo nastri alla libreria e le attività di backup potranno essere migrate dal disco al nastro senza che si renda necessario ricorrere a un server di backup. Tra le pecche di questa architettura, il costo iniziale, piuttosto elevato, e la difficoltà di configurazione. Nel caso in cui l’azienda voglia creare con sistematicità copie su cartucce, inoltre, dovrà essere sicura del fatto che la soluzione scelta offra l’ampiezza di banda necessaria per queste applicazioni.

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