Non è una novità come tante altre. L’intelligenza artificiale, a differenza di molte altre tecnologie che hanno accompagnato nel tempo l’evoluzione dell’IT in azienda, non si limita a migliorare ciò che già esiste. Non si sovrappone ai processi per renderli più veloci o più efficienti. Li mette in discussione. L’impatto dell’AI è più profondo: ridefinisce i processi, impone nuove logiche operative, richiede scelte strategiche che toccano il cuore del business. È su queste implicazioni che si concentra oggi la riflessione di Axiante, forte di un’esperienza consulenziale che da anni accompagna le aziende nell’adozione mirata delle tecnologie emergenti. Un supporto che si rivela ancora più essenziale ora, perché di fronte all’AI non si tratta semplicemente di seguire una direzione, ma di trovare la propria strada, costruita su obiettivi concreti, dati disponibili e traiettorie di sviluppo uniche.
Ed è proprio qui che molte aziende italiane si trovano oggi: in una fase di curiosità più che di reale aspettativa. L’interesse c’è, ma spesso manca una piena consapevolezza di cosa l’intelligenza artificiale possa davvero offrire alla propria organizzazione, e di come valorizzare i dati che già si possiedono. Troppe volte sottoutilizzati, questi dati rappresentano una risorsa chiave, il punto di partenza per dare all’AI una base solida, rilevante, orientata ai risultati.

Dentro questo scenario si colloca l’approccio di Axiante: nessuna visione astratta, ma esperienza diretta sul campo, progetti attivi, analisi misurabili.
“Il dato più sorprendente – osserva Romeo Scaccabarozzi, CEO di Axiante – è che, a metà del 2025, l’intelligenza artificiale resta ancora marginale all’interno delle grandi aziende italiane.
Solo una minima percentuale ha già avviato progetti concreti. Eppure, gli studenti universitari la usano quotidianamente. Le imprese, invece, sembrano attendere prove di concretezza”.
Nelle delusioni passate le radici della cautela verso l’AI
Una cautela che, secondo Axiante, ha le sue radici in esperienze già vissute. Non è semplice diffidenza, ma un atteggiamento concreto e realistico, simile a quello avuto in passato con tecnologie come il metaverso o la grafica 3D. “Le aziende vogliono vedere valore, applicabilità, ritorni economici misurabili. È una questione di ROI, non di moda – sottolinea Scaccabarozzi – Un ragionamento che si scontra con la mancanza di riferimenti solidi: pochi benchmark, pochi casi simili nel proprio settore. E poi il punto è: mi serve davvero questa tecnologia? Oppure sto guardando qualcosa che ha senso solo altrove?”
In ogni caso, nonostante le esitazioni, alcuni ambiti stanno già tracciando la strada. Marketing, sviluppo prodotto, operations e IT sono oggi le aree in cui l’AI inizia a generare del valore visibile, secondo una recente rilevazione McKinsey. “Nel marketing, in particolare, le aziende stavano investendo da anni senza risultati veramente soddisfacenti e l’intelligenza artificiale è oggi vista finalmente come un’opportunità concreta per migliorare la personalizzazione, rafforzare la fidelizzazione e aumentare l’efficacia delle campagne”, osserva Scaccabarozzi.
L’insufficienza di dati non deve frenare l’adozione dell’AI
Ma perché queste potenzialità possano concretizzarsi, serve un cambio di passo nell’utilizzo dei dati. È qui che entrano in gioco anche i dati sintetici, risorsa decisiva per superare la scarsità di informazioni, soprattutto nella fase iniziale di sperimentazione.

“Sempre più aziende si avvicinano al tema dell’intelligenza artificiale attraverso POC, ma spesso faticano a reperire dati sufficienti per allenare i modelli – spiega Mirko Gubian, Global Demand Senior Manager & Partner di Axiante – E in questi casi i dataset sintetici possono aiutare a superare proprio questa barriera iniziale”.
Una trasformazione che, secondo Gartner, è già in atto. Oltre il 50% dei dati utilizzati per AI e machine learning nel 2024 è stato generato sinteticamente, con una crescita prevista fino al 90% entro il 2030. Ma generare dati non basta. “Se il dataset di partenza è parziale o distorto, si corre il rischio di amplificare i bias o di confondere rumore e informazione – avverte Gubian -. Per questo Axiante accompagna l’intero percorso, dall’assessment alla delivery, curando con rigore ogni fase di test. Serve un disegno preciso, una validazione attenta, un’architettura pronta a scalare”.
Settori virtuosi. Ma Axiante vede opportunità per tutto il Sistema Paese
Una metodologia che trova applicazione concreta in ambiti come le Customer Data Platform e la Customer Intelligence, dove i dati sintetici e l’AI permettono di unificare informazioni frammentate, identificare e finalizzare i profili cliente, segmentare il pubblico, prevedere i comportamenti e personalizzare l’esperienza. Soluzioni che settori come retail, banking, assicurazioni e sanità stanno già sperimentando per migliorare l’engagement e costruire relazioni più solide con i propri clienti. Ma è tutta l’economia a poterne beneficiare.
“La vera sfida del Paese non è ridurre i costi, ma aumentare la produttività – afferma Scaccabarozzi – L’Italia è ferma da vent’anni, e questo si riflette anche sulla stagnazione salariale. L’intelligenza artificiale può cambiare le regole del gioco, ma solo se la consideriamo una collega, non uno strumento. Una collega che lavora al fianco delle persone, ne amplifica le capacità, aiuta a migliorare i processi e a costruire una crescita più solida. Non si tratta solo di innovare, ma di trasformare davvero il modo in cui le aziende pensano al proprio futuro. E in questo orizzonte, l’AI diventa una materia prima strategica: accessibile, trasversale, e soprattutto, finalmente concreta”.







