Si è svolto a fine aprile a Denver, in Colorado, Appian World 2025. Il Colorado, benché abitato dai nativi da migliaia di anni, ha una storia di occupazione recente e deve buona parte del suo sviluppo all’arrivo della ferrovia. A metà Ottocento – racconta Matt Calkins, CEO di Appian, all’inizio del keynote inaugurale dell’evento – il treno rivoluzionò l’America. Non soltanto perché collegava città distanti in tempi impensabili, ma perché ridefinì il concetto stesso di progresso, abilitando una crescita economica mai vista prima. Oggi, secondo Calkins, siamo di fronte a una rivoluzione simile a quella ferroviaria: l’intelligenza artificiale non è solo un mezzo per “trasportare informazioni” più velocemente — come farebbe un treno digitale — ma è la struttura stessa che ridisegna come le aziende operano, decidono, rispondono. In altre parole: l’AI è la nuova infrastruttura del lavoro.
“Allora servivano binari per unire i territori. Ora servono agenti intelligenti per collegare persone, dati e decisioni in tempo reale”, dice Calkins aprendo il keynote di Appian World 2025. Il messaggio è chiaro: l’AI non è una moda da cavalcare, ma un’energia da incanalare nei processi operativi.
È il tempo di smettere di parlarne come di un sogno futuribile, e iniziare a farla lavorare davvero. E Appian lo sintetizza in un motto: “Bring AI to work”.
Oltre la retorica dell’AI: concretezza e valore
Matt Calkins ha criticato apertamente il fenomeno dell’“AI hype”, una narrativa prevalente che, secondo lui, altera la reale comprensione delle potenzialità dell’intelligenza artificiale nelle aziende. “Al giorno d’oggi, l’AI viene spesso descritta come uno strumento di creatività visionaria, capace di individuareuzioni miracolose o anticipare bisogni inespressi. Tuttavia, questa visione è ingannevole e, ancor peggio, ostacola il raggiungimento del vero valore”, ha dichiarato Calkins.
Il CEO di Appian ha spiegato che l’AI non deve essere vista come una “mente alternativa”, bensì come una forza di lavoro superumana. Il suo obiettivo primario, secondo Calkins, è incrementare l’efficienza nei compiti ordinari, portando risultati tangibili e misurabili, piuttosto che soluzioni astratte e speculative. L’approccio proposto è estremamente pratico: osservare i processi aziendali più frequenti e critici — quelli ripetuti migliaia o milioni di volte ogni anno — e innestarvi l’AI direttamente nel loro flusso operativo.
Efficienza prima di ogni altra cosa, dunque. L’AI, integrata nei processi, non si limita a fornire suggerimenti o risposte occasionali come i modelli conversazionali (chatbot o co-pilot), ma prende in carico porzioni di lavoro reale, automatizzandole con livelli di precisione e rapidità inarrivabili per l’uomo.
Questa filosofia ha due implicazioni cruciali: La Governance e Scalabilità, perché inserendo l’AI all’interno di processi strutturati e verificabili, Appian garantisce un utilizzo sicuro e conforme delle nuove tecnologie, riducendo i rischi di deriva o comportamento imprevedibile; l’Accelerazione del ritorno sull’investimento (ROI) derivante dall’eliminazione della dispersione su casi d’uso marginali o sperimentali; le aziende possono così concentrare le risorse su interventi ad altissimo impatto economico e operativo.
Il 2025, secondo Appian, segna dunque una transizione storica: dalla fase pionieristica, dominata da prototipi e progetti pilota, a quella industriale, nella quale l’AI diventa parte integrante e indispensabile delle operazioni di business.
Superare l’hype non significa rinunciare all’ambizione, ma passare dalla suggestione alla concretezza, dalla sperimentazione all’impatto reale. E, soprattutto, abbandonare l’idea che l’AI debba stupire, per abbracciare la consapevolezza che può — e deve — lavorare.
Il primo passo, ha spiegato Matt Calkins, è ridefinire lo scopo dell’AI. Non come entità creativa capace di immaginare mondi nuovi, ma come motore di efficienza quotidiana, uno strumento operativo per potenziare la produttività umana. L’AI non dovrebbe essere applicata per creare processi artificiali o soluzioni esotiche, ma per migliorare ciò che già esiste: i flussi ripetitivi, le attività ad alta intensità cognitiva ma basso valore decisionale, le operazioni che, pur essenziali, appesantiscono il lavoro umano. L’idea è semplice: non inventare lavori nuovi da automatizzare, ma automatizzare meglio quelli che già esistono.
Da qui deriva una seconda direttrice fondamentale: integrare l’AI nei processi, non lasciarla ai margini. Troppo spesso, l’intelligenza artificiale è confinata in laboratori di innovazione o in progetti pilota sperimentali, disconnessi dalle operation reali. Appian propone una logica opposta: l’AI va innestata direttamente nei flussi mission-critical — produzione, vendite, compliance, customer care — e abilitata all’interno delle piattaforme già in uso: ERP, CRM, sistemi documentali, workflow consolidati. In questo modo, diventa una componente embedded e strutturale, non un’appendice da attivare solo in casi eccezionali.
Ma parlare di valore non basta. Per superare l’hype occorre anche misurare il contributo dell’AI con metriche economiche concrete. Parliamo di ritorni oggettivi: tempo risparmiato, produttività per dipendente, riduzione dei costi, miglioramento della customer experience quantificato in SLA e retention. Appian, su questo punto, è esplicita: non servono prototipi affascinanti, servono ROI rapidi, tracciabili e ripetibili. Solo così l’adozione dell’AI può scalare in modo sostenibile.
Ovviamente, una maggiore adozione porta con sé nuove responsabilità. Per questo, uno dei temi più sensibili è quello della governance. In un contesto in cui l’AI prende decisioni e avvia azioni, la verificabilità diventa un requisito essenziale. Ogni implementazione deve prevedere autorizzazioni chiare, tracciamento delle scelte e possibilità di revisione umana, soprattutto nei settori più regolamentati come la sanità, il finance o la pubblica amministrazione. La strategia proposta da Appian — in cui gli agenti AI agiscono solo all’interno di processi strutturati, sorvegliati e misurabili — è proprio una risposta a questa esigenza: potenza sì, ma sempre entro un perimetro di controllo.
Infine, c’è un aspetto culturale da non sottovalutare. Superare l’hype significa anche cambiare mentalità. Le aziende devono investire nell’educazione dei propri team, spiegare cosa l’AI può davvero fare — e cosa no —, evitare l’effetto “wow” e preferire progetti che generano valore concreto e misurabile. Solo così l’intelligenza artificiale potrà uscire dalla fase di dimostrazione e diventare, finalmente, un asset operativo quotidiano, un alleato stabile del business, non un oggetto da vetrina da esibire negli eventi.
L’intelligenza artificiale come scala evolutiva
Sul palco di Appian World 2025, Jacob Rank, Senior Vice President dell’azienda, ha proposto una lettura pragmatica del ruolo dell’intelligenza artificiale nei processi aziendali. Secondo Rank, l’AI non è una tecnologia da “accendere” con un colpo di bacchetta, né una soluzione magica che trasforma automaticamente i processi. Al contrario, è una scala, da salire un gradino alla volta, con consapevolezza, metodo e responsabilità.
Il Livello 0, il punto di partenza per la maggior parte delle aziende, è quello dei Processi basati su regole (Rules-Based Process). I processi sono modellati secondo logiche prescrittive: ogni attività è definita a priori, sulla base di regole fisse e flussi rigidi. L’automazione è presente, ma riguarda esclusivamente azioni deterministiche, come l’interazione con database, l’invio automatico di e-mail o l’uso di Robotic Process Automation per eseguire task ripetitivi. Non vi è alcuna componente intelligente né adattiva.
Come ha spiegato Jacob Rank, “La maggior parte dei processi che avete costruito si basa su un approccio fondato sulle regole. Sono prevedibili, affidabili, ma poco flessibili”.
L’efficienza operativa migliora, ma al prezzo di una totale assenza di capacità di risposta al cambiamento. Le eccezioni richiedono interventi manuali e non esiste spazio per l’adattamento in tempo reale.
Il Livello 1 è quello dei Processi assistiti dall’AI (AI-Assisted Process). In questa fase, l’AI inizia a svolgere un ruolo di supporto: non prende decisioni né agisce in autonomia, ma fornisce raccomandazioni e insight utili agli operatori umani. L’intelligenza artificiale analizza documenti, classifica richieste, propone azioni e recupera informazioni pertinenti. Ma il controllo rimane saldamente in mano alla persona, che valuta e decide. Un caso d’uso citato durante la presentazione riguarda la gestione di una polizza vita: “Immaginate che un agente riceva una richiesta su una polizza vita. L’AI classifica la domanda, recupera la polizza corrispondente, trova anche le linee guida normative rilevanti — ma è l’essere umano a eseguire l’azione.”
In questo scenario, l’AI agisce come un assistente intelligente, capace di velocizzare il lavoro e migliorare la precisione, senza però intervenire direttamente sul processo.
Il salto qualitativo si verifica quando l’AI non si limita più a suggerire, ma inizia ad agire, prendendo decisioni operative all’interno di un perimetro definito. In questa fase, l’agente AI può selezionare e avviare processi approvati, sicuri e governati, sulla base di obiettivi predefiniti. È questo il Livello 2, quello dei Processi aumentati dall’AI (AI-Augmented Process)
Jacob Rank lo ha chiarito così:“L’agente AI ha accesso a un set di strumenti — processi sicuri e controllati — e può ora scegliere quello più adatto per raggiungere un obiettivo”.
In pratica, l’AI può autonomamente attivare procedure come la verifica di documenti, l’invio di comunicazioni, o l’assegnazione di un caso a un team, ma sempre entro i confini stabiliti dall’organizzazione. Questo approccio permette di liberare risorse umane e aumentare la reattività, pur mantenendo un solido controllo operativo.
Il Livello 3 – Processi orchestrati dall’AI (AI-Orchestrated Process) costituisce il livello massimo di maturità. L’AI non solo esegue task, ma comprende obiettivi espressi in linguaggio naturale, pianifica un flusso dinamico e lo adatta costantemente in base ai dati ricevuti. L’agente AI diventa un orchestratore autonomo: definisce il percorso migliore per raggiungere il risultato, attivando di volta in volta le azioni più opportune.
Rank ha descritto così questo approccio: “Non siete voi a definire il flusso. Voi definite l’obiettivo — e l’agente stabilisce i passaggi. Si adatta man mano che arrivano nuove informazioni”.

Grazie al Data Fabric, l’AI ha accesso in tempo reale a informazioni aziendali strutturate e non strutturate. Può quindi prendere decisioni che cambiano al mutare del contesto, anche per gestire eccezioni complesse che in precedenza avrebbero richiesto interventi umani.
“Questa è l’evoluzione: dall’automazione guidata da regole a un’orchestrazione guidata dagli obiettivi. E la differenza non sta solo negli strumenti, ma in come pensate al lavoro”.
In altre parole, ogni livello rappresenta non solo un salto tecnologico, ma anche una trasformazione culturale. Non si tratta più di definire flussi rigidi, ma di affidare a un’intelligenza artificiale la responsabilità di raggiungere un fine, con la libertà di scegliere il mezzo.
Il beneficio? Processi più adattivi, più intelligenti, più scalabili — e team umani liberi di concentrarsi sul valore strategico.
Il futuro secondo Appian: l’AI diventa il regista dei processi
Nella visione strategica di Appian, l’intelligenza artificiale non è più un semplice strumento di supporto laterale, un co-pilota da affiancare al processo. È qualcosa di molto più centrale e potente: il motore stesso dell’orchestrazione operativa. È l’AI che, nel modello proposto, governa, adatta, dirige. Un cambiamento radicale, non solo tecnologico ma anche organizzativo.
La novità più interessante è che l’utente, per avviare un processo, non deve più codificare le azioni: può semplicemente descrivere lo scopo in linguaggio naturale. Sarà l’agente AI a determinare, in autonomia, il percorso operativo più efficace, scegliendo tra una serie di strumenti e processi già autorizzati e certificati.
Nel concreto, questo si traduce in un cambio di marcia nell’esecuzione operativa. Durante il keynote è stato presentato un caso esemplificativo legato al settore assicurativo: la gestione dei sinistri. Un agente AI può esaminare il tipo di incidente, verificare la copertura assicurativa e analizzare i documenti allegati. Sulla base di queste informazioni, decide se avviare la verifica da parte di un perito, chiudere automaticamente il sinistro o inoltrare il caso a un operatore umano. E non si ferma qui: se nel frattempo arrivano nuovi documenti o emerge una dichiarazione aggiornata, il percorso operativo viene immediatamente ricalibrato, senza alcuna necessità di reingegnerizzazione manuale.
I benefici strategici di questa nuova orchestrazione sono molteplici e significativi. Prima di tutto, l’automazione si estende anche a processi ad alta variabilità, non più limitandosi a quelli ripetitivi. In secondo luogo, l’azienda diventa più resiliente, capace di adattarsi rapidamente ai cambiamenti di contesto senza dover riscrivere continuamente le proprie procedure. C’è poi un importante vantaggio legato all’efficienza: ogni decisione e ogni azione presa dall’agente AI viene tracciata, permettendo un ciclo di auto-miglioramento continuo. E infine, sul piano della sicurezza e della conformità, Appian garantisce che tutto avvenga all’interno di un ecosistema controllato, con processi verificabili e strumenti pre-approvati.
Questa visione punta a un obiettivo ambizioso: rendere scalabile anche ciò che oggi è difficile da standardizzare. Non più solo task semplici e ripetitivi, ma anche attività complesse, distribuite, che richiedono decisioni rapide e contestualizzate. In definitiva, l’intelligenza artificiale — se orchestrata in modo intelligente — consente alle aziende di ridurre drasticamente i costi operativi, accelerare l’esecuzione dei processi mission-critical e migliorare in modo sensibile la customer experience, offrendo risposte più rapide, più accurate e più pertinenti.
“Oggi la domanda non è più se adottare l’AI”, ha concluso Calkins. “La vera domanda è come orchestrarla per ottenere valore concreto”.
BOAT: l’automazione orchestrata dal business secondo Appian
Durante il keynote è stato Medhat Galal, Senior Vice President of Engineering, a richiamare l’attenzione su un cambio di paradigma ormai riconosciuto anche dagli analisti: l’automazione del futuro non sarà più guidata dall’IT, ma direttamente dal business. Un concetto formalizzato da Gartner attraverso un nuovo acronimo: BOAT, ovvero Business-Orchestrated Automation Technologies.
Come ha spiegato Galal, questo passaggio implica una trasformazione profonda nel modo in cui le organizzazioni progettano, eseguono e governano i propri processi. Non si tratta più di automatizzare singole attività tramite RPA o BPM rigidamente codificati, ma di costruire architetture flessibili, intelligenti e reattive, dove l’AI lavora al servizio degli obiettivi strategici dell’impresa. BOAT, in sostanza, supera la logica delle automazioni tecnocentriche per abbracciare un modello in cui i team di business sono pienamente in grado di orchestrare flussi operativi complessi — grazie a strumenti low-code, intelligenza integrata e una governance trasparente.
Galal ha sottolineato che Appian si trova già pienamente allineata a questa nuova visione. La piattaforma consente infatti ai team aziendali di modellare processi, attivare agenti AI e governare le automazioni senza passaggi intermedi obbligati tra business e IT. È il business stesso a guidare.










