Intrappolati nella tela del mercato “grigio”

Parliamo delle importazioni parallele, noto fenomeno difficile da contrastare ma che coinvolge molti operatori loro malgrado

Giugno 2009

Il fenomeno delle importazioni parallele, noto anche come mercato grigio, riguarda l’acquisto su mercati esteri di prodotti distribuiti in Italia da reti comunque certificate. Una pratica in essere da molti anni e ora degenerata nel cosiddetto sistema delle “frodi carosello”.
Come intermediari, in questa parte del business si sono inserite quelle che vengono definite “aziende cartiere” che acquistano da mercati esteri, non Ue, il prodotto, lo importano a prezzi ridotti, evadendo l’Iva. Fenomeno che coinvolge soprattutto prodotti a volume, e che richiederebbe un maggior coinvolgimento dei vendor nel contrastare il fenomeno. Come? Tutelando di più sia il dealer attraverso una politica di incentivi che lo fidelizzi a distributori certificati, sia l’utente finale in modo che possa acquistare al prezzo giusto.

Ci aiuta a capire il fenomeno Enzo Cutrignelli, esperto del settore Ict, avendo lavorato in prima linea in qualità di amministratore unico del distributore Digits (le cui attività sono state cedute a inizio 2008 a Cometa).
«Le aziende cartiere sono sostanzialmente società che hanno strutture minime, non hanno giacenza di magazzino e rimangono in vita non più di un paio di anni, evitando così di essere intercettate dal sistema fiscale. Queste società importano il prodotto, non versano l’Iva, lo vendono nel mercato italiano, riducendo il prezzo di vendita di un 15%, e incamerando l’Iva che si fanno pagare dal cliente. E spesso capita, così, di ritrovarsi con prodotti che sono stati esportati da aziende italiane e che ritornano indietro con il prezzo “ridotto”. Oggetto di queste operazioni sono in genere notebook, software Oem, Cpu, hard disk, Ram e consumabili. Ai consumabili, poi, si aggiunge il fenomeno del “fasullo” o del “tarocco”».

Questo è il quadro generale del mercato grigio generato dal mercato parallelo che, come ci spiega Cutrignelli, è esteso in sostanza a tutta Europa, e che pare trovi ampio bacino in quei Paesi ove i controlli fiscali sono lenti. E certamente riguarda la generalità dei prodotti cosidetti a “volume” e tutti i settori.

«Il segmento automobilistico – prosegue Cutrignelli – è stato fortemente segnato da questo fenomeno, comunque bloccato da qualche anno con normative specifiche e rigidi controlli. Non altrettanto, per gli altri settori dove permane la “frode carosello”. Nel segmento Ict, questa prassi ha avuto il massimo splendore nel momento di grande crescita del mercato e sostanzialmente fino al 2005. Fino a quando, cioè, l’attività di contrasto delle autorità preposte non ha bloccato un gran numero di aziende cartiere essendo entrata in vigore la norma della solidarietà fiscale che rende responsabile l’acquirente del mancato versamento Iva del soggetto venditore. Cosa che può essere applicata solo nel caso in cui si dimostri che l’acquirente è perfettamente a conoscenza dell’attività fraudolenta del venditore. Molto difficile da dimostrare da parte delle autorità fiscali e che richiederebbe al compratore, in fase di acquisto, un’attività ispettiva che proprio non gli compete e che è impossibile da esercitare. Alcune direttive europee sulla rapidità di interscambio di dati tra i Paesi membri – precisa Cutrignelli – per poter meglio svolgere l’attività di contrasto, sono state in parte vanificate dall’ingresso nel sistema Cee dei numerosi Paesi dell’Est europeo, dove l’adeguamento a tali direttive si può ipotizzare più lento, e che pare, essendo mercati in crescita, vi si siano concentrate le attività di trading. Sembra, infatti, sia più facile sdoganare prodotti provenienti dai Paesi produttori del Far East e poi farli girare in tutta Europa. E girando il prodotto per più Paesi, si ha più possibilità di ridurne il prezzo».

È chiaro ed evidente da queste premesse spiegateci da Cutrignelli che tutti gli operatori di un determinato settore e quindi anche dell’Ict devono fare i conti con questo mercato parallelo.
«Penso anche – afferma – che, molto spesso, non riuscendo forse più a distinguere i prezzi di listino da quelli di mercato, molti siano costretti ad attingervi, per lavorare. Gli operatori che hanno contratti ufficiali di distribuzione diretta hanno sempre tentato di contrastare questi fenomeni, anche se talvolta, inconsapevolmente o probabilmente chiudendo un occhio, hanno alimentato le vendite all’estero o in esenzione di Iva nel mercato italiano (purtroppo ci sono i budget da rispettare e i premi da incassare!) diventando, alla fine, “vittime e carnefici” e correndo il “rischio” di dover dimostrate alle autorità fiscali la mancanza di dolo e la propria estraneità alle “frodi carosello”».

Certificare la rete
di vendita

Fatte queste premesse, sorge spontanea la domanda su chi abbia l’onere di tutelare il corretto prezzo di mercato. E sono i produttori, in questo caso, le realtà chiamate in causa.
«Fino ad ora i vendor non si sono distinti molto nel contrastare questo fenomeno – puntualizza Cutrignelli -. Certamente la disponibilità di alcuni a collaborare con gli organi ispettivi, si riduce molto spesso a “bolle di sapone”. Anche perché il fenomeno è ormai sovrannazionale e quindi le filiali italiane possono fare ben poco. E poi siamo realisti: anche le country hanno budget da rispettare e se qualcuno della filiera vende troppo all’estero, anche qui si chiude un occhio. La possibilità di gestire dall’origine i numeri seriali potrebbe ridurre il danno. È una gestione difficile che dovrebbe obbligare tutta la filiera a rispettare le regole, ma risulterebbe troppo complesso e non applicabile a tutti i prodotti. Converrebbe piuttosto certificare meglio la rete di vendita e controllarne la filiera. Operazione impossibile, fino a quando la “necessaria” predilezione ad avere pochi grandi distributori, fa perdere la visibilità dei mille rivoli del sub sistema distributivo in cui si incanala il prodotto. La specificità italiana non è comprensibile a chi dirige le aziende da Cupertino, Tokio o Ginevra!. Per contrastare il fenomeno del mercato grigio – insiste Cutrignelli – è indispensabile una politica commerciale che, indipendentemente dal sistema distributivo nazionale o regionale, tuteli il dealer e l’utente finale. Il dealer deve essere tutelato attraverso una politica di incentivi diretti che lo fidelizzino al distributore certificato, evitandogli di dover necessariamente rincorrere il prezzo rivolgendosi al mercato libero di operatori non certificati. E l’utente finale avrebbe la certezza di aver acquistato al prezzo giusto. Ma per fare ciò i vendor dovrebbero investire nel territorio, con proprie risorse che abbiano rapporti più continui con i dealer, ne sviluppino insieme le iniziative, lo supportino nella presentazione dei prodotti all’utente finale, riscoprendo il valore della relazione. Creando, quasi, dei concessionari di zona. Ma questo investimento in risorse territoriali può sembrare anacronistico in un “mercato globale”. Queste attività – specifica – potrebbero essere valide per i prodotti a “valore” e non per i prodotti a “volume” che ormai sono di esclusivo appannaggio della Grande distribuzione. Ma anche in questo mercato il rapporto diretto dei vendor con le aziende potrebbe mettere un po’ più di ordine e fare chiarezza dei prezzi».

Infine, il nostro esperto chiama in causa Stato e Ue, ed esorta le aziende virtuose: «Per le importazioni parallele, il mercato grigio e le frodi carosello – conclude – ponga argine lo Stato e la Comunità europea. È una questione di volontà. Basterebbe cambiare la norma, pagando l’Iva all’origine, con le compensazioni nel Paese di destino. Alle aziende il compito di osservare le leggi».

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome