Principali caratteristiche dei rapporti tra imprese e investitori nel capitale di rischio e le regole di corporate governance necessarie per definire la nuova struttura societaria
di Aifi – Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital
Le operazioni di private equity si caratterizzano come investimenti istituzionali nel capitale di rischio e consistono nell’acquisizione temporanea, da parte di un investitore finanziario specializzato, di una quota di partecipazione al capitale di una società target, generalmente non quotata, finalizzata alla realizzazione di un guadagno in conto capitale, in un arco temporale mediolungo.
L’investimento istituzionale nel capitale di rischio
L’ingresso di un operatore di private equity nella compagine sociale costituisce un importante momento di cambiamento, di crescita culturale e manageriale per l’impresa, che prevede la ridefinizione degli schemi secondo cui le responsabilità decisionali e gestionali vengono allocate e ripartite all’interno della società.
L’investitore istituzionale diventa socio a tutti gli effetti della società target, partecipando attivamente alla vita aziendale e apportando risorse finanziarie e competenze professionali in grado di supportare la strategia d’impresa e la realizzazione degli obiettivi precedentemente concordati con l’azionista preposto alla gestione del business.
L’unione tra socio-investitore e socio-imprenditore deve quindi basarsi su un rapporto di estrema fiducia e condivisione degli interessi, nella consapevolezza di una presenza solo temporanea dell’investitore all’interno della compagine sociale e quindi dell’alienazione della partecipazione detenuta, accompagnata dalla realizzazione di un capital gain. In questo senso, l’investitore istituzionale è interessato a partecipare alla vita dell’impresa e alle decisioni strategiche mediante un continuo monitoraggio delle variabili aziendali fondamentali. L’ingresso del socio finanziario, quindi, non sminuisce in alcun modo il ruolo imprenditoriale e gestionale dell’imprenditore, che ricopre una funzione centrale all’interno dell’azienda.
L’ingresso dell’investitore istituzionale nella società presuppone la verifica e, quindi, l’esistenza di alcune condizioni fondamentali per garantire la compatibilità dei progetti di sviluppo dell’impresa con le aspettative di crescita che l’investitore pone quali obiettivi.
L’investitore, infatti, non solo scommette sul business della società, ma investe anche sulla capacità dell’azienda di realizzare un progetto imprenditoriale di successo nel medio-lungo termine:
è evidente, quindi, come l’imprenditore rappresenti il player chiave per il successo di un’operazione di private equity.
In questo contesto, i rapporti di corporate governance, come indicato più oltre, disciplinano le regole della convivenza tra imprenditori e investitori.
Le tipologie di investimento
Diverse possono essere le motivazioni alla base dell’apertura del capitale da parte dell’impresa e sulla base di queste è possibile distinguere tra:
- operazioni finalizzate a sostenere la fase dell’avvio di nuove imprese (dette di early stage financing, nel particolare seed o start up financing a seconda dello stadio di sviluppo del progetto d’impresa);
- investimenti finalizzati a sostenere la fase dello sviluppo di imprese già esistenti e consolidate (cosiddetti di expansion financing);
- operazioni finalizzate a sostenere la fase di cambiamento della compagine azionaria dell’impresa (si tratta degli investimenti di replacement, in caso di interventi di minoranza, oppure di buy out, nel caso di acquisizioni di maggioranza);
Tutte le operazioni si realizzano nel quadro di una sempre maggiore specializzazione degli operatori per tipologia di investimento, per macro-settore di attività delle aziende partecipate e, talvolta, per area geografica di intervento.
I principi base in tema di corporate governance
Condizione fondamentale per l’ingresso di un operatore di private equity nel capitale di rischio di un’impresa è la valutazione positiva dell’operazione da parte dello stesso investitore in termini di progetti di crescita, struttura manageriale e trasparenza della gestione amministrativa, senza tralasciare l’identificazione di una modalità di uscita (la cosiddetta way out o exit dall’investimento) che sia realistica e condivisa da tutti gli azionisti della società.
Nell’ambito dell’attività di investimento istituzionale nel capitale di rischio e, in particolare, dei rapporti tra investitori e imprese, è necessario definire delle regole di corporate governance chiare ed efficaci, con l’obiettivo di garantire la crescita dell’impresa.
I principi base per la definizione di adeguati sistemi di corporate governance possono essere identificati nei seguenti:
- ruoli chiave dell’investitore e dell’imprenditore all’interno del consiglio di amministrazione, a evidenziare la separazione tra interessi dell’impresa e interessi della famiglia di riferimento;
- chiarezza e trasparenza delle informazioni societarie;
- disinvestimento a opera dell’operatore finanziario.
I rapporti tra investitori e imprenditori
L’investimento istituzionale nel capitale di rischio presuppone un allineamento degli interessi tra investitori e imprenditori, finalizzato a garantire un’efficace gestione operativa e a fornire le capacità necessarie per realizzare le strategie concordate: per tali ragioni, è necessario adottare delle regole di corporate governance volte ad assicurare, da un lato, la stabilità degli assetti societari, e dall’altro, la partecipazione e il coinvolgimento dell’investitore specializzato nella gestione dell’impresa.
In questa prospettiva, le regole più diffuse consistono in:
- accordi di lock up, in forza dei quali l’imprenditore si impegna a non cedere la propria partecipazione societaria per un periodo di tempo determinato;
- accordi di earn-out, che si sostanziano in forme di pagamento differito del prezzo convenuto per la compravendita di una partecipazione azionaria relativa a una società, nella quale l’imprenditore che ha venduto mantenga, anche dopo la cessione, un ruolo operativo tale da continuare a influenzare i risultati aziendali;
- accordi di exit ratchet, in base ai quali, al momento dell’uscita dell’investitore dalla compagine societaria, le partecipazioni nella società vengono idealmente riallocate tra investitore e imprenditore, sulla base di un prezzo prestabilito, in modo da consentire all’imprenditore di incrementare la propria partecipazione finale come “premio” per la performance realizzata;
- cosiddetta “clausola di prelazione” in forza della quale, nel caso di vendita della partecipazione di un socio, è attribuito agli altri il diritto di acquistare la stessa in via preferenziale, alle stesse condizioni previste per il terzo.
Con riferimento al coinvolgimento dell’operatore di private equity nella gestione dell’impresa, i piani di stock option e il cosiddetto management by objectives hanno la funzione di “fidelizzare” il management fino al momento in cui l’investitore istituzionale non abbia ceduto la partecipazione; in particolare, le stock option consentono ai possessori di acquisire a condizioni vantaggiose e a una certa data azioni della società, mentre il management by objectives si basa sulla individuazione di alcuni obiettivi alla realizzazione dei quali, da parte della struttura manageriale, sono previsti riconoscimenti economici.
Nella prassi del private equity l’adozione di regole di corporate governance di questo tipo consente non solo di regolare i rapporti tra management e azionisti, ma anche di aumentare l’attrattività dell’impresa sul mercato dei capitali: la presenza dell’operatore di private equity non solo migliora l’immagine della società sui mercati, ma influenza positivamente i processi di attribuzione di rating sul merito creditizio, riducendo implicitamente il costo dell’eventuale ricorso all’indebitamento.
La gestione dell’impresa e l’informativa societaria
La condivisione degli obiettivi tra imprenditori e investitori, il riconoscimento dell’importanza di una particolare struttura societaria e la necessità di trasparenza informativa nei confronti del mercato dei capitali rappresentano, insieme alla tutela dei soci di minoranza, i principi fondamentali per regolare la gestione dell’impresa e l’informativa societaria.
L’investitore istituzionale è solitamente rappresentato all’interno dell’organo amministrativo della società, tipicamente il Cda, in misura proporzionale o più che proporzionale all’entità della partecipazione detenuta: all’interno del Cda si svolge il processo di decision-making e viene avviata la fase di monitoraggio per la realizzazione dei progetti di crescita e di creazione del valore aziendale, motivo per cui l’investitore ha interesse a ricevere, con una certa frequenza, informazioni specifiche di tipo qualitativo, quantitativo e cronologico sulla gestione dell’impresa finanziata.
La prassi, italiana e internazionale, prevede che la società assicuri informazioni in merito ai fattori di rischio che possono influenzare le performance dell’investimento tra cui, ad esempio, quelle relative al business o al settore in cui la società opera; alla eventuale dipendenza della società da particolari materie prime o mercati di approvvigionamento; a operazioni effettuate con strumenti derivati o contabilizzate fuori bilancio; a conflitti d’interesse, potenziali o attuali, relativi ad amministratori o dirigenti chiave della società.
Anche informazioni frequenti relative ai dati finanziari e operativi della società (conto economico riclassificato, rendiconto finanziario, budget annuale e pluriennale, stato patrimoniale) devono essere garantite al fine di consentire un costante controllo sulla società.
Il dialogo con l’impresa deve quindi essere continuo: è diffusamente riconosciuto che l’adozione di precise politiche di divulgazione delle informazioni nei confronti degli azionisti sia elemento fondamentale e imprescindibile nelle relazioni con gli esponenti del mercato dei capitali e del settore del private equity.
In quest’ambito, tutte le norme che regolano l’esercizio del diritto di voto da parte dei soci di minoranza tendono a favorire la partecipazione dell’investitore istituzionale: alcune materie diventano quindi di competenza del Cda e non sono delegabili al socioimprenditore.
Tramite la previsione di adeguati quorum deliberativi, viene garantito all’investitore il diritto di veto su determinate decisioni estremamente importanti per la società, tra queste, occorre citare, in particolare:
- le modifiche dello statuto sociale;
- la distribuzione di riserve e dividendi;
- l’approvazione del bilancio annuale e dei documenti di pianificazione pluriennali;
- la nomina e la revoca dell’amministratore delegato e/o del direttore generale;
- la redazione dei progetti di fusione e/o scissione;
- le eventuali acquisizioni o alienazioni di partecipazioni in altre società;
- l’acquisto, cessione o affitto di aziende e/o di rami d’azienda;
- la cessione di asset strategici e, più in generale, tutte quelle operazioni aventi carattere straordinario.
La fase del disinvestimento
La partecipazione azionaria detenuta dall’operatore di private equity è di minoranza e temporanea, in quanto ispirata a obiettivi e intenti di natura finanziaria e non industriale.
In ragione di ciò, il disinvestimento di tale partecipazione è previsto dopo tre o cinque anni circa dal momento dell’ingresso nella società e deve avvenire nel rispetto di alcune condizioni fondamentali:
- il disinvestimento deve essere attivabile entro un determinato intervallo temporale (triggering e time frame), in quanto all’investitore deve essere garantita la facoltà di avviare il processo di vendita della sua partecipazione;
- la partecipazione deve essere valutata al suo reale valore di mercato (market value), in quanto non deve prevalere alcun tipo di valutazione soggettiva, né da parte dell’investitore istituzionale, né da parte dell’impresa. Ad esempio è possibile avviare un processo di dismissione sul mercato dell’intera società o ricorrere alla valutazione di uno o più advisor indipendenti;
- il disinvestimento deve essere realmente perseguibile (enforceability):
la facoltà di avviare il processo di alienazione della partecipazione deve essere garantita da opportuni automatismi esecutivi, non ostacolabili o rallentabili in maniera strumentale da parte dell’impresa.
Le modalità di disinvestimento più frequenti sono la quotazione e la cessione mediante trattativa privata, quest’ultima disciplinabile secondo varie modalità.
In ogni caso, è necessario soddisfare sia la condizione di attivabilità entro un determinato intervallo temporale che quella del valore di mercato della partecipazione da dismettere. Per quanto riguarda, invece, la necessità di automatismi esecutivi che impediscano al processo di vendita di fallire per l’opposizione dell’impresa, questi chiamano in causa un soggetto terzo, indipendente e dotato degli opportuni poteri per avviare e condurre il processo di vendita, una volta che la parte avente il diritto abbia deciso di esercitarlo.
Ulteriori clausole possono concorrere a caratterizzare i rapporti tra investitori istituzionali e imprese, ad esempio:
- il diritto dell’investitore di partecipare pro-quota alla vendita, nel caso in cui altri soci decidano di cedere la loro partecipazione nell’impresa (tag along option);
- il diritto riconosciuto all’investitore di obbligare gli altri soci alla vendita del controllo dell’impresa nel caso in cui le previste modalità di investimento da parte dell’investitore non siano state attuabili entro un termine concordato (drag along option).
(per maggiori approfondimenti vedi Finanziamenti e credito, Novecento Media)





