Più propense agli investimenti delle piccole e meno ingessate delle grandi, le aziende tra i 250 e i 500 addetti puntano a razionalizzare le infrastrutture garantendo pieno supporto al business
Hanno dimostrato la capacità di distinguersi nel panorama competitivo grazie a un connubio vincente tra imprenditorialità, creatività e innovazione; hanno un budget destinato alla spesa It caratterizzato da un trend in (leggera) crescita; e da sempre hanno posto una forte attenzione nei confronti dell’efficienza (focalizzazione che le ha fatte spesso scegliere gli interlocutori di riferimento solo tra chi è realmente in grado di sostenerle nello sviluppo delle logiche di business).
Sono le Medie imprese italiane (quelle con un numero di addetti tra i 250 e i 500), circa 2.000 aziende (se si escludono i settori della Pubblica amministrazione, della Sanità e dell’Istruzione) che spesso, per esigenze, risultano del tutto assimilabili alle grandi realtà nazionali, da cui, però, si differenziano per una maggiore flessibilità infrastrutturale.
La loro presenza è trasversale in tutti i principali settori economici, anche se, secondo l’Istat, si concentra prevalentemente nei comparti dell’industria discreta (come la meccanica), di quella di processo (come chimica e gomma/plastica) e dei servizi (trasporti e servizi alle imprese).
Per disporre di un quadro esaustivo del loro stato tecnolgico, del loro budget e del tipo di interlocutore che cercano per far fronte alle problematiche It più ricorrenti, abbiamo chiesto a Fabio Rizzotto, research manager di Idc Italia, di tracciare un quadro delle loro esigenze e delle loro difficoltà. Quello che emerge è il ritratto di una tipologia di impresa attiva e dinamica, incline a investire, ma anche molto attenta a bilanciare correttamente la razionalizzazione della struttura con il supporto agli sviluppi di business.
In recupero sul gap
con l’Europa
«Molte medie imprese italiane – ha esordito il research manager – hanno dimostrato nel tempo la capacità di differenziarsi sul mercato attraverso un sodalizio vincente tra imprenditorialità, creatività, innovazione di prodotto e di processo. Fondamentale, in particolare, è apparsa l’abilità di andare oltre la fase di prima informatizzazione, ponendo il problema di come supportare le problematiche di business con un adeguamento dei sistemi It. Il risultato è stato un recupero, ancorché parziale, del gap che separa l’Italia dai principali Paesi europei dal punto di vista dell’utilizzo di tecnologie Ict e soprattutto del fattore competitività. Sulla carta, le medie imprese appaiono più ricettive delle imprese di dimensioni minori grazie all’esistenza di un maggiore grado di complessità strutstrutturale e organizzativo. Allo stesso tempo, rispetto alle grandi, risultano meno ingessate e legate ad architetture stratificate nel tempo, quindi, candidabili all’adozione di forme di soluzioni e servizi It decisamente più flessibili».
Queste aziende hanno tipicamente al proprio interno un responsabile dei sistemi informativi e, come nelle grandi aziende, un team interno proporzionale in funzione di dimensione, organizzazione e filosofia aziendale.
«Dal momento che l’attenzione all’efficienza è paragonabile a quella delle grandi aziende – ha sottolineato Rizzotto –, il dimensionamento delle risorse per queste imprese è un tema importante. Naturalmente il problema delle competenze sussiste e il ricorso a fornitori esterni è fondamentale, anche se segue logiche diverse: di tipo tattico per far fronte a progetti specifici o “picchi di domanda”; ma anche di tipo più strategico nelle forme dell’esternalizzazione vera e propria. È qui che l’Italia presenta ancora differenze rispetto ai principali Paesi del centro-nord Europa, dove si è osservato come in momenti di congiuntura negativa aumenta il ricorso all’outsourcing per ridurre assetto e costi Ict. Da questo punto di vista, l’Italia è ancora conservativa, sebbene lo sviluppo di forme di esternalizzazione mirata stia incentivando la crescita di quest’area».
Le tecnologie
di maggiore interesse
L’incidenza della spesa It sul fatturato è un indicatore importante ma è vero che il peso percentuale, seppure in crescita, non varia sensibilmente passando dalla media alla grande azienda. «Negli ultimi anni – ha continuato l’analista –, questo segmento ha fatto segnare trend di crescita superiori rispetto alle classi dimensionali più piccole, esposte maggiormente alla congiuntura. In particolare, c’è molta attenzione per le nuove tecnologie e in generale per le iniziative in grado di rappresentare un salto di qualità rispetto al passato. Virtualizzazione It, Software as a Service, Unified communications, Soa, sicurezza, gestione/protezione di dati e informazioni sono tra i temi più sensibili nonché aree di investimento in crescita, in funzione del grado di maturità o di novità delle tecnologie stesse. Opportunità si intravedono anche nello sviluppo dell’outsourcing come modello di ricerca dell’efficienza dei sistemi It».
Attualmente la pressione per i responsabili It italiani (ma non solo loro) è verso la razionalizzazione e la riorganizzazione delle infrastrutture, da un lato, e un miglior sviluppo/supporto al business, dall’altro.
«In quest’ottica – ha continuato Rizzotto – la domanda si sta orientando sia verso servizi di gestione delle infrastrutture It a costi contenuti, sia verso soluzioni infrastrutturali e applicative in grado di supportare i processi e le attività aziendali. Su questo segmento stanno, quindi, insistendo sia i vendor internazionali interessati a posizionarsi in maniera convincente, sia attori italiani principalmente attivi sul fronte servizi, senza trascurare le realtà nazionali focalizzate sul fronte software e che su specifiche aree (quali gestionali-Erp – ndr) o settori (Banche, Industria – ndr) hanno raggiunto un buon posizionamento».
In generale, gli operatori nazionali del canale sono molto accreditati, in virtù della conoscenza del territorio e delle esigenze industry-specific, tuttavia il tessuto delle cosiddette “terze parti” sta soffrendo soprattutto della frammentazione tipica delle strutture capillari.
«In prospettiva – ha concluso il research manager –, per il canale si dimostrerà, comunque, necessario supportare sempre di più il mercato e le medie aziende nel passaggio dalla logica di prodotto a quella di servizio a valore».





