Servono tag meno costosi per diffondere la tecnologia

«Il mercato della tecnologia Rfid non sta avanzando così velocemente come forse qualcuno si aspettava tre anni fa, ma ciò non vuol dire che non si stia diffondendo». La considerazione è di Antonio Rizzi, docente del Dipartimento di Ingegneria Industria …

«Il mercato della tecnologia Rfid non sta avanzando così velocemente come forse qualcuno si aspettava tre anni fa, ma ciò non vuol dire che non si stia diffondendo». La considerazione è di Antonio Rizzi, docente del Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Parma, presso la quale ha fondato l’Rfid Lab. «La mia impressione
– afferma il professore, tra i più attivi nel mercato specifico – è che in molti settori industriali, le aziende stiano iniziando a sviluppare progetti Rfid partendo da obiettivi più facili da raggiungere e in grado di generare un veloce ritorno dell’investimento. Mi riferisco all’automazione dei processi interni, alla gestione della tracciabilità, degli asset e delle movimentazioni. Per quanto riguarda, invece, i progetti Rfid di filiera diffusi ad ampio spettro su tutti i prodotti di largo consumo, è necessario aspettare ancora un po’ di tempo, principalmente per una questione di prezzi, che tuttavia sono già calati parecchio. Per esempio, un tag Uhf Gen 2 nella versione base ha un costo per bassi volumi che si aggira attorno ai 10 centesimi, 7 se l’ordinativo raggiuge i milioni di pezzi».

Naturalmente, come sottolinea Rizzi, man mano che i prezzi scendono si apre la possibilità di applicare i tag a molti altri ambiti, e questo contribuisce a ridurre i costi e, quindi, favorisce la diffusione dell’Rfid. «Vedo la situazione come un qualcosa che si autoalimenta – prosegue -, in quanto la diffusione riduce i prezzi e questi a loro volta favoriscono la diffusione. Poi ci sono dei limiti probabilmente fisiologi sotto i quali le tecnologie attuali non potranno scendere, perché i costi del chip, delle antenne e dell’assemblaggio con le tecnologie attuali difficilmente saranno eliminabili, per cui sarà necessario pensare a diversi sistemi di applicazioni dei tag, magari inserendoli già nel materiale dell’imballaggio».

L’auspicio per il futuro è di arrivare, per esempio, a degli inchiostri conduttori, per cui si avrà la stampa diretta di antenna e chip. «Questi tag avranno magari prestazioni più scarse in termini di lettura rispetto a quelli basati su tecnologie più tradizionali, – conclude Rizzi – ma saranno compatibili con le applicazioni e a prezzi molto più contenuti. Per cui, fra due anni prevedo che in Italia ci saranno molte più aziende che avvieranno progetti di Rfid e auspico, inoltre, che alcuni grandi gruppi della Gdo si riuniscano attorno a un tavolo e, insieme ai propri partner commerciali, decidano di sperimentare tutti insieme la tecnologia, condividendone le spese».

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