Zoom evolve: da piattaforma di meeting a infrastruttura digitale con l’AI al centro

Non siamo più una semplice piattaforma di meeting”, dichiara Steve Rafferty, Head of International di Zoom aprendo l’incontro con la stampa a Londra, prima dell’edizione europea di Zoomtopia, “siamo un’infrastruttura digitale che connette persone, processi e dati”.

Rafferty ha ripercorso la traiettoria evolutiva dell’azienda: nata come piattaforma di videoconferenza, oggi è diventata un ecosistema completo che include telefonia enterprise, contact center cloud, strumenti per la collaborazione asincrona e un AI Companion ormai onnipresente.

Al centro di questa trasformazione c’è l’intelligenza artificiale: non un add-on, ma il layer architetturale che regge l’intera piattaforma.

Il cambio di prospettiva riguarda anche i KPI. Il successo non si misura più solo con le nuove licenze vendute, ma con la capacità di fidelizzare e generare valore nel tempo. “La retention vale più dell’acquisizione”, ha ribadito Rafferty. In un mercato maturo e competitivo, trattenere i clienti e costruire relazioni durature è l’unico vero indicatore di solidità.

Zoom intende posizionarsi come alternativa infrastrutturale a Microsoft e Cisco, ma con una differenza sostanziale: la centralità del cliente come principio guida. Se i competitor spingono su integrazione e lock-in, Zoom punta su flessibilità, personalizzazione e fiducia. La differenza sta nell’approccio: mentre altri forniscono suite ampie e frammentate, Zoom punta su una piattaforma integrata e specializzata, costruita intorno all’esperienza del cliente come unico baricentro. È un messaggio diretto ai C-level: non si tratta di aggiungere strumenti tecnologici, ma di ripensare l’intera architettura della relazione con i clienti. L’AI non è un lusso, ma il motore strategico che trasforma l’interazione da costo operativo a leva di crescita.

In questo senso, il keynote di Rafferty ha segnato il passaggio da Zoom come “piattaforma” a Zoom come infrastruttura critica per la collaborazione e la customer experience, con l’AI al centro.

AI al centro

Non stiamo aggiungendo AI sopra Zoom, stiamo costruendo Zoom con l’AI al centro”, ha spiegato Laura Ball, Global CX AI Sales and GTM Lead. L’AI è come regista silenzioso che orchestra le interazioni e fa sì che ogni dettaglio avvenga al momento giusto e nel modo più naturale.

Ball ha articolato la sua visione su tre assi fondamentali:

  • AI predittiva: non si limita a reagire, ma anticipa. Prima ancora che un cliente espliciti un bisogno, la piattaforma ne deduce le esigenze e lo guida verso la risorsa giusta.
  • AI real-time: lavora come un copilota durante l’interazione, suggerendo risposte, ricordando precedenti conversazioni, fornendo insight immediati e riducendo lo stress operativo degli agenti.
  • AI di orchestrazione: garantisce la fluidità del customer journey multicanale. Chat, e-mail, voce e video non sono più silo isolati, ma parti di un unico flusso continuo. L’AI manteneva il contesto in modo continuo, senza perdere informazioni –un risultato impossibile da ottenere con i sistemi tradizionali, che trattano i canali come compartimenti stagni.

Questa architettura non è pensata solo per migliorare l’efficienza operativa, ma per trasformare la customer experience in vantaggio competitivo, riducendo la frustrazione, aumentandone la fedeltà e rafforzando la reputazione del brand. In ambito sanitario, per esempio, un paziente non deve raccontare tre volte la propria storia clinica; nel retail il percorso d’acquisto diventa più rapido, lineare e soddisfacente.

CX & Contact Center Update: il salto dal reattivo al proattivo

Nel suo intervento Ben Neo, Head of Contact Center/CX Sales Emea, ha scelto di partire dal proprio percorso personale: da giovane operatore in un contact center a responsabile delle vendite CX per tutta l’area Emea. Un excursus non casuale, ma utile a sottolineare quanto sia necessario capire i limiti del modello tradizionale per apprezzare la portata della rivoluzione in corso. Neo ha ricordato i giorni in cui il lavoro dell’agente era essenzialmente reattivo: rispondere a chiamate, chiudere ticket, rispettare KPI quantitativi come il tempo medio di risposta o la durata della chiamata. L’obiettivo non era comprendere il cliente, ma “smaltire” le richieste, con conseguenze prevedibili: clienti costretti a ripetere più volte le stesse informazioni; lunghi tempi di attesa e la percezione di un servizio impersonale, freddo, privo di empatia. Era un modello pensato per contenere i costi, non per generare valore.

La trasformazione portata dall’intelligenza artificiale è radicale: il contact center smette di essere un filtro difensivo e diventa un hub proattivo di customer intelligence.

Oggi l’AI analizza il linguaggio e il tono della voce, intercetta segnali di urgenza o frustrazione, smista le chiamate in base non solo alle competenze, ma anche allo stato emotivo e alla complessità della richiesta. “Un cliente non dovrebbe mai dover ripetere due volte la stessa cosa”, ha ribadito Neo, condizione che è possibile solo se ogni interazione è arricchita dal contesto pregresso: ticket aperti, conversazioni precedenti, dati CRM.

I tre pilastri dell’innovazione dei contact center

La nuova architettura dei contact center segue tre direttrici fondamentali. L’automazione intelligente: l’AI non si limita a instradare le chiamate, ma propone percorsi di self-service quando la richiesta è semplice. In questo modo libera gli agenti per le attività a maggior valore, senza sostituire ma potenziando il lavoro umano; gli insight in tempo reale: durante la conversazione, l’AI genera alert se il sentiment peggiora, segnala segnali di insoddisfazione e propone in diretta risposte precompilate, articoli della knowledge base e suggerimenti di “prossima migliore azione”, generando meno stress per l’agente e maggiore coerenza per il cliente; il customer journey integrato: Il contact center diventa il punto di osservazione privilegiato dell’intera relazione cliente-azienda. Tutte le interazioni –voce, chat, e-mail, social –confluiscono in una vista unica che permette all’agente di agire in modo informato e personalizzato.

Il passaggio dal modello reattivo a quello proattivo non ha solo un valore operativo, ma anche strategico: un contact center che funziona bene diventa una leva di crescita: aumenta la retention dei clienti, migliora la reputazione del brand e trasforma la relazione in vantaggio competitivo.

I KPI non sono più i tempi di attesa o il costo per chiamata, ma il Customer Satisfaction Score (CSAT), il Net Promoter Score (NPS) e la capacità di trasformare una buona esperienza in una relazione di lungo periodo.

Il contact center non è più un costo da tagliare, ma un generatore di valore”; in un settore spesso visto come luogo di efficienza e contenimento costi, Zoom propone una narrativa diversa: il contact center come hub di intelligenza relazionale.

Confrontandosi con player storici come Genesys o Avaya, Zoom propone un modello cloud-native e AI-integrated, più fluido e scalabile, che supera i sistemi verticali e frammentati.

Il messaggio finale di Neo è stato chiaro: il contact center del futuro non è il posto in cui si risolvono problemi, ma quello in cui si costruisce fiducia.

E per riuscirci serve sì una tecnologia avanzata, ma soprattutto una nuova mentalità: vedere il cliente non come un ticket da chiudere, ma come un interlocutore da ascoltare, comprendere e anticipare.

Il canale come costruttore di fiducia

Se l’AI è il motore della trasformazione, il canale è il veicolo che deve portare questa trasformazione nei mercati.

Tony McNish, Head of Channel Sales Emea North & South, ha sottolineato un punto spesso trascurato: l’area Emea non è un mercato omogeneo, ma un mosaico di Paesi, normative e sensibilità culturali. Ciò che funziona nel Regno Unito non è replicabile senza adattamenti in Italia, ciò che è prioritario in Francia può essere irrilevante in Medio Oriente. In questo scenario, Zoom non può adottare un modello centralizzato. Sono i partner locali a garantire prossimità, conoscenza del contesto e credibilità presso i clienti.

McNish ha presentato la strategia del canale articolandola su tre dimensioni:

  1. Enablement: programmi strutturati di formazione e certificazione che rendono i partner autonomi nel proporre, integrare e supportare le soluzioni Zoom.
  2. Incentivi economici: non solo margini più elevati, ma anche bonus legati alla retention e alla customer success, premiando la qualità del supporto oltre al volume delle vendite.
  3. Verticalizzazione: focus su settori regolamentati come sanità, pubblica amministrazione e finanza, dove la compliance normativa è imprescindibile. In questi ambiti i partner non sono meri rivenditori, ma consulenti di fiducia, capaci di tradurre leggi e vincoli tecnici in soluzioni praticabili. “I partner non sono solo distributori, ma costruttori di fiducia, ha sintetizzato McNish.

Nell’era dell’AI, la differenza non si gioca solo sulle caratteristiche tecnologiche, ma sulla capacità di generare fiducia. Le aziende scelgono un fornitore non solo per le funzioni avanzate, ma per la percezione di affidabilità, vicinanza e supporto costante.

Nei mercati medi e piccoli, che in Emea rappresentano la maggioranza, il canale è una leva decisiva. Inoltre, il focus sui verticali regolamentati indica la volontà di non competere solo sulla collaborazione generica, ma di penetrare nei settori a più alto valore aggiunto.

In questo senso, la channel strategy di Zoom non è solo commerciale, ma un pilastro della sua scalabilità sostenibile in Emea.

Democratizzare l’AI per le PMI

Monique Koster, Head of Small Business Sales Emea, ha spostato l’attenzione sulle piccole e medie imprese, iniziando con una fotografia realistica: per molte PMI, l’intelligenza artificiale è percepita come lontana, complessa e riservata alle grandi multinazionali. I timori più diffusi sono costi troppo alti, difficoltà di integrazione e carenza di competenze interne. Il risultato è un circolo vizioso: le PMI rinunciano a sperimentare, restando escluse dai benefici che l’AI potrebbe offrire per rafforzarne la competitività.

La strategia di Zoom mira a spezzare questo circolo con un principio guida: semplicità: L’AI è invisibile e quotidiana, integrata direttamente negli strumenti già usati: riunioni, chat, telefonia, contact center; non servono progetti complessi o software separati: l’AI si attiva esattamente quando serve; i modelli di prezzo sono flessibili, permettendo di iniziare con investimenti minimi e scalare progressivamente.

A ciò si aggiunge la rete di partner locali, che offre consulenza e supporto culturale, riducendo diffidenza e barriere d’ingresso.

Koster ha arricchito la sessione con casi pratici: una catena retail ha ridotto del 30% i tempi di onboarding dei clienti grazie all’AI nel contact center; una PMI turistica ha introdotto traduzioni multilingue automatiche nelle conversazioni, aumentando prenotazioni e soddisfazione dei clienti.

Regolazione come opportunità

Il Media Day ha dedicato uno spazio specifico a un tema che supera la tecnologia e tocca direttamente la fiducia: la regolazione dell’intelligenza artificiale.

Drew Smith, Head of Government Relations UK&I,  ha chiarito subito la visione: la regolazione non è un freno, ma un fattore abilitante.

La fiducia è la vera valuta dell’AI”, ha affermato, sottolineando che senza trasparenza e accountability non ci sarà mai un’adozione di massa.

Le regole, se ben scritte, non rallentano l’innovazione: creano un terreno comune che tutela utenti e istituzioni, rassicurando imprese grandi e piccole sul fatto che l’AI può essere adottata senza compromettere sicurezza e privacy.

Smith ha raccontato come Zoom lavori fianco a fianco con i governi: nel Regno Unito mantiene un dialogo con ministeri e authority per anticipare le implicazioni legali mentre a livello europeo partecipa ai gruppi di consultazione che definiscono le linee attuative dell’AI Act, portando sul tavolo la propria esperienza in tema di privacy, cifratura e governance dei dati. L’obiettivo è duplice: da un lato contribuire in modo costruttivo alle regole, dall’altro garantire che i prodotti Zoom siano compliant fin dal primo giorno.

Sono tre le direttrici su cui Zoom è già operativa: spiegabilità dei modelli: gli utenti devono capire come l’AI genera output e suggerimenti, evitando l’effetto “black box”; protezione dei dati: maggiore localizzazione geografica e audit periodici per dimostrare conformità al Gdpr e ad altri standard ma soprattutto il controllo umano, principio cardine per garantire che le decisioni critiche restino sempre nelle mani delle persone.

L’approccio di Zoom è proattivo: non attende che le norme vengano calate dall’alto, ma definisce linee guida interne già allineate ai principi legislativi.

Questo significa testare sistemi di auditing, sviluppare standard etici per i modelli e comunicare apertamente con clienti e partner.

Creare e configurare un Virtual Agent su Zoom

La demo mostrata illustra in modo pratico come sia possibile realizzare, in pochi passaggi, un Virtual Agent all’interno dell’ecosistema Zoom. L’obiettivo dell’esempio è semplice ma significativo: costruire un agente di supporto tecnico capace di rispondere a domande comuni sull’accesso agli account e di gestire il reset delle password.

Il punto di partenza è l’interfaccia di Virtual Agent, integrata nella console amministrativa di Zoom e parte del pacchetto AI Studio. Qui l’amministratore visualizza gli agenti già attivi e ha la possibilità di crearne di nuovi scegliendo tra diverse tipologie: Voice Agent, per interazioni vocali; Chat Agent, orientato al supporto testuale; Intent-based chatbot, basato su logiche classiche di riconoscimento intenzioni. Nel caso della demo si sceglie di costruire un chat agent, utile per un help desk digitale.

Per semplificare l’avvio, Zoom propone una serie di configurazioni predefinite (template) dedicate a scenari comuni. L’amministratore può partire da uno di questi modelli e personalizzarlo in base alle esigenze, accelerando così la messa in produzione del bot.

Il cuore della configurazione consiste nel definire: Intents: le intenzioni dell’utente, ad esempio “non riesco ad accedere” o “ho dimenticato la password” e Flows: i percorsi conversazionali che l’agente seguirà in base alla richiesta. È possibile costruirli tramite editor visuale, collegando nodi che rappresentano domande, risposte e azioni (es. invio link per reset password).

Il sistema permette di testare in tempo reale i flussi creati, verificando come l’agente risponderebbe a specifiche frasi dell’utente.

Un aspetto cruciale è la possibilità di imporre limiti all’agente: l’agente può essere confinato a un set di domande e risposte, evitando divagazioni o interazioni non pertinenti; se l’utente formula una richiesta non riconosciuta, il bot può rimandare a un operatore umano o a un messaggio standard. L’accesso a dati sensibili può essere filtrato e l’agente può essere programmato per non esporre informazioni riservate.

Al termine della configurazione, l’agente è pronto a interagire via chat con i clienti, risolvendo automaticamente i problemi più ricorrenti e liberando gli operatori umani da attività ripetitive. La demo evidenzia come Zoom punti a rendere l’esperienza di creazione di un Virtual Agent accessibile anche a chi non ha competenze di sviluppo, grazie a template, interfacce visuali e opzioni di governance integrate.

 

 

 

 

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