È arrivato il momento di trovare un riparo dai venti che, invece di rinfrescare la Penisola in questa torrida estate, stanno accumulando nuvole nere foriere di una situazione a dir poco burrascosa. Nuvole che riportano a situazioni economiche e regole di interscambio internazionali variabili e incontrollate, tensioni geopolitiche che non accennano a sopirsi e a normative sulla sovranità dei dati che cambiano senza troppi preavvisi. Vien da chiedersi se vale ancora la pena affidarsi alla logica del “tutto-public-cloud” e se la formula di questa architettura, allo stato attuale, è ancora così economicamente vantaggiosa come molti la disegnavano fino a pochi anni fa. Se lo è chiesto Broadcom, che con la recente survey “Private Cloud Outlook 2025” ha voluto testare a che livello è l’affezione delle aziende verso il public cloud oggi e se stare fuori dai perimetri aziendali è ritenuto ancora strategico.
Quando scenari, economici e non solo, cambiano con questa frequenza, affidare applicazioni e informazioni sensibili a piattaforme fuori dal perimetro aziendale può significare esporsi alle decisioni di soggetti lontani, spesso influenzate da logiche extraterritoriali.
Ed è in questo contesto che il private cloud torna a proporsi come alternativa sicura e governabile rispetto a una infrastruttura pubblica. Proprio qui Broadcom si inserisce, facendosi paladina di un approccio che punta a coniugare sovranità tecnologica e prevedibilità economica.

“Il private cloud non è un posto fisico, ma piuttosto un modello operativo che permette di controllare costi, dati e processi in modo predicibile”, osserva Mario Derba, alla guida di Broadcom Software per Italia e Penisola Iberica, riassumendo la traiettoria dell’azienda a un anno dall’integrazione di VMware.
Un gruppo che ha raggiunto ricavi per 51,6 miliardi di dollari, ha portato il portafoglio brevetti a circa 20.000 titoli e ha raddoppiato la spesa in R&D fino a 9,3 miliardi, pari al 18% del fatturato, per integrare semiconduttori di fascia alta e software di automazione cloud in una nuova, unica, offerta
Da un’indagine Broadcom c’è voglia di cloud privato
E l’osservazione di Derba è avvalorata dal sentiment raccolto dalla ricerca sul private cloud, che rileva come il 94% dei 1.800 responsabili IT sentiti a livello globale ammetta sprechi nella spesa sul public cloud, con quasi la metà di loro che teme che oltre un quarto del budget finisca in risorse inutilizzate. Il 92% del panel prevede di mantenere nei prossimi tre anni un mix stabile fra ambienti pubblici e privati, mentre il 54% intende creare i nuovi workload direttamente in private cloud.
Sicurezza, intelligenza artificiale generativa e prevedibilità economica sono i tre elementi che le aziende stanno riportando all’interno dei confini aziendali. il 93% del campione si fida di più del private cloud per compliance e protezione dei dati e il 55% lo considera la sede naturale per addestrare modelli di AI.
Il fenomeno della “repatriation” è già iniziato per il 69% delle organizzazioni, che ha riportato o sta riportando alcune applicazioni on-premise e il 65% sta valutando di spostare in casa i carichi più sensibili o integrati con sistemi legacy. Ma il passaggio oltre che tecnologico va a toccare anche l’organizzazione del lavoro delle aziende, con l’81% che sta eliminando i vecchi silos creando dei team misti e trasversali con competenze utili a semplificare il lavoro di tutti i reparti. In parallelo, l’83% investe in programmi strutturati di reskill del personale.
Partner Broadcom per accompagnare la migrazione
Percorsi che Broadcom facilita intervenendo con attività di consulenza, che a oggi conta oltre 2.800 check-up gratuiti sulla maturità cloud affidati agli 80 e più partner specializzati grazie alle nuove certificazioni del nuovo programma di canale. “Non basta spostare i workload – avverte Derba -, servono persone che poi sappiano farli girare con la stessa efficienza nei due mondi, e qui entrano in gioco le competenze che il nostro canale, specializzato e certificato, può trasferire, perché chi prova a integrare da solo tutti i vari layer rischia di restare intrappolato nella complessità. E il tema delle partnership collaborative torna a essere più attuale che mai”.
La piattaforma Broadcom
Competenze e capacità consulenziali che fanno riferimento alla nuova piattaforma Broadcom. “VMware Cloud Foundation 9.0 vede per la prima volta tutte le componenti, dall’hypervisor alla rete, dallo storage alla sicurezza, condividere lo stesso numero di versione, risolvendo la frammentazione di sigle ereditata da vSphere 5.x – spiega Claudia Angelelli, responsabile delle soluzioni per l’area EMEA -. La nuova VCF Operations Console unifica deployment, gestione della flotta, SecOps e controllo dei costi, restituendo insight di log due volte più rapidi rispetto a prima e un aumento fino a dieci volte della produttività quotidiana delle squadre di gestione. La console può mostrare a ogni reparto quanto sta spendendo, addebitargli direttamente i costi se necessario e simulare diversi scenari per stimare in anticipo l’impatto economico di picchi stagionali o nuove esigenze”.

Con la nuova versione 9.0, VMware Cloud Foundation semplifica il modo in cui l’infrastruttura usa memoria, calcolo, rete e sicurezza, puntando a tagliare i costi senza rallentare i sistemi. La piattaforma sposta automaticamente i dati “freddi”, quelli che servono raramente, su dischi SSD ultraveloci e lascia la memoria RAM libera per i dati più consultati. In questo modo il risparmio complessivo su server e memoria può arrivare a quasi il 40% rispetto alle versioni di qualche anno fa. Sullo spazio-dati, un nuovo meccanismo cancella in tempo reale le copie inutili dei file all’interno del cluster, riducendo di circa un terzo il costo per ogni terabyte archiviato. Anche il traffico di rete guadagna velocità perché il software ora sfrutta schede di rete “intelligenti” capaci di gestire parte del lavoro al posto della CPU, triplicando così la capacità di commutazione senza cambiare i cavi o gli switch esistenti.
I vantaggi
“Questi miglioramenti – specifica Angelelli -, hanno già permesso di passare da quarantuno a sette data center di collaudo, di far salire l’utilizzo medio dell’hardware all’89% e di attivare un nuovo servizio in pochi minuti invece che in settimane. Abbiamo aumentato la densità per ogni server, ma le prestazioni restano stabili perché ogni livello controlla e bilancia in tempo reale memoria, processore e rete”.
La stessa console amministra sia le classiche macchine virtuali sia i cluster Kubernetes che usano gli sviluppatori in modalità self-service. Tutti, indipendentemente dallo strumento scelto, trovano le stesse regole di sicurezza e lo stesso modello di costo. Per il calcolo accelerato, l’integrazione con la Private AI Foundation di NVIDIA trasforma le GPU in un servizio da prenotare quando serve. Il consumo extra rispetto a un server normale è praticamente invisibile e le macchine virtuali possono ancora essere spostate “a caldo” con un fermo di circa l’uno per cento.
Sul fronte security, arriva una nuova interfaccia pensata per i team operativi che mostra gli eventi in tempo reale, applica politiche pre-configurate e sfrutta le tecnologie di “confidential computing” di AMD e Intel per racchiudere le applicazioni più sensibili in enclave hardware protette. I servizi avanzati comprendono micro-segmentazione e sistemi di rilevamento intrusioni estesi a più siti, repliche di emergenza con fino a duecento copie immutabili per macchina virtuale e la possibilità di erogare database open-source (e in prova anche SQL Server) con ciclo di vita gestito direttamente dalla console.
Infine, l’ecosistema rimane aperto ai partner tecnologici. HPE, Lenovo, Dell, Intel, AMD e Microsoft hanno già annunciato soluzioni co-progettate che integrano queste novità, dai pacchetti “pay-per-use” di GreenLake alle piattaforme ThinkAgile ottimizzate per l’intelligenza artificiale, fino ad Azure VMware Solution che permette di spostare i carichi di lavoro sul cloud di Microsoft senza doverli ricompilare. “Vogliamo garantire portabilità delle licenze e coerenza operativa, qualunque hardware o cloud scelga il cliente – ribadisce Derba -, con una tecnologia abilitante e un canale a supporto per offrire alternative non vincolanti a chi intende optare, interamente o parzialmente, per un cloud privato e spostare i propri workflow e applicazioni senza restrizioni di sorta”.






