L’intelligenza artificiale sta attraversando una fase di trasformazione rapida e pervasiva. Tuttavia, secondo Matt Calkins, CEO e fondatore di Appian, ciò che molte aziende stanno trascurando non è tanto la tecnologia in sé, quanto la sua architettura di supporto. “L’AI è affascinante”, spiega, “ma non è una tecnologia autonoma come lo sono state altre innovazioni software. Non è come l’ERP, che ha creato un mercato nuovo. L’AI è un concetto, ma non è un mercato in sé. Non basta scegliere un modello: serve un’infrastruttura che ne valorizzi l’uso”.
Per Calkins, la chiave è comprendere che l’AI è una tecnologia convergente, non uno strumento isolato. “Quando scegli un prodotto di intelligenza artificiale non hai ancora determinato se funzionerà davvero. Il successo non dipende dal modello, ma da come viene usato, per quali compiti e con quale supporto tecnologico”. È per questo che Appian ha scelto un approccio orientato ai processi: costruire un contesto in cui l’AI non sia solo performante, ma anche controllabile, integrabile e modificabile.
I processi sono la cornice ideale per orchestrare l’AI
Nel corso dell’intervista tenuta nel corso del recente Appian World 2025, a San Francisco, Calkins ha evidenziato come l’architettura di Appian sia nata per orchestrare il lavoro aziendale, e proprio per questo si sia rivelata naturalmente adatta a ospitare l’intelligenza artificiale. “Non era previsto, ma si è dimostrato molto efficace. Quando si costruisce una tecnologia per organizzare e gestire i flussi di lavoro di un’impresa, si costruisce anche una base solida per integrare nuove tecnologie come l’AI”.
L’obiettivo non è mai stato semplicemente fornire strumenti per automatizzare, ma creare una piattaforma capace di dialogare con l’esterno e con il risultato di ogni possibile evoluzione tecnologica. In questo senso, la piattaforma Appian diventa una sorta di strato abilitante che consente all’AI di agire in modo trasparente e monitorabile, senza sostituirsi completamente al controllo umano o alla logica di processo.
L’AI come autore di processi low-code, non come sostituto
Una delle aree in cui Appian sta già sperimentando l’integrazione dell’AI è lo sviluppo low-code. Secondo Calkins, l’intelligenza artificiale può facilitare enormemente la creazione di applicazioni, ma non deve mai essere lasciata agire in modo opaco o definitivo. “Non vogliamo che l’AI scriva tutto da sola e poi ci lasci con qualcosa di immodificabile. Vogliamo invece una collaborazione tra esseri umani e AI, dove il risultato – un processo – sia comprensibile, modificabile e accessibile a tutti”.
Nel concreto, Appian utilizza l’AI per generare applicazioni low-code sulla base delle richieste degli utenti, ma queste possono poi essere modificate. Il processo è iterativo: l’utente descrive cosa vuole, l’AI propone un’interfaccia e un database, l’utente li modifica, e l’AI genera gli oggetti applicativi. L’approccio garantisce controllo umano costante e flessibilità, anche a posteriori.
Agenti modificabili, governabili e tracciabili
Il cuore della strategia Appian per l’intelligenza artificiale sono – la tendenza generalizzata è questa – gli agenti AI, definiti come componenti intelligenti che eseguono task specifici all’interno dei processi. Ma quanto sono controllabili questi agenti? Calkins risponde con una tripla promessa: facilità di creazione, semplicità di modifica, e pieno tracciamento delle azioni. “Abbiamo reso facilissimo creare un agente. Se non fa quello che vuoi, puoi modificarlo più rapidamente di quanto hai impiegato a costruirlo. E puoi monitorarlo in ogni momento, perché le sue opzioni sono rigidamente definite”.
Non solo. La struttura di Appian limita a monte i rischi di comportamenti indesiderati. Gli agenti non possono agire arbitrariamente: sono vincolati ai processi. “Un agente Appian non potrebbe mai, ad esempio, decidere di regalare un prodotto se non è previsto nel processo. Se non esiste un processo autorizzato per quell’azione, non potrà eseguirla, nemmeno se la ritiene utile”.
Allucinazioni? Un rischio reale, ma arginabile con i processi
Uno dei problemi emergenti dell’AI generativa è quello delle “allucinazioni”: azioni errate ma plausibili, generate dagli LLM. Secondo Calkins, il fenomeno diventerà ancora più insidioso nel 2025. “Un agente potrebbe agire in modo imprevedibile. Ho sentito di uno che, per aumentare le vendite, ha cominciato a regalare il prodotto. È stato necessario spegnerlo. Con Appian questo non può accadere: ogni azione dell’agente è una transizione di processo, e non può inventarne di nuove da solo”.
Questa filosofia – AI che pensa e agisce solo in termini di processo – rappresenta un’architettura difensiva ma anche costruttiva. Le allucinazioni non vengono corrette dopo, ma rese impossibili a priori.
ROI misurabile e basato sull’esperienza reale
Una delle promesse più concrete fatte da Calkins riguarda la capacità di Appian di prevedere con precisione il ROI derivante dall’uso degli agenti AI. Non in generale, ma su casi d’uso specifici. “Non cerchiamo di farlo per ogni scenario possibile. Ci concentriamo sui 20 principali casi d’uso nei settori in cui operiamo. Lì abbiamo esperienza concreta, sappiamo cosa aspettarci, e possiamo condividerlo con il cliente”.
In questi ambitii Appian arriva con una conoscenza operativa solida, capace di tradursi in metriche reali: tempo risparmiato, efficienza, qualità. “Le aziende vogliono sapere cosa aspettarsi. Noi glielo diciamo, perché l’abbiamo già fatto”.
Accountability come requisito di sistema
La responsabilità dell’AI è un altro tema centrale. Per Appian, tracciabilità e accountability sono requisiti architetturali, non accessori. “Dobbiamo sapere cosa stiamo ottenendo da ciascun agente, misurarlo, e usarlo per migliorare. Fortunatamente, una piattaforma di processi lo fa già. Non serve inventare nulla: abbiamo già tutti i dati”.
Questo approccio permette non solo di monitorare l’uso dell’AI, ma anche di convincere le imprese a usarla di più, perché è possibile verificarne il valore, confrontare scenari, e ottimizzare. Non si tratta più di “fare AI”, ma di gestirla con la stessa disciplina con cui si gestiscono risorse umane o infrastrutture IT.
Appian non sviluppa LLM, ma li integra tutti
Nel confronto con altri player, Calkins chiarisce un punto distintivo: Appian non sviluppa modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM). Fa eccezione il Composer, che genera applicazioni e per cui è stato necessario addestrare un modello specifico. “Per il resto, lasciamo libertà totale. Usiamo OpenAI, Claude, Google, Bedrock, DeepSeek. I nostri clienti li usano tutti, e noi siamo pronti a supportarli”.
Questa apertura garantisce interoperabilità e neutralità, qualità oggi sempre più apprezzate dalle aziende che vogliono evitare il vendor lock-in.
L’AI Act come leva per la maturità
Calkins è uno dei pochi CEO tech americani che si espone positivamente sull’AI Act europeo. “È il migliore esempio di legislazione AI attualmente disponibile. Impone regole chiare, e questo è esattamente ciò che serve al settore. Non dico che sia perfetto, ma è molto meglio dell’incertezza normativa”.
L’obbligo di trasparenza sulle fonti e quello di decisione umana in ambiti critici – come l’accesso al credito – non sono per lui ostacoli, ma occasioni per rafforzare la governance. “Il fatto stesso che serva un essere umano a confermare una decisione implica che c’è un processo. E questo significa che l’AI da sola non basta: serve una struttura attorno a lei. Una struttura come quella che offriamo noi”.
Verso un pricing basato sul consumo
Infine, un tema concreto ma cruciale: il licensing. Secondo Calkins, il modello per utente è superato. “L’AI riduce il numero di utenti e aumenta le chiamate. Dobbiamo cambiare il modello. Passeremo a un modello basato sul consumo. Ma vogliamo che sia semplice e prevedibile. Potremmo anche eliminare le voci legate al cloud, così che il cliente paghi solo ciò che usa”.
Un cambiamento che riflette il cambiamento profondo in corso: il valore non è nel numero di persone che usano il software, ma nell’impatto che il software – e l’AI – riescono a generare.
Appian tra sovranità digitale e AI generativa: la visione strategica di Americo Mazzotta e Lorenzo Alegnani
Nel cuore della transizione digitale europea, Appian si conferma un player centrale nell’orchestrazione dei processi aziendali attraverso una piattaforma low-code, flessibile e integrabile. Benché fondata negli Stati Uniti, ha oggi una presenza sempre più capillare in Europa, sapendo adattare la propria proposizione di valore a mercati eterogenei erispondendo a esigenze che spaziano dalla compliance normativa alla necessità di scalabilità tecnologica. Americo Mazzotta, Regional Vice President South EMEA, e Lorenzo Alegnani, Area Vice President Southern Europe, offrono una lettura evoluta delle trasformazioni in corso, delineando scenari e opportunità concrete per le aziende italiane ed europee.
Una strategia europea multilivello
La governance dell’area EMEA si fonda su una logica territoriale flessibile che consente ad Appian di gestire mercati profondamente diversi per cultura, regolazione e maturità tecnologica. L’Europa è suddivisa in tre cluster principali: Nord Europa e Scandinavia (che includono mercati digitalmente avanzati e ad alta spinta regolatoria), il Centro Europa (Francia, Germania, paesi DACH) e infine il Sud Europa, che comprende anche Grecia, Medio Oriente e America Latina.

Questo approccio permette di calibrare la proposizione commerciale e tecnologica in modo preciso, evitando modelli di espansione “a taglia unica”. “Non parliamo di un’unica EMEA, ma di ecosistemi regionali con livelli di digitalizzazione differenti e specificità legislative da rispettare. Per questo, la nostra struttura è pensata per adattarsi in modo agile”, spiega Mazzotta.
L’Italia come laboratorio di maturità
La filiale italiana, aperta nel 2015, è considerata una delle più avanzate all’interno della regione South EMEA. Dopo una fase iniziale di collaborazione con partner locali, Appian ha costituito una presenza diretta con un team italiano che oggi segue clienti enterprise nei settori più strategici: energy & utility, banche, assicurazioni, pharma, industria e pubblica amministrazione, sia centrale che territoriale.
L’approccio italiano privilegia la verticalizzazione per industry, con risorse commerciali e tecniche dedicate per ogni segmento. “Questa modalità ci permette di garantire una conoscenza approfondita dei processi critici dei clienti, anche quando operano in settori altamente regolamentati”, sottolinea Alegnani. La maturità del mercato italiano si riflette anche nella capacità di sperimentare in anticipo soluzioni ibride, sfruttando il vantaggio di un ecosistema digitale in rapida evoluzione.
Sovranità digitale e resilienza infrastrutturale
Il tema della sovranità dei dati ha acquisito centralità per effetto della crescente frammentazione geopolitica e della pressione normativa, sia a livello europeo (Data Act, NIS2) sia nazionale (Polo Strategico Nazionale). Le imprese oggi pretendono garanzie chiare sulla localizzazione e sulla giurisdizione dei dati.
Mazzotta chiarisce: “Le richieste più frequenti non riguardano tanto modifiche radicali dell’architettura, quanto la garanzia che i dati siano trattati all’interno di data center localizzati in Europa e gestiti secondo standard internazionali”. Appian risponde con una rete infrastrutturale che include data center in Germania, Francia, Regno Unito e Italia (Milano), assicurando prossimità fisica e aderenza ai regolamenti locali.
Un approccio flessibile tra cloud e on-premise
L’architettura di Appian consente implementazioni full cloud, on-premise o ibride, senza compromessi funzionali. Questa elasticità si rivela strategica per le aziende che, pur interessate a soluzioni moderne, devono mantenere il controllo su dati e processi per esigenze legali, strategiche o culturali.
Particolarmente rilevante è il ruolo del data fabric, che funge da livello virtuale tra la fonte dati e il processo, senza dover replicare o migrare dataset. “È una risposta concreta al bisogno di sicurezza, privacy e performance. I dati rimangono dove sono, ma diventano accessibili e orchestrabili”, aggiunge Mazzotta.
Intelligenza artificiale: agenti al servizio del processo
Appian ha anticipato l’integrazione dell’AI generativa come elemento funzionale e non decorativo. Gli agenti AI, basati su modelli linguistici avanzati, sono in grado di analizzare documenti, classificare informazioni, orchestrare flussi decisionali e adattarsi dinamicamente al contesto.
Due gli ambiti che stanno generando maggiore interesse tra i clienti italiani: la gestione della posta elettronica in ambienti ad alto traffico (come i contact center) e la classificazione automatizzata di documenti non strutturati. “Parliamo di documenti complessi — anagrafiche, contratti, formulari — che vengono oggi digitalizzati e trattati in tempo reale grazie agli agenti Appian”, osserva Alegnani. Il tutto nel rispetto delle normative di privacy e sicurezza.
Licensing a consumo e nuovi scenari di adozione
Il recente passaggio a un modello di licensing basato sul consumo (in luogo del numero fisso di utenti) apre a scenari più flessibili per progetti dove l’interazione umana è ridotta o intermittente. Questo è particolarmente utile nei processi fortemente automatizzati, in cui le chiamate API superano di gran lunga le azioni manuali.

“Non si tratta di uno strumento per abbassare il prezzo, ma per adattarsi alla nuova natura dei processi aziendali, che sono sempre più dinamici e interconnessi”, spiega Alegnani. Il nuovo modello consente alle aziende di calibrare il costo in funzione dell’effettivo utilizzo, rendendo più sostenibile l’introduzione di automazione avanzata anche in ambienti ad alta variabilità operativa.
Ecosistemi abilitanti per le PMI
Sebbene il core business di Appian resti focalizzato su clienti enterprise, la piattaforma è sempre più utilizzata da partner e service provider per offrire servizi di processo a piccole e medie imprese. Questo modello di adozione indiretta consente alle PMI di accedere a tecnologie sofisticate in modalità as-a-service.
“In Italia abbiamo clienti che usano Appian per fornire servizi normativi e documentali ad altre aziende. Questo modello permette anche alle realtà con budget limitati di beneficiare dell’automazione e della compliance, senza doversi caricare l’intero stack tecnologico”, spiega Mazzotta. Il potenziale è ampio, specie in settori regolati come sanità, assicurazioni e logistica.
Casi d’uso concreti: documenti ed email al centro
Tra i casi più emblematici, Mazzotta cita un progetto sviluppato in otto settimane per digitalizzare e tracciare documenti cartacei per una società specializzata in archiviazione documentale: “Abbiamo introdotto barcode, scannerizzazione automatica e tracciabilità SLA. Il risultato è stato un processo pienamente tracciato e digitalizzato, con una riduzione drastica di errori e tempi di lavorazione”.
Un altro caso riguarda la classificazione automatica di email in ingresso per contact center assicurativi: “I nostri agenti leggono il contenuto, classificano la richiesta, aprono automaticamente un caso e assegnano la priorità”, spiega Alegnani. Questi processi, replicabili in diversi settori, mostrano come l’AI possa già oggi generare ROI tangibili.
Chi sono i veri concorrenti?
Alla domanda su chi sia il principale concorrente, Mazzotta risponde con pragmatismo: “ServiceNow è quello che ci somiglia di più in termini di copertura, ma nasce da un ambito diverso, quello del service management. Appian, invece, è sempre stata una piattaforma orientata al processo”.
L’approccio di Appian è evolutivo: le innovazioni vengono integrate senza compromettere l’identità della piattaforma. Dall’AI generativa al process mining, dal data fabric alla gestione documentale, ogni nuovo tassello è funzionale all’obiettivo principale: orchestrare in modo continuo, misurabile e adattivo i processi aziendali.
Un 2025 all’insegna della misurabilità
Il 2025 sarà, nelle parole di Alegnani, “l’anno della concretezza”. Le aziende hanno già stanziato i budget, ma la vera sfida sarà dimostrare un ritorno misurabile sugli investimenti in AI e automazione. “Stiamo offrendo ai clienti strumenti che permettono di misurare subito il valore generato: efficienza, accuratezza, risparmio operativo. È qui che si gioca la vera differenza”, afferma.
Per Appian, questo significa continuare a lavorare sulla trasparenza dei processi, sulla governance dei dati e sulla rapidità nell’implementazione. “La nostra identità è costruita sulla capacità di orchestrare, non di sostituire. E oggi più che mai, questo è un valore competitivo”, conclude Mazzotta.







